2022-07-26
Calenda spiazza Letta: «A Palazzo Chigi torni Draghi, non lui»
Carlo Calenda (Imagoeconomica)
Azione annuncia il patto con Emma Bonino, attira Mariastella Gelmini e sfotte Luigi Di Maio. Direzione dem in salita. Clemente Mastella: «O con me o perdete».«Letta è una persona seria, gli voglio bene ma non può fare il premier». Con lo stile risoluto che lo caratterizza, Carlo Calenda ha posto, nell’interlocuzione con il Pd, un paletto che sembra più simile a macigno. Lo ha fatto nella sede della stampa estera, a Roma, presentando assieme a Emma Bonino un «Patto repubblicano» che si rivolge sì ai dem in prima battuta, ma con l’obiettivo dichiarato di portarli lontano dalla sinistra di Roberto Speranza e Nicola Fratoianni e tenerli ancorati al nuovo mantra dell’«agenda Draghi». Nello schema di Letta, però, la tentazione dell’ammucchiata stile Unione è molto forte, e lo si intuisce da come ha preparato la direzione nazionale di stamani, parlando cioè di una «sfida tra noi e la Meloni», di un’agenda democratica e progressista con la disponibilità a «parlare con tutti, da Calenda a Fratoianni». Un’ipotesi che il leader di Azione e la Bonino hanno stroncato, mettendo sul tavolo 14 punti programmatici che già a una prima scorsa risultano indigeribili all’ala sinistra della coalizione vagheggiata da Letta, che terrebbe dentro anche gli ambientalisti di Europa Verde guidati da Angelo Bonelli. Su rigassificatori e termovalorizzatori, Calenda è andato giù duro, arrivando a proporre l’utilizzo dell’esercito per proteggere le aree dove dovranno sorgere gli impianti, sul modello di quanto fatto per il cantiere della Tav in Val di Susa. Per non parlare del sì all’energia nucleare e della richiesta di abolire il reddito di cittadinanza, tutti temi che per la pattuglia radical sono man mano diventati di bandiera, al pari che per il M5s. E che il segretario dem non abbia molto da rallegrarsi per l’attivismo di Calenda e dell’area laica liberale che gravita attorno a quest’ultimo è avvalorato dal fatto che il Patto repubblicano, verosimilmente, risulterà il polo di aggregazione più significativo per i draghiani, visto che qualche minuto dopo la sua presentazione è arrivata via Twitter l’adesione del ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Un’anticipazione di ciò che potranno essere le fibrillazioni del «campo largo» senza grillini l’ha data la polemica nata tra Calenda e il responsabile enti locali del Pd e sindaco di Pesaro, Matteo Ricci. Al veto su Letta candidato premier posto dal leader di Azione, per il quale il candidato è Mario Draghi e «forzare su questo punto chiuderebbe immediatamente la discussione», Ricci ha opposto che «mettere veti e paletti è il modo peggiore per affrontare la campagna elettorale. Chi non si allea con il Pd», ha aggiunto, «avvantaggia la destra». Ma i problemi, per Letta, non arrivano solo da alleati veri o potenziali, perché uno dei punti all’ordine del giorno della direzione sarà quello scottante della composizione delle liste, resa drammatica dal taglio dei parlamentari voluto dai grillini. Perché ci sarà la necessità, se si vorranno cementare gli accordi di coalizione, di garantire un diritto di tribuna ai leader degli alleati. Tra questi, dovrebbe esserci Luigi Di Maio, colto di sorpresa dalla caduta dell’esecutivo e ora in cerca di un alloggio politico per sé e per il suo cerchio magico, vista l’impossibilità di strutturare a dovere la sua nuova creatura politica in solo un mese e mezzo di tempo. La prospettiva più concreta di rielezione, per lui, non può che arrivare da un patto con il Pd, e la preoccupazione dell’inquilino della Farnesina di non creare problemi ai piani alti del Nazareno si evince anche da come ha reagito - o meglio - non ha reagito alla stoccata di Calenda, il quale ha replicato sprezzante a chi faceva il nome del ministro: «Non so di chi si stia parlando». Chi invece, almeno a parole, non avrebbe alcun problema ad andare da solo è Matteo Renzi, per il quale «se le alleanze devono servirci per racimolare tre seggi non ci interessa: le poltrone», ha aggiunto, «contano ma le idee contano di più». Ben sapendo di non poter stare in una coalizione dove ci sono anche quelli che ha praticamente espulso dal Pd quando era segretario, Renzi si diverte a rompere le uova nel paniere a Letta, consigliandoli di portare come candidato premier il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ieri ha fornito la propria ricetta per intercettare il voto in uscita dai grillini, senza però fare con loro un’alleanza organica. «Fossi al posto di Letta», ha detto Renzi, «sceglierei uno bravo a vincere le elezioni che sembravano già perse, cioè Bonaccini». Non manca però chi vorrebbe ancora ricucire con Giuseppe Conte, e non manca all’appello nemmeno questa volta un’icona del centrismo italiano come Clemente Mastella, che ha presentato la sua nuova creatura dal nome «Noi di Centro», che rispolvera il fascino vintage dell’Udeur e delle coalizioni monstre guidate (se così si può dire) da Romano Prodi. Il sindaco di Benevento ed ex ministro della Giustizia, proponendosi al segretario del Pd, ha fatto presente il consenso di cui gode nel Mezzogiorno e ha decantato le virtù apotropaiche del proprio partito: «L’ultima volta che in Italia ha vinto il centrosinistra», ha detto, «è stato il 2006. Chi c’era nel 2006? Mastella. E vinsero grazie ai voti della Campania. Quindi», ha concluso, «non fosse altro che per scaramanzia, per un po’ di iella da evitare, consiglio di fare l’alleanza con noi».
Dario Franceschini (Imagoeconomica)
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)