2020-09-28
Caro Agnelli, e portare all’estero anche la Juve?
Caro Andrea Agnelli, non so se Fabio Paratici, Chief Football Officer della Juventus, abbia davvero tramato personalmente per far passare al centravanti Luis Suarez l'esame di italiano necessario per avere la cittadinanza. Non so se verrà punito o licenziato, come sussurra qualcuno. E non so se la sua società sarà in qualche modo coinvolta nella vicenda, se subirà penalizzazioni o no. Teoricamente, se fosse dimostrata la responsabilità della Juve, si potrebbe arrivare fino alla retrocessione della società. Nel qual caso mi metterei la maglia granata e comincerei a fare il girotondo per casa. Sa com'è, noi tifosi del Torino siamo così disabituati a far festa per le nostre vittorie che ci accontentiamo delle vostre sconfitte.Qualcuno dice che festeggiare sulle sconfitte altrui non è tanto sportivo. Ma parlare di sportività, quando si tratta di Juve, mi pare francamente fuori luogo. Sin da ragazzino ho imparato che nel calcio italiano esistono due regolamenti: quello che vale per tutti e quello che vale per chi indossa la maglia bianconera. Per esempio: se un attaccante viene atterrato fuori dall'area è calcio di rigore? Il regolamento dice no. A meno che l'attaccante non indossi la maglia bianconera. «Sudditanza psicologica»? Metodi Moggi? Stile Juve? Quest'ultimo io non ho mai capito bene che cosa fosse. Me lo farò spiegare da Suarez. In perfetto italiano, ovviamente.Che poi, ci pensavo, è un paradosso parlare di questioni che riguardano l'italianità in casa della ex Fiat, un'azienda che di italiano ormai ha soltanto i ricordi. Anche Paratici, per dire, com'è che lo avete definito? «Chief Football Officer». Vi pare? Anche se fosse innocente andrebbe multato per aver accettato di scrivere quel titolo sul biglietto da visita. Ma purtroppo non è straniero solo il vostro modo di parlare: dopo aver succhiato per anni tutto quello che potevate all'Italia, fra rottamazioni e cassa integrazioni, ormai avete trasferito altrove, fra Paesi Bassi, Usa e Gran Bretagna, tutta l'azienda che pure nacque con il nome di Torino inciso nel marchio.Per questo ho deciso di scriverle questa cartolina. Non so come andrà la storia di Perugia, ma purtroppo ho visto come è andata la storia di Termini Imerese. E temo per come andrà quella di Pomigliano. So che la sua famiglia nei mesi scorsi ha chiesto denaro pubblico in prestito mentre distribuiva a sé stessa maxi dividendi. E so che subito dopo, per ringraziare l'Italia dell'aiuto ricevuto, ha patriotticamente deciso di spostare la produzione della Panda in Polonia. Allora mi domando: perché, arrivati a questo punto, fate tutta 'sta fatica per far diventare italiano un calciatore straniero? Non era più semplice far diventare straniera una società italiana? In poche parole: perché, dopo aver portato all'estero tutte le attività, seguendo la prassi familiare, non portate all'estero anche la Juve? La cittadinanza olandese, stia sicuro, gliela darebbero in un attimo. E mezza Italia, me compreso, farebbe festa.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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