I giornali fanno a gara per giustificare i sette minori scappati dal Beccaria di Milano, arrivando a chiedersi come mai dei giovani fossero in carcere. Semplice: perché avevano commesso dei crimini. Commuoversi e commiserarli non gioverà al loro recupero.
I giornali fanno a gara per giustificare i sette minori scappati dal Beccaria di Milano, arrivando a chiedersi come mai dei giovani fossero in carcere. Semplice: perché avevano commesso dei crimini. Commuoversi e commiserarli non gioverà al loro recupero.L’evasione? Ovvio, «c’erano la transenne». Se ci sono le transenne, come fai a non evadere? È quasi obbligatorio. Quasi un regola fissa: ogni volta che c’è una transenna si scappa dal carcere. Le transenne sono un «invito alla fuga». Proprio un invito, praticamente un permesso. Hanno scritto così. E poi: «Era un cantiere infinito, si facevano lavori da anni». Ecco: allora hanno fatti quasi bene a evadere quei sette ragazzi. Probabilmente erano indignati per l’inefficienza italiana nella realizzazione dei lavori pubblici. Dunque il loro non è stato un reato. Macché. È stata una protesta civile. Un appello accorato. Un richiamo ai valori della Repubblica. Anche perché, poi, non c’è mica solo da ribellarsi per i lavori eterni e i cantieri infiniti. C’è da ribellarsi anche per altri questioni. Il personale, per esempio. Nel carcere minorile Beccaria, per dire, non c’è nemmeno un direttore effettivo, ma solo un «facente funzione». E dunque è chiaro: che fai con il facente funzione? Evadi. Sempre. Con il direttore effettivo, invece, no. I delinquentelli in questo sono precisi: s’informano prima. Scusi, lei, è direttore effettivo o facente funzione? Perché se è facente funzione evadiamo. Nel caso fosse direttore effettivo, invece, rientriamo in cella buoni buoni a mangiare la minestrina… A leggere i giornali l’evasione dei sette ragazzi (tre ancora ricercati) dal carcere di Milano è colpa di chiunque. Tranne che loro. È colpa degli «spazi ristretti», degli «educatori precari», del fatto che «manca un direttore da vent’anni», e ovviamente soprattutto è colpa del «cantiere infinito» con i lavori che si prolungano dal 2007, tra ritardi, fallimenti e ricorsi al Tar, come accade in buona parte delle opere pubbliche italiane. Sia chiaro: tutte cose che ci indignano e che non dovrebbero esistere. Ma che in alcun modo giustificano un’evasione. La quale evasione, fino a prova contraria, non è un’«espressione di fragilità» né un moto di «insofferenza» e nemmeno «un’opposizione verso l’istituzione», come hanno scritto ieri a reti unificate tutti i giornali. È un reato. Un reato, per altro, commesso per uscire dal carcere da chi aveva commesso reati anche per entrarci, nel medesimo carcere. Forse vale la pena ricordarlo perché ieri una prestigiosa collega, Liana Milella, su Repubblica concludeva la sua intervista al capo dipartimento per la giustizia minorile, Gemma Tuccillo, chiedendole: «Non è che ora rischiamo di criminalizzare i giovani detenuti?». Ecco: no. Noi non criminalizziamo nessuno. I giovani detenuti si sono criminalizzati da soli. Da tempo. Commettendo reati. Altrimenti non sarebbero stati detenuti.È insopportabile l’alone di buonismo che circonda la «fuga di Natale». Già il fatto che sia datata 25 dicembre l’ha immersa di un’aura magica, quasi fosse avvenuta con la slitta di Santa Klaus. «In campo i genitori e i nonni per farli tornare in cella», titolo il Qn. Ovvio: a Natale la famiglia si riunisce sotto l’albero dell’evasione. E poi tutto uno stracciarsi di vesti per il «disagio» di questi poveri ragazzi, il cui gesto non provoca condanna, ma al massimo «amarezza», come spiega la medesima Tuccillo a Repubblica. Avvenire parla di «fuga annunciata», il sindaco Sala se la prende con i lavori in corso (ovvio) come quasi tutti i quotidiani. L’ex magistrato Gherardo Colombo sulla Stampa attacca «le celle che sono discariche sociali», e poi quasi si stupisce perché in Italia «nessuno oggi proporrebbe l’abolizione del carcere». Pensa un po’ che bizzarri questi italiani, si ostinano a essere contrari ad abolire il carcere. Il Riformista come al solito esagera: «Ma che cosa ci fanno quei ragazzi in galera?», titola a tutta pagina accusando l’«ipocrita crudeltà degli adulti». Ipocrita crudeltà? Confesso la mia colpa: non mi sento in colpa per quei ragazzi. Penso che siano i primi responsabili di quello che succede loro. Non la società, il destino cinico e baro o i lavori in corso nelle strutture penitenziarie. No: loro. Ad agosto nel medesimo istituto Beccaria alcuni giovani detenuti hanno violentato in modo orrendo un loro compagno di cella: colpa dei cantieri eterni? Dopo la fuga dei sette, gli altri rimasti dentro hanno scatenato la rivolta, incendiando i materassi e intossicando quattro agenti: colpa del direttore «facente funzione»? Sarò crudele, ma non ipocrita: se quei ragazzi stavano lì è perché prima hanno commesso dei reati e spesso hanno anche fallito il percorso in comunità che precede l’ingresso in carcere. Dunque hanno scelto di essere criminali. Deliberatamente. Senza che nessuno li criminalizzasse. E questo va fatto loro capire. Altrimenti non smetteranno mai di esserlo. La pena deve essere rieducativa, certo: ma come si fa a rieducare qualcuno che sbaglia, se prima non gli si spiega che sta sbagliando? È chiaro: tutti noi vorremmo carceri più efficienti, direttori stabili e non precari, lavori pubblici che non durano quindici anni e cantieri che aprono e chiudono in un batter d’occhio. Ma a un ragazzo che ruba ed evade, se davvero ci tieni a recuperarlo, devi dire che l’errore più grande è stato il suo. Non quello delle transenne. Altrimenti non lo recuperi più.
Friedrich Merz (Ansa)
Rheinmetall, big dei veicoli da guerra, acquista la tedesca Nvl e si allarga sulla marina. Se però Fincantieri punta i sottomarini di ThyssenKrupp, il governo si mette di traverso.
Ansa
Leone XIV torna a invocare il cessate il fuoco nella Striscia e il rilascio dei rapiti: «Dio ha comandato di non uccidere». L’Ue annuncia sanzioni contro Israele, ma per i provvedimenti più severi servirà l’ok del Consiglio. Decisive Germania e Italia.
(IStock)
Prima di rimettere in circolazione il maliano di San Zenone, la giudice progressista «graziò» un altro straniero che abusava della moglie. Dopo 40 giorni fece retromarcia.