2021-03-12
Caro Draghi, prima degli statali c’erano gli autonomi
Mario Draghi (A.Masiello/Getty Images)
Nell'ultimo anno, centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro, altrettanti professionisti e piccoli imprenditori hanno perso tutto. Il governo ha deciso però di aumentare lo stipendio agli statali. Forse ci si è piegati alle logiche sindacali?Ma c'era proprio bisogno di rendere più pesanti le buste paga dei dipendenti pubblici? Oh, certo, rinnovare un contratto che interessa 3,2 milioni di lavoratori con relativa famiglia, rende più popolare il governo che sottoscrive l'accordo. Se si accompagna la firma con un aumento di 107 euro al mese, sebbene lordi, beh è probabile che ci sia qualcuno disposto a rendere merito a chi ha favorito l'intesa. Aggiungiamo poi che infilare un po' di soldi in più nelle tasche degli italiani aiuta a tirar su il morale oltre che il bilancio familiare, con le conseguenti, probabili ricadute sui consumi. Se tre milioni di persone guadagnano di più, è possibile che spendano di più e questo, un economista come Mario Draghi, lo sa bene. Dunque, ci è assolutamente chiaro il motivo per cui il governo ha deciso di staccare un miniassegno agli statali. Tuttavia, ci chiediamo se fosse proprio indispensabile farlo ora e, soprattutto, se non ci fosse un modo diverso per spendere questi soldi, vale a dire se prima dei dipendenti dei ministeri non ci fosse qualche altra categoria da assistere e sostenere.Nell'ultimo anno, centinaia di migliaia di persone hanno perso il lavoro e centinaia di migliaia di lavoratori autonomi e di piccoli imprenditori hanno perso tutto: non solo il lavoro, ma anche i propri risparmi, dilapidati nella difesa di un'attività rimasta senza futuro a causa delle chiusure. Da mesi, basta accendere la tv e ascoltare i resoconti delle persone intervistate nei talk show che si occupano della situazione economica in seguito alla pandemia. Davanti alle telecamere sfilano baristi che sono stati costretti a tirar giù la serranda del proprio locale, ristoratori che hanno dovuto spegnere i fornelli e licenziare i camerieri, imprenditori che, dopo aver chiuso l'attività a seguito dei dpcm del governo, hanno dovuto portare i libri in tribunale. Quasi sempre i protagonisti di questi fallimenti lamentano il mancato aiuto dello Stato, l'assenza di contributi economici per poter tirare avanti. La primavera scorsa, quando tutta Italia fu costretta a fare i conti con un nemico invisibile di nome Covid, l'allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il suo ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, assicurarono che nessuno sarebbe rimasto indietro, ma alle parole poi non seguirono i fatti. Anzi: i soldi. È ovvio che a nessuno, neppure a un ristoratore o a un albergatore o qualsiasi persona abbia un esercizio pubblico, fa piacere violare la legge e tenere aperto il proprio locale quando dovrebbe rimanere chiuso. Ma se non si ha altro mezzo per guadagnare qualche soldo, pagare le bollette e l'affitto, mantenere la propria famiglia, non rispettare la legge non è un atto contro lo Stato, bensì una scelta obbligata. O chiudi e muori o ti arrabatti anche a costo di rischiare una multa. È chiaro che questa alternativa neppure verrebbe presa in considerazione se, come è accaduto in altri Paesi, il governo si fosse fatto carico di rimborsare i commercianti e gli imprenditori a cui imponeva di chiudere. Ma così non è stato. Non soltanto perché, nonostante gli annunci trionfalistici, i quattrini veri, quelli messi a disposizione, erano molti meno di quelli promessi. Ma perché all'esiguità delle risorse, si sono aggiunti la lentezza e gli errori della macchina che quei soldi avrebbe dovuto erogare. Sì, la tanto criticata burocrazia, dell'Inps, di chi deve certificare la perdita di fatturato, del modulo che all'improvviso sparisce. Risultato: il numero di piccoli e medi imprenditori che ancora attendono un aiuto o che il famoso ristoro l'hanno visto, ma solo per un decimo (quando va bene) di ciò che hanno perso, è costituito da centinaia di migliaia di persone. Capirete che di fronte a questa situazione, la domanda diventa legittima: c'era proprio bisogno di dare un aumento agli statali, ancorché minimo? Non si potevano dirottare queste risorse altrove per evitare di avere figli e figliastri? Anche perché, nell'anno di pandemia, se c'è qualcuno che dal punto di vista dello stipendio e del posto non ha rischiato nulla, questi sono proprio i dipendenti pubblici. Mentre altri erano costretti a casa e obbligati a rinunciare ai propri introiti di lavoratori dipendenti o messi in cassa integrazione con i tempi della Cig, gli impiegati dello Stato lavoravano in smart working, che tradotto significa fare un lavoro sorridente dal proprio salotto, e a fine mese si vedevano accreditato lo stipendio senza alcuna decurtazione. Anzi: qualche volta risparmiando sulle spese di viaggio per recarsi al lavoro. Intendiamoci: non ce l'ho con i dipendenti pubblici, i quali avranno anche loro da fare i conti con i loro problemi, ovvero dividere il computer con i figli costretti a fare lezione da casa e magari pure in cucina. Però, diciamo che almeno il problema dell'accredito mensile per loro non c'è stato, al contrario di ciò che è capitato ad altre categorie. No, la nostra sola preoccupazione è che Draghi non si sia già piegato alla solita Trimurti, cioè abbia pagato dazio a Cgil, Cisl e Uil per garantirsi la pace sindacale. Questi sono pateracchi che in passato, anche quando c'era Carlo Azeglio Ciampi all'Economia, si sono fatti, ma le intese non hanno mai portato nulla di buono al Paese. E oggi, vista la situazione, non è proprio il caso di ripetere l'errore.