2020-04-16
Sognano
un’altra Mani Pulite per fermare la Lega
Non serve una grande fantasia per capire chi ci sia nel mirino dell'inchiesta sulle morti nelle case di riposo della Lombardia. Ma se qualcuno fosse dotato di poca immaginazione può sempre contare sulle pagine di Repubblica, quotidiano che da sempre raccoglie gli spifferi in arrivo dalle Procure e, non (...) (...) di rado, li anticipa o addirittura li indirizza. Sì, l'indagine punta ai vertici della Regione, cioè ad Attilio Fontana, al suo assessore alla Sanità, Giulio Gallera, e ai funzionari responsabili del sistema sanitario. Non so se il governatore e il suo braccio destro nei giorni dell'emergenza siano stati iscritti nel registro degli indagati. Forse no, ma di sicuro è solo questione di tempo. Da quando il Pd, tramite i suoi sindaci e i suoi amministratori, ha cominciato il tiro al piccione contro i vertici regionali era chiaro che si finiva lì. Se poi qualcuno avesse avuto dubbi ecco scendere in campo Repubblica con un titolo inequivoco, dedicato a Mani pulite anno 2020, forse nella speranza che i magistrati ripetano quello che fecero quasi 30 anni fa e cioè spazzino via l'intera classe dirigente moderata. Sì, l'idea è sempre la stessa. Siccome la sinistra non riesce a essere maggioranza in questo Paese, e dunque teme le elezioni più di ogni altra cosa perché sa che non ha nessuna possibilità di vincere, alla fine spera sempre che a salvarla ci pensino i pm, ingabbiando gli avversari. In questo caso, colpire Fontana e affondare il sistema lombardo, accusando i vertici della Regione di inefficienza, ma anche, perché no, di epidemia colposa, equivarrebbe a colpire l'intera opposizione, affondando in primo luogo la Lega, vale a dire Matteo Salvini, e poi tutti gli altri, partendo da Forza Italia per finire a Fratelli d'Italia. Per i compagni vorrebbe dire avere la strada spianata, cioè non aver paura del voto e dunque neppure di un rimpasto o di una crisi di governo. Affondare Fontana, e di conseguenza il capitano leghista e i suoi alleati, consentirebbe, se necessario, perfino di fare lo sgambetto all'avvocato del popolo, rispedendolo da dove è venuto, cioè a casa. Sì, insomma, ci sono diversi vantaggi e molti calcoli politici se quest'inchiesta così attesa e così sollecitata arrivasse davvero là dove ieri ha scritto Repubblica, cioè ai vertici della Regione.Si dirà: ma qui, a differenza di Tangentopoli, ci sono di mezzo molti morti e per di più tantissimi anziani ospiti di residenze sanitarie che fino a ieri, secondo la Regione, erano il fiore all'occhiello nell'assistenza alle persone sole e ai disabili. È vero, la percentuale di decessi impressiona, perché in qualche caso si arriva al 20 per cento degli ospiti. Ma siamo sicuri che l'alto numero di vittime sia conseguenza diretta della negligenza di pubblici amministratori che avevano in gestione queste case di riposo? Che dietro i morti ci siano gli interessi pubblici e privati degli operatori sanitari, come scrive Roberto Saviano?Ma perché nelle Rsa gli operatori non erano dotati di mascherine, chiedono con insistenza dalle pagine di Repubblica i cronisti che hanno fiutato l'odore del sangue? Perché gli accessi di persone esterne non sono stati bloccati? Le risposte stanno nelle direttive dell'Istituto superiore di sanità e dell'Oms. Fino a prima che l'epidemia esplodesse e facesse migliaia di morti, nessuno dei massimi esperti ai vertici delle due organizzazioni riteneva indispensabili le mascherine. Del resto, per paura di vedersi contestata la spesa dalla Corte dei conti, agli inizi dell'emergenza nessun amministratore - tranne Giuseppe Conte - ne ha fatto incetta. La sottovalutazione del problema da parte di chi - da Costituzione - ha il compito di vigilare sulla salute pubblica, ossia il governo, è evidente anche per quanto riguarda il blocco delle visite dei parenti. Fino al 3 marzo nessuno aveva dato l'ordine di limitare gli accessi e solo dopo il 9 è arrivata la disposizione di chiudere tutto e isolare le case di riposo.Del resto, è inutile chiedersi perché nelle Rsa il personale non aveva la mascherine se fino all'altro ieri non l'avevano neppure i medici e gli infermieri impegnati in corsia. Per l'Iss a indossare i dispositivi di protezione dovevano essere i malati. E Angelo Borrelli, il gran capo della Protezione civile, pur di contraddire la Lombardia, fino all'altro ieri diceva che lui la mascherina non l'avrebbe messa.Quella in corso è una caccia alle streghe. Alimentando le paure si vuole fare un bel falò. E, come sempre in questi casi, il fuoco è alimentato dal rancore.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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