2020-12-10
Francesco Pazienza: «Caracciolo mi chiese soldi per L’Espresso»
L'ex 007 del Sismi: «L'editore voleva 5 miliardi di lire da Calvi e dal Banco Ambrosiano per salvare il gruppo ma non gradiva che si sapesse. Suo cognato Gianni Agnelli regalò un telefono d'oro a Licio Gelli. Mai ricevuto fondi dal capo della P2 in Svizzera, querelo».Nelle scorse settimane abbiamo fatto un'intervista all'ex collaboratore del Sismi Francesco Pazienza, condannato per il crac del Banco Ambrosiano e per il depistaggio sulla strage di Bologna. L'argomento era Cecilia Marogna, la presunta analista geopolitica che collaborava con il cardinale Angelo Becciu e che per questo avrebbe ricevuto sui conti di una sua società 500.000 euro dal Vaticano. Dopo l'intervista non avevamo più avuto contatti con Pazienza. Ma nelle scorse ore ci ha inviato un messaggio: «Citerò L'Espresso in sede civile. Tribunale di Milano. Avvocato Aldo Niccolini del Foro di La Spezia». Non capendo, abbiamo chiesto delucidazioni a Pazienza. E allora lui ci ha inviato un articolo del settimanale intitolato «Cinque milioni nei conti svizzeri della strage della stazione di Bologna». Denaro che sarebbe stato inviato da Licio Gelli e dalla sua P2, come ricostruito dai magistrati di Bologna. Nell'articolo si legge: «Un altro beneficiario dei soldi di Gelli per Bologna è Francesco Pazienza, che ha ricevuto diversi bonifici su conti svizzeri». I cronisti precisano che «cifre e date riscontrano i legami con la strage» e aggiungono che «Pazienza è già stato condannato sia per la bancarotta dell'Ambrosiano, per aver estorto soldi a Calvi, sia per il più clamoroso depistaggio piduista: armi ed esplosivi nascosti su un treno, nel gennaio 1981, per rilanciare l'ennesima pista estera». Nel servizio si legge anche che queste sono le nuove accuse formulate dai magistrati di Bologna e che la traccia del denaro sarebbe stata trovata nei «manoscritti segreti» di Gelli. Quei soldi sarebbero stati rubati dal Venerabile all'Ambrosiano, la banca portata al fallimento dal banchiere (piduista) Roberto Calvi, ucciso a Londra nel 1982 da ignoti sicari.Pazienza qual è la notizia che la offende?«Gelli mi ha mandato milioni di dollari in Svizzera? Porca miseria mi sa che mi sono dimenticato di ritirarli. Spero che ci siano ancora (ride, ndr). È vero che ho ricevuto danaro da Calvi, ma non certo da Gelli. Denaro utilizzato come accertato dai giudici Antonio Pizzi e Renato Bricchetti di Milano e che non ha una mazza a che vedere con quanto scritto dai fregnacciari dell'Espresso».Come ha usato quel denaro?«Ho distribuito soldi a mezza politica italiana, compresa la Democrazia cristiana internazionale».I nomi dei politici?«Questi non li faccio. Posso dire che ho inviato anche 4 milioni di dollari a Solidarnosc, come risulta dagli atti. Anche quelli arrivavano da Calvi».Però Calvi era amico di Gelli e anche i 5 milioni destinati a pagare i presunti stragisti provenivano dalla sua banca…«Che c'entra? È vero che io sono stato condannato per il crack dell'Ambrosiano, ma in sentenza si afferma chiaramente che non solo io non avessi un cazzo a che fare con P2 e Gelli, ma che anzi fossi nemico di tutta l'allegra compagnia. Poi c'è un'altra sentenza del Tribunale di Milano del 2002 dove si dice non solo che con Gelli non c'entravo nulla, ma anzi che ero suo nemico».Sono stati i pm di Bologna ad aprire questa nuova pista…«Ah, a proposito, sono stato condannato a Bologna perché, testuale, «Pazienza pur non conoscendolo, avendo saputo del programma di Gelli di depistare le indagini si mise a disposizione per acquistare meriti con il capo della P2 ed essere ammesso nella Loggia». Cazzo, se avessi saputo che mi aveva dato milioni di dollari avrei collaborato con più entusiasmo!».Dai giudici emiliani lei è stato considerato un depistatore…«Ribadisco che un altro Tribunale, quello di Milano, per due volte, ha stabilito che il presupposto di quell'accusa, cioè i miei rapporti con Gelli, era inesistente. Io sono stato anche denunciato dai magistrati di Bologna per calunnia e sono stato assolto a Firenze per ben due volte. Credo che sia un record italiano».Ho capito che non ha feeling con il Tribunale di Bologna. Ma gli inquirenti avranno le loro buone ragioni per sostenere quanto hanno ipotizzato.«Non so se ci sia davvero una pista investigativa che coinvolge. Quello che so è che, quando ho saputo dai giornali che era partita un nuovo filone d'inchiesta, ho spedito le carte milanesi che mi scagionano alla Procura generale di Bologna. È successo a inizio agosto. In ogni caso i buontemponi dell'Espresso avranno occasione di svergognarmi in un'aula di Tribunale perché ho incaricato l'avvocato Niccolini di procedere in sede penale e civile. Le riporto un aneddoto sui giornalisti italiani, scusandomi con lei: un giorno a pranzo, a New York, John Stacks, l'allora direttore del Time, mi disse che non collaborava con i giornalisti del nostro Paese perché la maggior parte di loro «scriveva quello che non sapeva e non scriveva quello che sapeva»».Lei rivendica di non aver avuto rapporti con Gelli, ma frequentavate gli stessi giri…«Agli atti della Commissione P2 ci sono le trascrizioni di telefonate tra Gelli ed i suoi compari Umberto Ortolani e Bruno Tassan Din in cui tutti si chiedevano chi cazzo fossi. Il più divertente era Tassan Din che sosteneva che io fossi della Cia. C'è, poi, un rapporto di varie pagine stilato su di me, nel novembre 1981, dal comandante generale della Guardia di finanza Nicola Chiari in cui veniva ricostruito tutto quello che avevo fatto dalla laurea fino alla fine del 1981 e in cui si diceva che ero rientrato in Italia dopo 10 anni all'estero. Di Gelli zero».Niente di niente?«C'è una lettera inviata all'avvocato Raffaele Giorgetti, lo storico legale del Venerabile, in cui tratto il suo cliente a pesci in faccia. Prima che scoppiasse lo scandalo P2 Gelli cercò di conoscermi e dissi che la cosa non mi interessava. Anche su questo punto la mia parola conta zero, ma contano le carte. Si rivolse a Mario Tedeschi, il direttore del Borghese, e io gli risposi che non me ne fregava una minchia. Ma lo sa perché quelli dell'Espresso mi hanno fatto arrabbiare così tanto?».No, perché?«Innanzitutto perché nel 1981 Carlo Caracciolo (editore dalla fondazione dell'Espresso ed ex presidente e amministratore delegato della Società editoriale La Repubblica, giornali oggi in mano agli eredi di Gianni Agnelli, già cognato di Caracciolo, ndr) veniva a casa mia a Roma col cappello in mano per un prestito di 5 miliardi di lire perché il suo gruppo editoriale era nella cacca per una situazione debitoria quasi disperata. Volevano i soldi, ma non potevano far vedere che a darglieli fossero Calvi e l'Ambrosiano. Roberto Ricco, il mio autista e guardaspalle dell'epoca, ha confermato in un interrogatorio alla magistratura i pellegrinaggi di Caracciolo alla mia abitazione. Ma anche io andavo da lui. Per esempio la sera del giorno in cui ci fu l'attentato al presidente Ronald Reagan ero a cena a casa di Caracciolo a Trastevere e le notizie pubblicate il giorno successivo sulla Repubblica erano dovute a informazioni raccolte da me dopo una telefonata dal suo appartamento a Washington a una mia conoscenza molto vicina ad Alexander Haig, l'allora segretario di Stato».Caracciolo era il cognato di Gianni Agnelli…«Posso dire qualcosa anche su di lui. Presso il tribunale di Firenze c'è una deposizione della segretaria personale di Gelli, Carla Venturi, in cui riferisce che il suo principale aveva ricevuto per le feste di Natale del 1978 un telefono d'oro spedito da Agnelli con un biglietto di auguri che diceva: «Per impreziosire le nostre conversazioni». E non è finita. Agnelli aveva una banchetta personale a Nassau nelle Bahamas. Il consiglio di amministrazione era composto da tre persone ed una di queste era Furio Colombo. Il problema nacque quando la Dea, l'agenzia federale antidroga americana, scoprì che trattavano soldi «curiosi» di colombiani di Medellin tanto che fu spiccato un mandato di cattura contro il presidente di quella banca che si rese uccel di bosco. Sicuramente Colombo e Gianni Agnelli non ne sapevano niente». Dopo aver scritto questa frase sulla chat, Pazienza aggiunge due faccine sorridenti. Quindi aggiunge: «Le svelo un ultimo aneddoto. L'altro giorno facendo pulizia ho trovato il conto da 82 dollari pagato al ristorante La brasserie di New York del dicembre 1980. Un pranzo offerto a Colombo. C'era anche il suo grande amico Michael Ledeen, intimo pure di Gianni Agnelli».Beh Ledeen è un personaggio molto chiacchierato, considerato vicino ai servizi segreti di mezzo mondo…«Più che ai servizi, a certi settori dei servizi americani e israeliani. Io lo ritengo un pezzo di merda. E un giorno le racconterò perché».