2021-01-09
Botte ai detenuti nell’ufficio dell’ispettrice
Tre agenti dell'istituto penitenziario di Sollicciano (Firenze) ai domiciliari e altri sei interdetti per tortura e falso. I sottoposti della donna avrebbero rotto due costole a un recluso mentre lei osservava: «Ti massacriamo». Indagini su altri episodi violenti.«Ti facciamo il culo, ti massacriamo, qui non siamo quelli della giudiziaria». La sezione penale del carcere fiorentino di Sollicciano si era trasformata in una prigione stile Abu Ghraib con la biondissima ispettrice fiorentina Elena Viligiardi, classe 1970, a fare da capo squadra. Minacce, pestaggi e violenze si sono tradotte presto in «torture», che i dieci agenti della polizia penitenziaria indagati (tre sono finiti ai domiciliari, sei sono stati interdetti e uno è indagato a piede libero) avrebbero poi cercato di coprire stilando delle informative di polizia giudiziaria zeppe di finte accuse nei confronti delle vittime. È l'inquietante quadro descritto in 80 fitte pagine dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del Tribunale di Firenze Federico Zampaoli. L'inchiesta, coordinata dal pm Christine von Borries, la toga che ha indagato sui coniugi Renzi ottenendone la condanna e che ha svelato gli esami universitari col trucchetto della Link Campus dell'ex ministro scudocrociato Vincenzo Scotti, è partita proprio da quella che in slang giudiziario chiamano una Cnr, vale a dire Comunicazione di notizia di reato, firmata dall'ispettrice Viligiardi contro Mohamed, un detenuto africano finito in infermeria con più di qualche lesione. Era passato dall'ufficio della Viligiardi, che nelle carte dell'inchiesta viene dipinta come una stanza delle torture, per aver insultato un agente della penitenziaria. «Quando sono arrivato lì», ha verbalizzato Mohamed, «sono entrato nell'ufficio ove erano presenti, oltre all'ispettrice donna con i capelli biondi, seduta dietro alla scrivania, altri agenti, circa quattro, un ispettore e il capoposto. Sono stato colpito dagli agenti con pugni e calci. Una volta caduto in terra sono stato colpito di nuovo per poi essere immobilizzato con le manette. Sono stato quindi portato al transito ove, dopo essere stato perquisito , sono stato visitato da un medico». È il 27 aprile 2020 ed è passato appena un mese dalle rivolte nelle carceri per il Covid. I rapporti tra agenti e detenuti sono tesi. Alle 12.50 Mohamed viene prelevato dalla sua cella. Una volta raggiunto l'«ufficio torture» e prima che il detenuto potesse spiegare cosa fosse accaduto, «su istigazione di Viligiardi», sostiene l'accusa, è l'assistente Luciano Sarno (ai domiciliari) a sferrare il primo pugno. A quel punto c'è l'ammucchiata: tutti contro uno. gli agenti Patrizio Ponzo (ai domiciliari), Francesco Sbordone, Marco Mescolini, Michele Varone e Luigi Di Martino (tutti interdetti) picchiano duro. E quando Mohamed finisce a terra, ricostruisce l'accusa, uno degli agenti gli avrebbe storto un braccio dietro la schiena, un altro gli avrebbe tenuto ferma la testa con un piede sul collo. Mescolini gli sarebbe salito sulla schiena. E, dopo averlo ammanettato, il pestaggio sarebbe continuato. Mohamed è finito in una cella d'isolamento con ancora addosso la sua urina. A quel punto lo hanno fatto spogliare, facendolo restare davanti a loro, nudo, per alcuni minuti. «Ecco la fine di chi vuole fare il duro». Le parole che hanno chiuso il pestaggio sono finite nero su bianco nell'ordinanza di custodia cautelare. «La condotta di lasciare nuda la persona offesa», annota il gip, «risulta chiaramente indicativa di un agire con crudeltà nei confronti di persona che ha bisogno di cure». Mohamed alla fine si è fatto portare in ospedale per due costole rotte e una crisi respiratoria. La documentazione medica e il racconto del detenuto sono stati i riscontri ai primi sospetti. Al pm poi sono arrivati dal Dap, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, anche i video reperiti dal circuito chiuso che tiene sotto tiro i corridoi. E quando ha riconosciuto l'ispettrice in foto, il pm non ha avuto più dubbi. Bisognava intercettare. Poche ore dopo gli uffici della sezione penale erano piene di cimici. E nella «stanza delle torture» l'ispettrice e un agente commentano l'accaduto, «cercando di capire», annota il gip, «se le telecamere abbiano inquadrato una parte del pestaggio». Viligiardi organizza la difesa, dicendo all'agente che se non si vede niente, lui può semplicemente dire cha ha solo accompagnato il detenuto. E chiude il discorso così: «Meno persone parlano e più...». «Dal dialogo», sottolinea il gip, «emerge la chiara volontà della Viligiardi di nascondere l'accaduto, suggerendo al suo sottoposto le dichiarazioni che dovrà rendere nel caso in cui fosse sentito come testimone». Ma dalle intercettazioni emerge anche, sostiene il gip, «una piena disponibilità a sopprimere e falsificare gli atti pubblici». E mentre l'inchiesta va avanti, il grande orecchio della Procura capta un altro pestaggio. Viligiardi parla con Sarno e Massimiliano Bove (interdetto) di un'azione di contenimento nei confronti di un detenuto marocchino, armato di una pietra. Viligiardi dice: «Io oggettivamente mercoledì un po' gliele ho fatte suonare ma... non esageratamente, anche perché non lo voglio pagare per nuovo». E non è l'unico episodio scoperto dalle microspie, tramite le quali gli investigatori scoprono che Caterina Raunich e Di Martino hanno pulito il sangue dal pavimento per nascondere le tracce. A quel punto sono saltate fuori tutte le bugie. Come quella per nascondere il pestaggio a carico di Osas, un altro detenuto, accusato di aver scagliato un pezzo di mattone contro un agente. E quella per occultare «gli abusi di potere» contro Giorgio (nel quale è risultato coinvolto l'agente Piercarlo Minotti, che è stato interdetto). E altri casi, ricostruiti a ritroso fino al 2018. Insomma, per la Procura ce n'era abbastanza per chiedere le misure cautelari.