2024-10-14
«Cerco un’arte cui non serva la critica»
Nel riquadro Carlo Benvenuto (Galleria Mazzoli). Sullo sfondo il Maxxi di Roma (iStock)
Il «pittore riluttante» Carlo Benvenuto racconta la rassegna in corso al Maxxi e il libro con Vasco Rossi: «Mi interessa bloccare lo sguardo originale, creare immagini nuove col minimo indispensabile e che funzionino senza sovrastrutture».In quel gioiello assoluto che è The painted word (1975, tradotto in Come ottenere il successo in arte, edito da Umberto Allemandi & C.), Tom Wolfe osservava l’inesorabile proliferazione della «parola sull’arte» a scapito dell’esperienza visiva in sé. Il geniale scrittore americano profetizzava per l’anno Duemila la sostituzione dei quadri nei musei con «testi esplicativi di grandi dimensioni, 2,60 x 3,30, che presenteranno le frasi proteiformi di quel periodo… un po’ di fuliginous flatness qui… un po’ di action painting là… è un po’ di all great art is about art appena oltre». La «parola dipinta» avrebbe sostituito quadri e foto, e la critica avrebbe preso il posto del suo oggetto. Carlo Benvenuto va in direzione opposta: in un certo senso, preferirebbe non parlare mai delle sue opere, tese al ripristino di uno sguardo «primo», originale sulle cose. Nato a Stresa nel 1966, continua a «dipingere» sul Lago Maggiore, anche se vive a Milano. Tutte le sue creazioni nascono catturando oggetti, luce e atmosfera della casa materna. Da lì, ha compiuto un percorso che, in questi giorni, si concretizza in due occasioni: la rassegna No Time for Prophecies, in cui espone con altri artisti nella videogallery del Maxxi di Roma (8-20 ottobre, dal martedì alla domenica) e un esperimento letterario-artistico curato da Arturo Bertusi che lo vede, con Marcello Jori, Rosanna Mezzanotte e Gianluca Simoni, a fianco di Vasco Rossi. Il lavoro è stato appena presentato a Modena con il monumento vivente del rock italiano. Con La Verità Benvenuto accetta di dialogare su queste due «tappe».«No Time for Prophecies» cos’è, un rammarico o un’indicazione?«Anzitutto è una rassegna, curata da Chiara Ianeselli e Davide Daninos, terza puntata di un cammino targato Maxxi Med. Quanto al senso del titolo, mi faccio suggestionare dall’accostamento dei nomi scelti. Non sono certo un profeta, ma il mio mestiere è un po’ quello di annullare il tempo: rifiuto il futuro come soluzione di felicità». Ma dicono tutti di guardare al futuro...«Il futuro ti porta alla perdita di tutto ciò che ami, e una felicità che non sia presente non mi interessa».E le profezie?«In alcune culture i sacerdoti o i maghi gettavano piccole pietre o cristalli su una superficie e deducevano il senso degli eventi guardando dove finissero. Io lavoro dal 1995 con gli stessi oggetti, quelli della mia casa materna sul Lago Maggiore. Sono i miei “dadi”, i miei sassolini: ritraggo la loro disposizione».A proposito di tempo, il filosofo Byung Chul Han ha dedicato gran parte della sua riflessione alla compressione della narrazione digitale in segmenti instabili: i selfie, le storie di Instagram che svaniscono uccidono il soggetto portatore di storia e destino: sono temi che sente prossimi?«Decisamente. Internet era poco più di un’ipotesi quando ho iniziato a fare “ritratti”. L’invito alla mia prima mostra personale era una cartolina con la fotografia del mio palazzo, dove avevo virtualmente “murato” tutte le finestre, tranne le mie quattro. Mi tormentava l’idea che ci fossero troppe informazioni: il flusso già allora non era gestibile, volevo astrattamente non uscire dalla mia camera, filtrare tutto e proporre un’immagine nuova prodotta col minimo disponibile. E consegnare agli occhi la totale responsabilità. Combatto per limitare il fascino della “tecnica”. Io, che nella vita ho tanto dipinto e disegnato, decido di ritrarre solo oggetti in casa mia con l’unico oggetto che mai c’era entrato: la macchina fotografica».Gregorio Botta, artista e giornalista, l’ha definita un «pittore riluttante». Quelli che fa lei cosa sono: quadri o foto?«Quando qualcuno pensa siano quadri iperrealisti mi fa piacere, significa che lo sguardo è stato catturato. Uso la fotografia cercando di conquistare l’occhio come solo la pittura sa fare. Di fronte ai quadri ci si ferma a lungo, restituiscono all’osservatore la sensazione del tempo che l’artista ha trascorso dipingendo. Invece la fotografia si accontenta di un tempo più rapido. Io ho un approccio sghembo al medium, un po’ faustiano: sogno che sul negativo si imprima un’immagine che trattenga e fermi il tempo».Le sue opere sono tutte «Senza titolo». Perché?«Non devo creare sovrastrutture, non voglio fare ortopedia dell’arte per far funzionare il lavoro. Deve funzionare come immagine pura, e il titolo per me è una forma di dispositivo. Non ho mai un “contenuto”, non c’è una “narrazione”: c’è quello che si vede e c’è quello che ti rimane quando avrai rivolto lo sguardo altrove. Poi ognuno può cogliere riferimenti, ma può farlo senza spiegazioni». Torniamo a Tom Wolfe e alla profezia sulla critica che sarebbe finita esposta nei musei al posto dei quadri…«Mi affascina questa idiosincrasia verso la necessità della critica, l’arte non ha bisogno di un manuale di istruzioni allegato. L’opera per me non è un enigma nel senso banale del termine: piuttosto è una domanda. Ma una domanda semplice, pur con implicazioni infinite: ti piaccio? Il supporto critico c’è, ma per assenza. La curatrice, Chiara Ianeselli, ha fatto uno studio sul “Senza titolo”, un’invenzione dell’arte contemporanea io credo proprio in reazione a questa ansia di sovrastruttura, in fondo sempre ideologica. Talvolta il pittore Gino De Dominicis sceglieva l’ironico: “Con titolo” per le sue opere, come a dire: il titolo c’è ma non è necessario rivelarlo».Come nascono i video in fermo immagine di 5 minuti esposti a Roma?«Sono due: una candela accesa che richiama l’ipnosi, la meditazione, giocando col fascino del fuoco che non consuma. Il secondo è uno specchio poggiato al centro di un tappeto rosso (vedi foto in pagina, ndr). Una sorta di paesaggio lacustre, in cui la cornice dello specchio, come una catena montuosa barocca, difende una superficie protetta, a garanzia della quiete visiva».Il libro con Vasco come nasce?«Un’idea del mio gallerista, Emilio Mazzoli, che Vasco considera tra le persone in assoluto più vicine alla sua sensibilità. Così è nata la proposta di rompere il “gemellaggio” tra le parole del cantante e la sua musica, considerando le prime come puri testi, e legare ad essi opere artistiche in un libro a tiratura limitata i cui proventi finanzino il gruppo Abele di don Ciotti».Che opere sue vi si trovano?«Tre. In una ho scritto “Vivere” a penna su sei foglietti di scotch e li ho attaccati sulla tovaglia. Chi ha visto Twin Peaks ricorderà le letterine sotto le unghie di Laura Palmer: volevo riprodurre l’idea di fragilità della vita, di una cosa delicata e destinata a svanire, che mi pare in sintonia col testo di Vasco. La seconda è un sampietrino avvolto con pagine dell’Apocalisse: in fondo il sasso - rock - colpisce, ma porta un messaggio. La terza (foto in pagina, ndr) è un tappo di penna Bic custodito sotto un bicchiere rovesciato: un equilibrio precario “sopra la follia”, che necessita di attenzione. Il vetro protegge, ma isola: è comunque un diaframma».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.