
Rivelazione di segreti, assolto pure l’altro imputato, l’ex pm Stefano Fava. Per quest’ultimo, i giudici bocciano anche la contestazione di abuso d’ufficio ma gli danno cinque mesi per accesso abusivo.Nella caccia alle fonti dei giornalisti, specialità della casa, ieri la Procura di Perugia ha dovuto segnare un punto a sfavore. Il collegio presieduto da Alberto Avenoso ha infatti assolto il giudice di Latina Stefano Fava e l’ex pm Luca Palamara dall’accusa di aver rivelato ai giornalisti della Verità e del Fatto quotidiano «notizie d’ufficio che avrebbero dovuto rimanere segrete» e che invece sono state pubblicate in due articoli datati 29 maggio 2019. All’inizio i fatti contestati erano più numerosi, ma il capo di imputazione era stato via via corretto e per un’accusa è stata emessa sentenza di non luogo a procedere. Così alla fine la notizia che non doveva essere divulgata era rimasta una sola e riguardava una misura cautelare predisposta in un procedimento contro il faccendiere Piero Amara per autoriciclaggio su cui Giuseppe Pignatone non aveva posto il visto. In realtà gli articoli in questione avevano al centro ben altro tema e riguardavano l’esposto che l’allora pm capitolino Fava aveva presentato al Csm su una presunta incompatibilità a trattare alcuni fascicoli del suo vecchio capo, il procuratore Pignatone, per via, come vedremo, di rapporti economici tra un paio di indagati della Procura con un suo fratello. Le vicende successive hanno dimostrato come le ipotesi di reato per le quali Fava sollecitava le misure cautelari fossero entrambe fondate poiché per la bancarotta della società P&G Amara, dopo l’esonero di Fava, ha poi patteggiato senza subire neppure il sequestro del profitto del reato di oltre un milione di euro, e per il riciclaggio compiuto mediante la società Napag Amara è stato rinviato a giudizio a Milano nell’ambito del cosiddetto procedimento «Complotto» con numerose altre imputazioni tra le quali una per associazione a delinquere finalizzata al depistaggio e della quale avrebbero fatto parte anche alcuni dirigenti dell’Eni immediatamente licenziati. Ma all’epoca la Procura di Roma considerava Amara un testimone d’accusa fondamentale in un processo per corruzione in atti giudiziari e per questo suo ruolo di impumone (imputato-testimone) aveva evitato il carcere. Fava era accusato da Perugia di aver partecipato a riunioni riservate e di aver diffuso le notizie vietate «con l’aiuto e l’istigazione» di Palamara. AssoltiAlla fine i due sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Questo significa che per i giudici le fonti dei giornali erano altri soggetti, che non sono stati identificati. Per questo Palamara, che in questo processo era davvero stato tirato per i capelli dai pm perugini, ha chiuso definitivamente i suoi conti con la Procura di Perugia, dopo aver patteggiato in due diversi procedimenti il reato di traffico di influenze illecite (recentemente depotenziato dalla riforma voluta dal Guardasigilli Carlo Nordio). Un’accusa bagatellare se confrontata con quella iniziale di corruzione, che si è via via ridimensionata.Ieri l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati ha esultato: «Questa sentenza certifica che non ho mai voluto il male della magistratura e soprattutto che non ho mai tramato contro nessun magistrato come in maniera roboante avevano titolato i giornali del Sistema». E a proposito di questi e degli articoli che lo avevano infilzato nel maggio del 2019 con accuse poi cadute, ha aggiunto: «La mia ricerca della verità continuerà per capire chi e perché il 29 maggio del 2019 pubblicò quegli articoli con l’evidente intento di impedire che Marcello Viola potesse essere nominato procuratore di Roma interferendo con l’attività di un organo di rilievo costituzionale come il Csm e consentendo altresì un mutamento dei rapporti di forza nella correntocrazia che ancora oggi pervade il mondo della magistratura». Gli altri filoniE sul punto aggiunge pugnace: «A Firenze sono ancora aperti fronti di indagine sul punto e cercherò di dare il mio apporto». Al contrario dell’ex leader di Unicost, Fava era anche accusato di abuso di ufficio, reato abolito ieri in via definitiva dal Parlamento. Ma i giudici, sul fotofinish, hanno avuto il tempo di decidere e di assolvere l’imputato sul punto. La contestazione si basava su tre presunte iniziative illecite dell’ex pm, il quale avrebbe svolto atti di indagine su colleghi del suo stesso distretto; avrebbe depositato al Csm un esposto «in cui presentava una versione volutamente incompleta degli adottati dal procuratore in ordine a supposte ragioni di incompatibilità per la trattazione di alcuni procedimenti e di quanto emerso nel corso di apposite riunioni tenutesi alla presenza di altri colleghi dell’ufficio» e avrebbe «veicolato informazioni riservate acquisite nella sua veste istituzionale a organi di stampa, mediante la condotta di rivelazione». Alla fine i giudici hanno stabilito che l’abuso d’ufficio, per come ricostruito dai pm, non sussiste. Il collegio ha, invece, condannato Fava a 5 mesi di reclusione senza menzione sul casellario giudiziale (volgarmente detta fedina penale) per il primo capo d’imputazione, quello di accesso abusivo agli archivi informatici del Tribunale, effettuato per acquisire copia dei verbali di udienza e della sentenza di un procedimento contro il giudice Brunella Bruno, definito nel 2016. Tanto è bastato a dare soddisfazione alle parti civili che si erano costituite nel processo: il ministero della Giustizia (a cui Fava, se la sentenza dovesse diventare definitiva, dovrà rifondere 20.000 euro), l’associazione Cittadinanza attiva (destinataria di altri 8.000 euro) e lo stesso Ielo (per lui 1 euro simbolico, come richiesto dallo stesso). Per la Procura l’accesso incriminato era stato «operato per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita» a Fava, con l’aggravante di essere stato effettuato da un pubblico ufficiale. Per i magistrati l’ex pm capitolino avrebbe stampato quei documenti «al fine di avviare una campagna di stampa ai danni» di Pignatone e Paolo Ielo, «da effettuarsi anche mediante l’ausilio» di Palamara.Alla fine questa finalità sarebbe stata riconosciuta dai giudici, i quali hanno concesso il risarcimento simbolico a Ielo. Misteri irrisoltiNon è chiaro, però, come si sarebbe realizzata la campagna mediatica progettata da Fava, visto che l’accusa di rivelazione di segreto (ai giornali) e quella di abuso di ufficio (collegata dagli inquirenti sempre alla campagna stampa) sono cadute. Le toghe hanno ipotizzato, come ha già fatto la Procura, che le mosse di Fava puntassero all’«apertura di un procedimento penale presso la Procura di Perugia» nei confronti di Ielo? Oppure si sono limitate a registrare l’illiceità di quella interrogazione alla banca dati e a collegarla a un generico intento denigratorio nei confronti dell’ex aggiunto? In attesa di comprendere il ragionamento che ha portato alla sentenza può essere utile spiegare perché Fava abbia cercato proprio gli atti legati al processo Bruno. Nell’esposto al Csm il magistrato aveva segnalato gli incarichi affidati da Amara e da amici di Amara (come l’imprenditore Ezio Bigotti) al fratello di Pignatone, Roberto. Ma, negli allegati, aveva riportato anche notizie di consulenze assegnate all’avvocato Domenico Ielo, fratello di Paolo, dall’Eni, società ai tempi indagata insieme con Amara e di cui quest’ultimo era influente legale esterno. Successivamente Fava ha scoperto, come è emerso nel dibattimento, che il legale aveva ricevuto incarichi anche dalla società Condotte in amministrazione straordinaria di cui era commissario l’avvocato Giovanni Bruno, fratello del giudice Brunella Bruno, imputata e assolta, come abbiamo visto, nel 2016 in un procedimento in cui l’accusa era rappresentata da Ielo e la difesa dallo stesso Amara. Fava aveva cercato di capire se l’assoluzione e le ricche consulenze fossero collegate e aveva riferito ai pm di Perugia ciò di cui era venuto a conoscenza nell’interrogatorio del 4 giugno 2019. Ma gli inquirenti non hanno ravvisato risvolti penali in queste vicende, se non nelle ricerche dell’ex pm. Da parte sua, Ielo ha sempre rivendicato di avere portato a giudizio la Bruno e di aver chiesto la sua condanna. Ma Fava, nei suoi interrogatori, ha citato come motivo di sospetto il fatto che il collega non avesse fatto appello contro l’assoluzione. E ha anche ricordato che Amara aveva fatto designare Giovanni Bruno come difensore del suo amico Bigotti in un procedimento oggetto di indagine per corruzione in atti giudiziari da parte della stessa Procura di Roma. Le consulenzeFava, in aula, ha paragonato le consulenze dell’indagato Bigotti al fratello di Pignatone a quelle affidate dal difensore di Bigotti (Bruno, tramite Condotte) al fratello di Ielo. Accostamenti suggestivi che i pm non hanno ritenuto di approfondire. E a finire condannato, per una sorta di contrappasso, è stato l’ex sostituto procuratore con fama di talebano incorruttibile e un po’ manettaro. Ricordiamo che il processo era stato preannunciato profeticamente da un articolo del Corriere della sera del 31 maggio 2019 ove si parlava di «discredito» cagionato a Ielo e Pignatone dagli articoli del 29 maggio della Verità e del Fatto quotidiano, servizi che andavano attribuiti a Palamara e Fava poiché Ielo e Pignatone avevano trasmesso a Perugia gli atti dai quali è poi nata l’indagine per corruzione di Palamara dimenticando che lo stesso Fava aveva condiviso tale trasmissione e in altri casi aveva inoltrato atti a Perugia nei confronti di numerosi altri magistrati tra i quali anche il collega Palamara.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.