2018-11-27
Bossi e Belsito condannati in appello. Ma la Lega vuole salvare il Senatùr
La Corte di Genova riduce le pene rispetto al primo grado. Resta il sequestro dei 49 milioni. Oggi il Carroccio denuncerà a Milano per appropriazione indebita l'ex tesoriere, non il fondatore: così le accuse decadranno.Il tribunale di Genova conferma in secondo grado la condanna per il fondatore della Lega Umberto Bossi, ma allo stesso tempo il Senatùr potrebbe uscire indenne a gennaio dal processo d'appello su «The Family» in corso a Milano. Matteo Salvini avrebbe deciso infatti di querelare solo l'ex tesoriere Francesco Belsito: oggi ci sarà il deposito da parte dei legali del Carroccio.È la contraddizione in cui vive in questi giorni il senatore della Lega per i procedimenti nati dopo l'inchiesta per truffa sui rimborsi elettorali nel capoluogo lombardo e in quello ligure, dove risponde, oltre che con Belsito, anche con i due figli Riccardo e Renzo (detto il Trota). Ieri a Genova la Corte d'appello ha ridotto la condanna di Bossi a un anno e dieci mesi, diminuendola di sette mesi rispetto alla prima come per Belsito, che passa da quattro anni e dieci mesi agli attuali tre anni e nove mesi: per l'ex tesoriere viene eliminata anche l'interdizione di cinque anni dai pubblici uffici. Ma la corte ha confermato soprattutto la richiesta di confisca dei famosi 49 milioni di euro della Lega. Su quest'ultimo punto vale l'accordo stipulato a settembre con la Procura: ogni mese vengono prelevati 600.000 euro dalle casse del Carroccio. «Le sentenze si prendono per quello che sono. Noi andiamo avanti come siamo andati avanti finora e se è possibile fare ricorso lo faremo», spiega il viceministro ai Trasporti Edoardo Rixi. In sostanza, se la sentenza di ieri non cambia molto per la vita e i problemi amministrativi del partito - che ormai da un anno sta modificando pelle in Lega per Salvini premier, senza riferimenti ad Alberto da Giussano e alla Padania - l'unica sorpresa potrebbe esserci a gennaio, quando riprenderà il secondo grado del processo a Bossi e Belsito a Milano. Su questo procedimento, infatti, pende la riforma del codice penale firmata dall'ex ministro della Giustizia Andrea Orlando. Perché prosegua ha bisogno di una querela da parte della Lega. E a quanto apprende La Verità, oggi i legali del partito di via Bellerio ne depositeranno una sola contro Belsito, «per non infierire» contro il fondatore.In questo modo, quando riprenderanno le udienze i giudici dovrebbero sancire l'improcedibilità per il Senatùr e per il figlio Renzo, mentre il processo continuerà per l'ex tesoriere. Del resto il leader Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno, ha sempre avuto parole di comprensione nei confronti dell'ex capo, nonostante l'ex segretario gli abbia riservato in questi anni sempre qualche bordata. Anche se da almeno due mesi il vecchio leone padano appare più mansueto. La scorsa settimana in Piemonte ha solo spiegato che a un accordo con il M5s lui ci avrebbe pensato 10.000 volte. «Sono la vecchia sinistra extraparlamentare, e quindi potrebbero proporre di nuovo lo Stato produttore e noi sappiamo che è un modello fallito ovunque», ha detto. «L'economia del Sud che va male è figlia dello Stato produttore». Sono parole più dolci rispetto a quelle del passato, quando ancora in estate l'Umberto avvertiva «il Matteo» sul fatto che potesse finire impiccato «con il suo amico Benito Mussolini in piazza» se non avesse fatto gli interessi del Nord.Pensare che nel 2016 sempre Bossi diceva in occasione del congresso: «Rischia di cambiare il segretario, la base non vuole più Salvini, non vuole più uno che ogni giorno parla di un partito nazionale». Ora la Lega con il numero uno del Viminale è data oltre il 30%. E ancora. A ottobre dell'anno scorso, quando iniziavano a uscire le prime indiscrezioni sul cambio del nome del partito, sempre il vecchio capo ruggiva: «Non voglio rimanere in un partito in cui il segretario decide da solo il cambio del nome». A giugno di quest'anno accusò Salvini persino di non aver fatto abbastanza respingimenti. Come le frasi «su coglione di qui e coglionazzo di là», emerse un po' a destra e a manca sui quotidiani. Ma Matteo ha sempre risposto di aver avuto da giovane due poster in stanza, quello dell'ex capitano del Milan Franco Baresi e quello appunto del Senatùr, i suoi miti: attaccarlo a processo non sarebbe stato semplice. Per di più ora che la querela sarà solo per Belsito forse i rapporti si distenderanno ancora di più. C'è da dire che in questi mesi a farsi sentire è stata anche la storica segretaria Daniela Cantamessa, che in diverse interviste ha ribadito che quando nel 2012 arrivò come segretario Roberto Maroni in cassa c'erano almeno 40 milioni di euro. In realtà, come evidenziato dai consulenti della Procura di Milano durante la prima indagini, di soldi ce ne erano molti di meno, circa 33 milioni, di cui 12,8 in cassa e 20,3 in investimenti liquidi. Su questi soldi, con ipotesi di reato di riciclaggio o autoriciclaggio - nata da un esposto di Stefano Aldovisi, uno dei revisori condannato ieri a quattro mesi a Genova - sta scavando la Procura di Genova grazie alla consulenza della Banca d'Italia.Si cerca in Lussemburgo come nella Sparkasse di Bolzano, ma al momento l'indagine non è ancora stata chiusa. Si attendono invece sviluppi dal processo a carico dell'ex avvocato del Senatùr, ovvero Matteo Brigandì, sotto processo a Milano per patrocinio infedele e autoriciclaggio. Avrebbe nascosto quasi 2 milioni di euro in Tunisia che gli investigatori stanno ancora cercando. Proprio l'Umberto ha deciso di cambiare avvocato all'inizio del 2018, scegliendo Domenico Mariani. È stata una scelta apprezzata da tutta la Lega. Il ritiro della querela potrebbe sancire una pace duratura in via Bellerio.