Bufera sulle foto anti droga a scuola. Per i vaccini invece tutto era lecito

Se non fosse che il moralismo d’accatto è già di per sé indigesto, doverlo subire a giorni alterni lo rende particolarmente insopportabile. E surreale, come la polemica scoppiata sulla lezione di prevenzione sull’uso di sostanze stupefacenti organizzata dalla scuola cattolica padovana Don Bosco per gli studenti degli ultimi anni del liceo, tutti ragazzi di 17 e 18 anni, promossa dal Dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova e dal Dipartimento di Sanità pubblica, Medicina sperimentale e forense dell’Università di Pavia.
Laura Scramoncin, preside dell’Istituto, una scuola paritaria salesiana, ha chiamato Giovanni Cecchetto, professore di medicina legale all’Università di Pavia, per spiegare agli studenti qual è l’effetto dell’uso di droga. E il docente, insieme con la psichiatra Cristina Cecchetto e Guido Viel, direttore della scuola di specializzazione di Medicina legale di Padova, ha deciso di usare il linguaggio della verità, mostrando immagini molto crude provenienti dagli archivi delle forze dell’ordine e dagli ospedali: cadaveri di giovanissimi morti per droga sul tavolo dell’obitorio. Vite spezzate, come quella del ragazzo il cui cuore ha cessato di battere in discoteca dopo aver assunto cocaina, della ragazza che aveva voluto provare una pasticca di ecstasy a un rave party o del giovane ucciso dal metadone: «Hanno la vostra età», ha sottolineato Cecchetto, evidenziando come anche l’assunzione di una sola pasticca possa rivelarsi fatale. Durante l’incontro sono state proiettate anche le foto degli effetti meno conosciuti della tossicodipendenza: endocarditi, ulcere su gambe e braccia, fasciti necrotizzanti, erosioni gengivali, tessuti devastati. «Vogliamo bloccare la curiosità prima che sia troppo tardi», ha sottolineato Cecchetto.
La lezione è andata a segno: «Ci hanno fatto vedere quello che nessuno ha mai il coraggio di raccontare davvero. Questa è la realtà e fa paura», hanno dichiarato gli studenti. «I ragazzi ci hanno riempito di domande», ha confermato la preside, «anche se un solo studente cambierà idea sulla droga avremo vinto», ha spiegato Cecchetto.
Obiettivo raggiunto, insomma - anche perché sollecitato da genitori e docenti che da anni chiedono azioni incisive - se non fosse che dell’iniziativa hanno cominciato a parlare i giornali, scatenando polemiche tanto surreali quanto pretestuose: dalla professoressa padovana che ha definito l’azione del don Bosco «una cosa mostruosa» all’immancabile psicologa che ha parlato di «inutile spettacolarizzazione di una cosa molto seria». Voci inspiegabilmente afone, però, quando «spettacolarizzare» era servito per terrorizzare i ragazzi e spingerli alla vaccinazione anti Covid. Si pensi alla campagna di Parent Project, associazione di pazienti affetti da distrofia muscolare, che a novembre 2021 ha sbattuto in prima pagina giovani testimonial disabili, in gravi condizioni e alimentati con il sondino, cui è stato fatto recitare l’agghiacciante slogan «Poteva andarmi peggio, potevo nascere no vax».
Incommentabile anche il raccapricciante spot promosso da Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, per scoraggiare la promiscuità: uno spot che associava le terribili immagini delle terapie intensive a quelle di ragazzi che prendevano lo spritz; per non parlare della campagna anti-fumo con cui l’Unione europea tartassa i cittadini da una ventina d’anni, ponendo foto di polmoni marci o di feti abortiti sul retro dei pacchetti di sigarette. Perché tutto è lecito, alla fine, ma soltanto a giorni alterni.





