2019-02-19
Bossi, il risveglio del vecchio leone. Il figlio: «Vuole uscire dall’ospedale»
Segnali di miglioramento per il Senatùr: ha ripreso coscienza, ma la prognosi rimane riservata. Le visite dei fedelissimi, le telefonate di Matteo Salvini, Roberto Maroni e Silvio Berlusconi. E lui non vede l'ora di lasciare la Rianimazione.«Fosse per lui si farebbe già una fumatina». Il vecchio militante che ogni giorno arriva in bicicletta da Cassano Magnago per sapere come sta il Senatùr non ha dubbi e prefigura una convalescenza da supereroe della Marvel. Ma i medici dell'Ospedale di circolo di Varese sono più cauti. Il paziente Umberto Bossi, reparto Rianimazione, ha 77 anni, alle spalle una vita vissuta pericolosamente (stress e ancora stress abbattuto a colpi di pizza e coca cola alle due di notte), quindi non è il caso di fare i fenomeni. Così ripetono ancora una volta tutti gli esami, monitorano, studiano i referti e si tengono sul prudente. Nonostante ciò il bollettino medico di ieri era del tutto rassicurante. «Bossi sta manifestando segnali costanti e continui di miglioramento. In particolare da ieri ha ripreso coscienza. La prognosi rimane riservata. In giornata saranno condotti ulteriori approfondimenti diagnostici. Firmato, dottoressa Francesca Mauri». Il vecchio leone si è svegliato e ha sbadigliato; quel «casino con le pastiglie» che ha causato la crisi, lo svenimento, la caduta sul pavimento con commozione cerebrale sembra assorbito. Ma il mondo bossiano che ruota attorno al patriarca in pieno autunno della vita, invita alla calma.Il figlio Renzo Bossi, portavoce ufficiale del padre, ribadisce che «è un grande guerriero, quindi ce la farà ancora una volta. Da condottiero qual è, è pronto a tornare». E per la prima volta ricorda la sera dello shock: «Giovedì scorso abbiamo preso un grande spavento. Papà è caduto e ha picchiato la testa, quindi lo abbiamo portato in ospedale. L'équipe che lo sta seguendo in modo molto attento ha eseguito gli esami più volte per escludere qualsiasi rischio e controllare che tutto fosse a posto a livello di organi interni. Vogliamo ringraziarli. Noi gli siamo sempre vicini, siamo sempre qua».Poiché il «tutti» nei giorni scorsi ha rappresentato i famigliari e pochi altri (Giancarlo Giorgetti e Attilio Fontana in prima fila), la moglie Manuela Marrone ha precisato che i leader hanno scritto e telefonato, Matteo Salvini in testa, ripromettendosi di passare a trovarlo quando si fosse ripreso. Roberto Maroni ha fatto sapere: «Ci siamo sentiti, andrò da lui appena starà un po' meglio». Lo stesso Silvio Berlusconi, che di Bossi è amico sincero e sodale politico di vecchia data, ha anticipato che non mancherà di recarsi al capezzale del fondatore della Lega.Formidabile interprete della politica muscolare degli anni Novanta (veemente come quella di oggi, ma meno velenosa), Bossi infiammò milioni di italiani in Tv in un preciso momento, quello che decretò la fine dei rituali, dei gesti, delle camarille della Prima repubblica. Accadde a Porta a Porta nel 1996 davanti a Ciriaco De Mita, con un Bruno Vespa pietrificato dall'imbarazzo. Il leader Dc aveva sprecato 20 minuti a parlare del nulla a colori a una platea dalla palpebra reclinante. Allora il conduttore chiese a Bossi cosa avesse da replicare. Lui si assestò sulla poltrona bianca e sparò: «Ma taches al tram!». E con una frase entrò in sintonia con mezza Italia frastornata dalle chiacchiere.L'aneddoto ti travolge mentre arriva Francesco Enrico Speroni, ex steward dell'Alitalia, simbolo della Lega 1.0 senza filtro antiparticolato, soprattutto ministro delle Riforme del primo governo Berlusconi e primo ministro della Padania. «Umberto è forte, è qui per una caduta in casa. Niente a che vedere con quello che era capitato nel 2004; per fortuna non sono state riscontrate lesioni al cervello». Sono i suoi amici, quelli che lo hanno visto ruggire e vincere contro la politica dei due forni, le convergenze parallele, la cassa del mezzogiorno, l'assistenzialismo senza vergogna. Sembra una vita fa e forse lo è, Gemonio non è più l'ombelico del mondo.Ma se oggi Salvini può guidare un partito solido, strutturato e di respiro nazionale, lo deve a lui. Il vicepremier lo sa, ha voluto nominarlo presidente a vita della Lega, si è rifiutato di sporgere querela di parte nei suoi confronti per la faccenda dei denari del tesoriere Francesco Belsito, lo considera un'icona e lo rispetta anche se il vecchio leader non gli ha risparmiato qualche critica e qualche sgambetto. «Differenze generazionali, ma l'affetto resiste».Resiste anche lui, pellaccia inossidabile protetta dalla mitica canottiera. Manifesta segnali «costanti e continui di miglioramento». E probabilmente non vede l'ora di lasciare la Rianimazione per abbandonarsi alle coccole mondane della corsia. Il Senatur è tornato e a pranzo vada per il pollo lesso con quattro patate al vapore. Ma niente acqua, solo coca cola.