True
2020-11-30
Bruxelles vuole in ogni Paese una sede costosissima solo per farsi propaganda
Ansa
Si scrive «Europa Experience», si legge tempio dell'europeismo. Sono attualmente 5 i centri «concepiti per avvicinare i visitatori dell'Unione europea attraverso esposizioni che combinano elementi progettuali e allestimenti innovativi con tecnologie mediatiche all'avanguardia, nonché con funzionalità interattive»: Berlino, Copenaghen, Helsinki, Lubiana e Tallinn. Centri luminosi e futuristici, all'interno dei quali muovendosi tra tablet, giganteschi schermi e morbide poltroncine ci si può informare sul «ruolo degli attori dell'Ue, il modo in cui le istituzioni lavorano nella pratica, come i cittadini possono plasmare la politica dell'Unione e i vantaggi che l'Ue apporta nella vita quotidiana». Tra le possibilità offerta ai visitatori: l'esplorazione di una grande mappa per scoprire i traguardi e gli obiettivi dell'Ue; esplorare i profili dei parlamentari che siedono nell'emiciclo di Strasburgo; farsi un selfie da lasciare ai posteri; accomodarsi in una sala cinematografica a 360 gradi per immergersi in una sessione plenaria dell'Europarlamento quasi come se ci si trovasse tra i banchi. Insomma, si tratta di veri e propri mausolei costruiti apposta per inebriarsi di spirito europeista.
Tutto bene, se non fosse che le prestigiose location richiedono il pagamento di affitti a molti zeri, per non parlare dei costi di manutenzione e le spese ordinarie, come luce, gas e acqua. Senza contare il personale impiegato all'interno di queste strutture. Quantificare con precisione i soldi dei contribuenti investiti per l'allestimento e la gestione degli Europa Experience è risultata impresa impossibile anche per i nostri contatti all'interno del Parlamento europeo. Tanto per rendersi conto delle cifre in gioco, occorre andare al capitolo di spesa relativo a quei 35 uffici di collegamento (cosiddetti «liaison office») dell'Europarlamento disseminati un po' in tutto il continente, per scoprire che la cifra di 8,9 milioni di euro prevista per il 2020 sarà innalzata a 9,4 milioni nel corso dell'anno venturo.
Sono importi che tuttavia non comprendono gli interventi straordinari. Grazie a uno dei quesiti presentati dai parlamentari europei in occasione del discarico del bilancio 2019, è stato possibile sapere qualcosa in più di questi lavori. Per ciò che concerne la sede di Tallinn, in Estonia, si parla di 1.275.000 euro per ristrutturazione e allestimento, 198.000 euro per l'affitto di uno spazio addizionale (più 36.000 euro di spese accessorie) e 11.700 euro per consulenze tecniche, tutto a carico della Direzione generale infrastrutture e logistica (Dg Inlo).
A questi esborsi vanno aggiunti 1,9 milioni a carico della Direzione generale comunicazione (Dg Comm). Per la sede danese di Copenaghen, invece, la Dg Inlo ha sborsato 153.000 euro, mentre altri 686.000 euro sono arrivati dalla Dg Comm. Non paghi di questa emorragia di denaro, nel novembre 2019 gli euroburocrati hanno pensato bene di proporre l'estensione del progetto Europa Experience a tutti gli Stati membri entro il 2024. Ci avrà pensato la pandemia a bloccare tutto, direte voi. E invece no. Lo scorso 30 settembre è stata approvata una road map delle installazioni, successivamente esposta in un documento diramato una settimana dopo ai membri dell'Ufficio di presidenza. Nel giro di pochi anni, dunque, ogni Paese dell'Unione europea potrà vantare una sede tutta sua.
Tra gli otto progetti più avanzati, c'è quello riguardante la sede italiana. Nel mirino di Bruxelles un luogo davvero da favola. «Lo scorso 7 maggio 2020 (pochi giorni dopo la fine del lockdown, ndr)», si legge nella nota, «è stata avviata una procedura negoziata al fine di concludere un appalto immobiliare per un'installazione “Europa Experience" autonoma su Piazza Venezia, comprendente una mostra interattiva, un cinema e un gioco di ruolo destinati principalmente a gruppi scolastici». Quasi 1.000 metri quadrati nell'edificio delle Assicurazioni Generali, dirimpetto a Palazzo Venezia, quello cioè dal cui balcone si affacciava il duce per arringare le folle. Una location prestigiosa e allo stesso tempo centralissima sulla quale il Bureau aveva già messo gli occhi dal 2016, e che «permette di beneficiare dell'eccezionale situazione di Piazza Venezia in termini di visibilità e flusso pedonale».
Costo del giocattolino: 21 milioni di euro solo per il primo anno. Nel documento bollinato dalla Direzione generale Bilancio a metà novembre, l'elenco dei costi punto per punto. Metà dell'importo serve solo a pagare l'affitto, pari a 900.000 euro al mese. Al canone di locazione vanno poi aggiunti 4,4 milioni di costi operativi, l'acquisto di attrezzature multimediali e mobili per 1,9 milioni, il servizio di sorveglianza per 2,4 milioni. Le spese ricorrenti (pulizie, elettricità e assicurazioni) superano poi agevolmente 1,3 milioni di euro l'anno. Ormai siamo in dirittura d'arrivo: la firma del contratto è prevista infatti già per gennaio 2021, con la conclusione dei lavori fissata per luglio 2022 e relativa inaugurazione nel mese di agosto 2022.
Ancora più costosa la sede di Parigi, situata a Place de la Madeleine, a poche centinaia di metri dal Louvre. L'affitto per 1.452 metri quadrati, pari a 1,75 milioni di euro al mese, è quasi il doppio rispetto a quello dei locali romani. Tra costi operativi (8,7 milioni), ristrutturazione (5 milioni) e spese fisse (8 milioni), l'impatto finanziario per il primo anno e mezzo si aggira intorno ai 54 milioni di euro.
Anche in questo caso il Covid non ha fermato il folle shopping di Bruxelles. La procedura negoziata per Europa Experience è stata infatti avviata il 6 aprile scorso e i tavoli tecnici sono andati avanti per tutto l'anno. Come per Roma, la firma del contratto è prevista per gennaio 2021, ma i lavori dovrebbero terminare prima, a marzo 2022, per poi avviare la struttura già il mese dopo. Sono a buon punto le sedi di Praga, Stoccolma, Varsavia e Vienna, tutte attese per la fine del 2022. Le altre installazioni seguiranno, come da cronoprogramma, entro il 2024. Pandemia o no, per quella data potremo «adorare» l'Unione europea da ogni angolo del continente.
A Kessler, alto dirigente in quota Pd 14.000 euro al mese senza lavorare
Un assegno mensile da oltre 14.000 euro lordi senza lavorare. È questo il regalo che la Commissione europea ha piazzato sotto l'albero di Natale di Giovanni Kessler, politico trentino di lungo corso con più incarichi nel cassetto che capelli sulla testa, nonché marito del giudice della Corte costituzionale Daria de Pretis. L'11 novembre scorso la Commissione europea ha infatti deciso di applicare nei suoi confronti l'articolo 50 dello Statuto dei funzionari delle istituzioni continentali, il quale prevede che «il funzionario dispensato dall'impiego, e che non venga assegnato ad altro impiego corrispondente al suo grado, gode di un'indennità» variabile in funzione dell'età e dell'anzianità di servizio. Non si tratta affatto di una prassi comune, dal momento che la Commissione l'ha applicata per l'ultima volta nel 2011.
Dopo nove lunghi anni, dunque, l'articolo 50 è stato riesumato. Ma vediamo cosa prevede la famigerata norma. «Il funzionario ha diritto: a) per tre mesi ad un'indennità mensile pari al suo stipendio base; b) per un periodo determinato, in funzione dell'età e della durata dei servizi, in base alla tabella di cui al paragrafo 3, a un'indennità mensile pari: all'85% del suo stipendio base dal quarto al sesto mese, al 70% del suo stipendio base durante i 5 anni seguenti, al 60% del suo stipendio base oltre tale periodo». L'indennità viene corrisposta fino al compimento dei 66 anni. Uno scivolo dorato fino alla pensione. Nel caso di Giovanni Kessler, che ricopre il massimo grado di funzionario europeo (Ad16) con una retribuzione che va dai 19.000 ai 20.600 euro, i conti sono presto fatti. Se i nostri calcoli sono esatti, a far data dal 1° dicembre, per tre mesi, Kessler percepirà lo stipendio pieno senza muovere un dito; da marzo a maggio circa 17.000 euro lordi al mese; da giugno in poi e fino al termine previsto (giugno 2022) circa 14.000 euro lordi al mese.
Non appena si è sparsa la voce sono piovute reazioni indignate nei confronti della decisione della Commissione. «È con stupore, per non dire costernazione», si legge in una nota firmata dal presidente del sindacato Renoveau et Democratie Cristiano Sebastiani, «che moltissimi colleghi si sono rivolti a noi a seguito della decisione della Commissione». Secondo Sebastiani «l'applicazione dell'articolo 50 al nostro collega è una decisione e un atto di generosità a spese del contribuente europeo assolutamente inspiegabile».
Ma l'attacco, oltre che la vituperata norma, riguarda il suo beneficiario. Giovanni Kessler è un curriculum vivente. Entrato in magistratura nel 1985, ha avuto modo di collaborare a vario titolo con la Commissione europea, con il Consiglio d'Europa e l'Ocse in materia di anticorruzione. Nel 2001 viene eletto deputato a Trento per i Democratici di sinistra-L'Ulivo, e una volta terminato il mandato nel 2006 ricopre alcuni incarichi minori tra cui quello di presidente della Provincia autonoma di Trento. Dopo aver vinto un concorso, a febbraio 2011 si insedia in qualità di direttore generale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf). Una carriera brillante e apparentemente inarrestabile. Almeno fino al caso che a seguito di un'indagine dell'Olaf ha portato, nell'ottobre 2012, alle dimissioni del maltese John Dalli, all'epoca commissario europeo per la Salute.
Una vicenda assai intricata, nella quale Kessler è rimasto invischiato con l'accusa di aver suggerito a un testimone del caso di registrare una telefonata. Per questo motivo, il pubblico ministero belga aveva richiesto a suo tempo la revoca dell'immunità di cui godeva il funzionario per avviare un procedimento giudiziario. La querelle giudiziaria è ancora in piedi. Dimessosi nel 2017 prima della fine del mandato da capo dell'Antifrode, Kessler era stato trasferito alla Direzione generale bilancio per un posto di consigliere creato ad hoc per lui. Qualcuno sospetta al fine di traghettare l'ex deputato ai 10 anni di servizio necessari per la pensione europea. Ma a luglio dello stesso 2017 dal governo guidato da Paolo Gentiloni era arrivata la nomina a capo dell'Agenzia dogane e monopoli (240.000 euro lordi l'anno), e il relativo distacco dall'incarico europeo. Per tutto il periodo, l'Ue ha pagato all'ex magistrato la differenza di stipendio.
È l'agosto 2018 quando il governo gialloblù non conferma Kessler nel ruolo, ma il nostro non si perde d'animo e torna a lavorare per la Commissione, in qualità di consigliere per la Direzione budget. E arriviamo così ai giorni nostri, con la maxi-indennità donatagli da Ursula von der Leyen. Un'interrogazione dell'eurodeputato della Lega, Paolo Borchia, punta ora a fare chiarezza. «Si tratta di una vicenda che lascia basiti, dal punto di vista procedurale e, soprattutto, sotto il profilo dell'opportunità, in una fase storica dove la pioggia di miliardi promessa da Bruxelles tarda ad arrivare, in cui la maggior parte delle famiglie e delle imprese vivono mesi difficili, ritengo sia vergognoso concedere privilegi a chi per una vita è stato strapagato con denaro pubblico», dichiara Borchia alla Verità. «Inoltre, dal punto di vista procedurale, rispolverare l'articolo 50 dopo anni desta molti sospetti. Ora mi attendo risposte di sostanza da parte della Commissione europea. È una questione di credibilità».
Continua a leggereRiduci
Cinque centri già aperti con esborsi astronomici. Per il 2022 è prevista l'inaugurazione di quello italiano nel cuore di Roma: 1.000 metri quadrati per 21 milioni di euro l'annoL'assegno gli è stato riconosciuto dalla Commissione: è una decisione applicata l'ultima volta nel 2011. L'ex deputato dell'Ulivo invischiato in una vicenda giudiziaria fu messo a capo dell'Agenzia delle doganeLo speciale contiene due articoliSi scrive «Europa Experience», si legge tempio dell'europeismo. Sono attualmente 5 i centri «concepiti per avvicinare i visitatori dell'Unione europea attraverso esposizioni che combinano elementi progettuali e allestimenti innovativi con tecnologie mediatiche all'avanguardia, nonché con funzionalità interattive»: Berlino, Copenaghen, Helsinki, Lubiana e Tallinn. Centri luminosi e futuristici, all'interno dei quali muovendosi tra tablet, giganteschi schermi e morbide poltroncine ci si può informare sul «ruolo degli attori dell'Ue, il modo in cui le istituzioni lavorano nella pratica, come i cittadini possono plasmare la politica dell'Unione e i vantaggi che l'Ue apporta nella vita quotidiana». Tra le possibilità offerta ai visitatori: l'esplorazione di una grande mappa per scoprire i traguardi e gli obiettivi dell'Ue; esplorare i profili dei parlamentari che siedono nell'emiciclo di Strasburgo; farsi un selfie da lasciare ai posteri; accomodarsi in una sala cinematografica a 360 gradi per immergersi in una sessione plenaria dell'Europarlamento quasi come se ci si trovasse tra i banchi. Insomma, si tratta di veri e propri mausolei costruiti apposta per inebriarsi di spirito europeista.Tutto bene, se non fosse che le prestigiose location richiedono il pagamento di affitti a molti zeri, per non parlare dei costi di manutenzione e le spese ordinarie, come luce, gas e acqua. Senza contare il personale impiegato all'interno di queste strutture. Quantificare con precisione i soldi dei contribuenti investiti per l'allestimento e la gestione degli Europa Experience è risultata impresa impossibile anche per i nostri contatti all'interno del Parlamento europeo. Tanto per rendersi conto delle cifre in gioco, occorre andare al capitolo di spesa relativo a quei 35 uffici di collegamento (cosiddetti «liaison office») dell'Europarlamento disseminati un po' in tutto il continente, per scoprire che la cifra di 8,9 milioni di euro prevista per il 2020 sarà innalzata a 9,4 milioni nel corso dell'anno venturo. Sono importi che tuttavia non comprendono gli interventi straordinari. Grazie a uno dei quesiti presentati dai parlamentari europei in occasione del discarico del bilancio 2019, è stato possibile sapere qualcosa in più di questi lavori. Per ciò che concerne la sede di Tallinn, in Estonia, si parla di 1.275.000 euro per ristrutturazione e allestimento, 198.000 euro per l'affitto di uno spazio addizionale (più 36.000 euro di spese accessorie) e 11.700 euro per consulenze tecniche, tutto a carico della Direzione generale infrastrutture e logistica (Dg Inlo).A questi esborsi vanno aggiunti 1,9 milioni a carico della Direzione generale comunicazione (Dg Comm). Per la sede danese di Copenaghen, invece, la Dg Inlo ha sborsato 153.000 euro, mentre altri 686.000 euro sono arrivati dalla Dg Comm. Non paghi di questa emorragia di denaro, nel novembre 2019 gli euroburocrati hanno pensato bene di proporre l'estensione del progetto Europa Experience a tutti gli Stati membri entro il 2024. Ci avrà pensato la pandemia a bloccare tutto, direte voi. E invece no. Lo scorso 30 settembre è stata approvata una road map delle installazioni, successivamente esposta in un documento diramato una settimana dopo ai membri dell'Ufficio di presidenza. Nel giro di pochi anni, dunque, ogni Paese dell'Unione europea potrà vantare una sede tutta sua.Tra gli otto progetti più avanzati, c'è quello riguardante la sede italiana. Nel mirino di Bruxelles un luogo davvero da favola. «Lo scorso 7 maggio 2020 (pochi giorni dopo la fine del lockdown, ndr)», si legge nella nota, «è stata avviata una procedura negoziata al fine di concludere un appalto immobiliare per un'installazione “Europa Experience" autonoma su Piazza Venezia, comprendente una mostra interattiva, un cinema e un gioco di ruolo destinati principalmente a gruppi scolastici». Quasi 1.000 metri quadrati nell'edificio delle Assicurazioni Generali, dirimpetto a Palazzo Venezia, quello cioè dal cui balcone si affacciava il duce per arringare le folle. Una location prestigiosa e allo stesso tempo centralissima sulla quale il Bureau aveva già messo gli occhi dal 2016, e che «permette di beneficiare dell'eccezionale situazione di Piazza Venezia in termini di visibilità e flusso pedonale».Costo del giocattolino: 21 milioni di euro solo per il primo anno. Nel documento bollinato dalla Direzione generale Bilancio a metà novembre, l'elenco dei costi punto per punto. Metà dell'importo serve solo a pagare l'affitto, pari a 900.000 euro al mese. Al canone di locazione vanno poi aggiunti 4,4 milioni di costi operativi, l'acquisto di attrezzature multimediali e mobili per 1,9 milioni, il servizio di sorveglianza per 2,4 milioni. Le spese ricorrenti (pulizie, elettricità e assicurazioni) superano poi agevolmente 1,3 milioni di euro l'anno. Ormai siamo in dirittura d'arrivo: la firma del contratto è prevista infatti già per gennaio 2021, con la conclusione dei lavori fissata per luglio 2022 e relativa inaugurazione nel mese di agosto 2022.Ancora più costosa la sede di Parigi, situata a Place de la Madeleine, a poche centinaia di metri dal Louvre. L'affitto per 1.452 metri quadrati, pari a 1,75 milioni di euro al mese, è quasi il doppio rispetto a quello dei locali romani. Tra costi operativi (8,7 milioni), ristrutturazione (5 milioni) e spese fisse (8 milioni), l'impatto finanziario per il primo anno e mezzo si aggira intorno ai 54 milioni di euro.Anche in questo caso il Covid non ha fermato il folle shopping di Bruxelles. La procedura negoziata per Europa Experience è stata infatti avviata il 6 aprile scorso e i tavoli tecnici sono andati avanti per tutto l'anno. Come per Roma, la firma del contratto è prevista per gennaio 2021, ma i lavori dovrebbero terminare prima, a marzo 2022, per poi avviare la struttura già il mese dopo. Sono a buon punto le sedi di Praga, Stoccolma, Varsavia e Vienna, tutte attese per la fine del 2022. Le altre installazioni seguiranno, come da cronoprogramma, entro il 2024. Pandemia o no, per quella data potremo «adorare» l'Unione europea da ogni angolo del continente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bruxelles-vuole-in-ogni-paese-una-sede-costosissima-solo-per-farsi-propaganda-2649072765.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="a-kessler-alto-dirigente-in-quota-pd-14-000-euro-al-mese-senza-lavorare" data-post-id="2649072765" data-published-at="1606639036" data-use-pagination="False"> A Kessler, alto dirigente in quota Pd 14.000 euro al mese senza lavorare Un assegno mensile da oltre 14.000 euro lordi senza lavorare. È questo il regalo che la Commissione europea ha piazzato sotto l'albero di Natale di Giovanni Kessler, politico trentino di lungo corso con più incarichi nel cassetto che capelli sulla testa, nonché marito del giudice della Corte costituzionale Daria de Pretis. L'11 novembre scorso la Commissione europea ha infatti deciso di applicare nei suoi confronti l'articolo 50 dello Statuto dei funzionari delle istituzioni continentali, il quale prevede che «il funzionario dispensato dall'impiego, e che non venga assegnato ad altro impiego corrispondente al suo grado, gode di un'indennità» variabile in funzione dell'età e dell'anzianità di servizio. Non si tratta affatto di una prassi comune, dal momento che la Commissione l'ha applicata per l'ultima volta nel 2011. Dopo nove lunghi anni, dunque, l'articolo 50 è stato riesumato. Ma vediamo cosa prevede la famigerata norma. «Il funzionario ha diritto: a) per tre mesi ad un'indennità mensile pari al suo stipendio base; b) per un periodo determinato, in funzione dell'età e della durata dei servizi, in base alla tabella di cui al paragrafo 3, a un'indennità mensile pari: all'85% del suo stipendio base dal quarto al sesto mese, al 70% del suo stipendio base durante i 5 anni seguenti, al 60% del suo stipendio base oltre tale periodo». L'indennità viene corrisposta fino al compimento dei 66 anni. Uno scivolo dorato fino alla pensione. Nel caso di Giovanni Kessler, che ricopre il massimo grado di funzionario europeo (Ad16) con una retribuzione che va dai 19.000 ai 20.600 euro, i conti sono presto fatti. Se i nostri calcoli sono esatti, a far data dal 1° dicembre, per tre mesi, Kessler percepirà lo stipendio pieno senza muovere un dito; da marzo a maggio circa 17.000 euro lordi al mese; da giugno in poi e fino al termine previsto (giugno 2022) circa 14.000 euro lordi al mese. Non appena si è sparsa la voce sono piovute reazioni indignate nei confronti della decisione della Commissione. «È con stupore, per non dire costernazione», si legge in una nota firmata dal presidente del sindacato Renoveau et Democratie Cristiano Sebastiani, «che moltissimi colleghi si sono rivolti a noi a seguito della decisione della Commissione». Secondo Sebastiani «l'applicazione dell'articolo 50 al nostro collega è una decisione e un atto di generosità a spese del contribuente europeo assolutamente inspiegabile». Ma l'attacco, oltre che la vituperata norma, riguarda il suo beneficiario. Giovanni Kessler è un curriculum vivente. Entrato in magistratura nel 1985, ha avuto modo di collaborare a vario titolo con la Commissione europea, con il Consiglio d'Europa e l'Ocse in materia di anticorruzione. Nel 2001 viene eletto deputato a Trento per i Democratici di sinistra-L'Ulivo, e una volta terminato il mandato nel 2006 ricopre alcuni incarichi minori tra cui quello di presidente della Provincia autonoma di Trento. Dopo aver vinto un concorso, a febbraio 2011 si insedia in qualità di direttore generale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf). Una carriera brillante e apparentemente inarrestabile. Almeno fino al caso che a seguito di un'indagine dell'Olaf ha portato, nell'ottobre 2012, alle dimissioni del maltese John Dalli, all'epoca commissario europeo per la Salute. Una vicenda assai intricata, nella quale Kessler è rimasto invischiato con l'accusa di aver suggerito a un testimone del caso di registrare una telefonata. Per questo motivo, il pubblico ministero belga aveva richiesto a suo tempo la revoca dell'immunità di cui godeva il funzionario per avviare un procedimento giudiziario. La querelle giudiziaria è ancora in piedi. Dimessosi nel 2017 prima della fine del mandato da capo dell'Antifrode, Kessler era stato trasferito alla Direzione generale bilancio per un posto di consigliere creato ad hoc per lui. Qualcuno sospetta al fine di traghettare l'ex deputato ai 10 anni di servizio necessari per la pensione europea. Ma a luglio dello stesso 2017 dal governo guidato da Paolo Gentiloni era arrivata la nomina a capo dell'Agenzia dogane e monopoli (240.000 euro lordi l'anno), e il relativo distacco dall'incarico europeo. Per tutto il periodo, l'Ue ha pagato all'ex magistrato la differenza di stipendio. È l'agosto 2018 quando il governo gialloblù non conferma Kessler nel ruolo, ma il nostro non si perde d'animo e torna a lavorare per la Commissione, in qualità di consigliere per la Direzione budget. E arriviamo così ai giorni nostri, con la maxi-indennità donatagli da Ursula von der Leyen. Un'interrogazione dell'eurodeputato della Lega, Paolo Borchia, punta ora a fare chiarezza. «Si tratta di una vicenda che lascia basiti, dal punto di vista procedurale e, soprattutto, sotto il profilo dell'opportunità, in una fase storica dove la pioggia di miliardi promessa da Bruxelles tarda ad arrivare, in cui la maggior parte delle famiglie e delle imprese vivono mesi difficili, ritengo sia vergognoso concedere privilegi a chi per una vita è stato strapagato con denaro pubblico», dichiara Borchia alla Verità. «Inoltre, dal punto di vista procedurale, rispolverare l'articolo 50 dopo anni desta molti sospetti. Ora mi attendo risposte di sostanza da parte della Commissione europea. È una questione di credibilità».
iStock
Prima di essere lapidati da musicofili inflessibili o da fanatici ammiratori di Beethoven (lo siamo anche noi) lasciamo allo stesso Ludwig Vchean l’ultima parola sull’argomento: «Solo i puri di cuore», affermò il genio tedesco, «possono cucinare una buona zuppa». Capito? Il sommo compositore a tavola amava i piatti semplici e disprezzava quelli troppo complicati. Adorava la zuppa, soprattutto quella di pane e uova: era il suo piatto preferito insieme ai maccheroni con il formaggio. Era sordo, ma le papille gustative gli funzionavano alla grande.
Una vera e propria zuppa di verdure musicale la serve al pubblico un gruppo austriaco formato da musicisti, designer, scenografi, autori. Si chiama The Vegetable Orchestra, che usa le verdure come strumenti musicali: una carota intagliata in una certa maniera diventa un flauto, la zucca uno strumento di percussione, le melanzane diventano dopo un sapiente lavoro di intaglio delle nacchere, le zucchine strumenti a fiato e così via. Con questi strumenti suonano pezzi di jazz o di dub, un genere musicale che deriva dal reggae giamaicano, e altra musica. Finito il concerto, dopo gli applausi del pubblico stupito da tanta musica «verde», i musicisti si trasformano in cuochi, gettano gli strumenti in pentoloni e preparano una bella zuppa per il pubblico dopo aver lavato gli strumenti, soprattutto quelli a fiato.
La zuppa vanta una storia vecchia come l’homo sapiens. Fu uno dei primi piatti elaborati dai nostri cavernicoli progenitori centinaia di migliaia di anni fa. Gli studiosi del periodo paleolitico ci documentano che la scoperta dell’acqua calda e il suo impiego per cuocere verdure e altri cibi avvenne nell’età della pietra antica, in incavi di roccia pieni d’acqua nella quale gli uomini primitivi tuffavano pietre roventi per farla bollire. Fu così che nacquero i primi minestroni. La parola «zuppa» arriverà molti millenni dopo, ma sempre in tempi molto antichi rispetto a noi, mutuata dal termine germanico suppa che definiva la fetta di pane inzuppata. Il pane era nell’antichità il cucchiaio dei poveri, le dita della mano la forchetta. La «posateria» delle classi più umili era tutta lì. Una sorta di brodaglia nera molto spartana chiamata melas zomos, nera zuppa, fatta con sangue di porco, budella e vino era la zuppa dei duri soldati di Sparta. A loro, che non cercavano mollezze, piaceva così, brutta da vedere ma semplice e nutriente, adatta a sostenere il fisico durante le campagne militari. Spostandoci in altre parti dell’antica penisola ellenica troviamo una cucina meno rigorosa, ma sempre con un menu nel quale zuppe e piatti brodosi a base di verdure, cereali, erbe spontanee e legumi vari, abbondavano.
Cotture e metodi a parte, quelle preparazioni sono le bis-bis-bisnonne delle zuppe che mangiamo noi oggi fatte, come allora, con cereali tipo orzo e farro, o con legumi, ceci, lenticchie, fave. Borlotti e cannellini erano al di là dell’Atlantico che aspettavano di essere scoperti. Il Phaseolus vulgaris arriverà dopo i viaggi di Colombo e degli altri viaggiatori su caravelle dirette verso il Nuovo mondo. Dalla Grecia a Roma le zuppe sostanzialmente non cambiano: erano piatti che facevano parte della dieta quotidiana dei Romani. Fonti di proteine e nutrienti, erano il comfort food delle classi plebee e dei contadini. Tra le altre zuppe, i legionari amavano quella fatta con pane, aglio, olio e aceto. Furono loro a introdurla in Spagna dove si evolverà fino a diventare il moderno gazpacho, zuppa fredda che si arricchì dal Cinquecento in poi con il pomodoro e i peperoni venuti dall’America.
Una zuppa leggendaria è la soupe à la pavoise, la zuppa pavese, che ha trovato posto nei libri di storia gastronomica dove si racconta di Francesco I di Valois, re di Francia sconfitto e fatto prigioniero dagli spagnoli di Carlo V nella battaglia di Pavia del 24 febbraio 1525. L’accasciato François du grand nez, come lo chiamavano i suoi sudditi per via del nasone che gli troneggiava sopra la bocca, fu portato dai nemici vincitori in un cascinale di campagna dove trovò ristoro e consolazione nella povera zuppa preparatogli dalla contadina del casolare che mise in una rozza scodella due croste di pane raffermo sopra le quali scocciò un uovo versando poi sul tutto il brodo bollente di erbe spontanee che gorgogliava quotidianamente nella marmitta sul camino. Francesco I, con il morale a terra per la sconfitta («Tutto è perduto fuorché l’onore»), apprezzò talmente quella zuppa villana che quando ritornò sul trono convocò i cuochi di corte insegnando loro la ricetta della zuppa pavese che fu perfezionata dagli chef i quali aggiunsero altri ingredienti ricchi elevandola da contadina che era ad aristocratica.
C’è da dire che la zuppa in Francia troverà il successo che merita grazie a una figura più leggendaria che reale, tale Monsieur Boulanger marchand de bouillon, mercante di brodo. Siamo a Parigi 25 anni prima della presa della Bastiglia e dello scoppio della rivoluzione. Il mitico Boulanger vende zuppe restaurateurs, restauratrici, che sistemano lo stomaco dei clienti cagionevoli rimettendoli in salute in un ambiente tutto sommato comodo con i tavoli accoglienti. Nasce da queste zuppe il restaurant, il ristorante che prende il nome dal ristoro, il conforto, che regalano le zuppe. Dando ragione in questo all’antico e saggio proverbio italiano regalatoci dalla civiltà contadina fin dal Medioevo: «Sette cose fa la zuppa: cava la fame e la sete tutta, empie il ventre, netta il dente, fa dormire, fa smaltire e la guancia fa arrossire».
Il più alto riconoscimento a questo piatto umile ma tanto utile alla sopravvivenza della povera umanità, lo firmano, tra gli altri, alcuni grandi artisti moderni: Paul Cézanne con la sua Natura morta con zuppiera (1884), Pablo Picasso che affronta il tema della povertà ne La zuppa, opera del periodo blu che mostra una vecchia paurosamente magra che porge una scodella di zuppa a una bambina, ma soprattutto Andy Warhol. Il re della Pop art che confessò di aver mangiato a pranzo per vent’anni i barattoloni di zuppa Campbell’s rivoluzionò i concetti di natura morta e di bellezza immortalando le stesse lattine zuppesche in una serie di opere seriali la più importante delle quali è la Campbell’s Soup Cans che presenta tutta la produzione di zuppe della Cambell’s: al pomodoro, agli asparagi, alla carne, al pollo, ai fagioli neri, e così via per 200 volte. Paradossalmente a dare importanza alla zuppa nell’arte sono stati anche le attiviste per il clima che il 28 gennaio dello scorso anno lanciarono la zuppa contro la Gioconda di Leonardo, ben protetta dal vetro antiguai, invocando un’agricoltura mondiale sana.
È profondamente ingiusto nei confronti della zuppa il detto «Se non è zuppa è pan bagnato». Come sopra detto la zuppa è salvifica, ristoratrice, ristoro e medicina attraverso i secoli dell’umanità misera. E poi la famiglia zuppesca è molto varia. Oltre alla zuppa-madre ci sono la minestra, il minestrone, la crema, la vellutata, il passato. Non sono sinonimi, ogni piatto ha la sua caratteristica che riguarda gli ingredienti e le tecniche di preparazione per le quali rimandiamo ai libri di cucina.
Concludiamo con la mistica zen. Un allievo chiede al maestro: «Cosa devo fare per raggiungere l’Illuminazione?». Gli risponde il maestro: «Hai mangiato la zuppa?» «Sì». «Allora lava la scodella».
Continua a leggereRiduci
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
Continua a leggereRiduci
iStock
Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
Continua a leggereRiduci
Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
Continua a leggereRiduci