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2023-03-15
La Borsa ripiana il crac californiano. Ma la Bce insiste con i tassi gonfiati
Imagoeconomica
Il rimbalzo in Borsa dei titoli bancari, dopo le pesanti vendite di lunedì, c’è stato. Non solo a Piazza Affari, dove ieri il FtseMib ha chiuso la giornata con un +2,36 per cento. Ma ora i riflettori del mercato sono tutti puntati sulle mosse della Bce: vedremo se domani, nonostante il crac della Silicon valley bank, tirerà dritto con il rialzo dei tassi di mezzo punto percentuale, esito indicato come altamente probabile dalla presidente, Christine Lagarde, nella conferenza stampa seguita all’ultimo meeting della Banca centrale europea.
I dati sull’inflazione americana, ancora viva e vegeta a febbraio, hanno spinto il mercato a dare per scontato un rialzo di «soli» 25 punti base da parte della Federal Reserve a marzo, mentre la Bce viene in vista in bilico tra la guidance di 50 punti base e un ritocco più contenuto di 25 punti. Intanto, secondo i dati del rapporto mensile dell’Abi, i precedenti rialzi varati da Francoforte hanno portato il tasso medio sui mutui in Italia al livello più alto da 11 anni, mentre il tasso sui depositi vincolati supera il 2%, portandosi sui valori più alti dal 2031. Continua la frenata dei prestiti, soprattutto per quelli alle imprese mentre cala ancora, per il quinto mese consecutivo, la raccolta diretta. Cambiano le scelte di risparmio degli italiani che portano a un calo dei depositi, mentre aumenta la raccolta obbligazionaria.
Nel frattempo, anche a Wall Street la seduta di Borsa ieri si è aperta col segno positivo. L’inflazione negli Stati Uniti a febbraio si è attestata al 6%, in linea con il consenso degli economisti, ma - sebbene sia scesa rispetto al 6,4% del mese precedente - resta ben al di sopra del target del 2 per cento. Il quadro generale rimane lo stesso: se i prezzi dei beni sono piatti, i servizi di base sono in forte aumento. Guardando alla prossima riunione del 21-22 marzo, la Fed sembra ritrovarsi tra «incudine e martello», dovendo continuare ad alzare i tassi per combattere l’inflazione e dovendo altresì proteggere il sistema finanziario. Non solo. Anche se i funzionari della Fed decideranno di mantenere i tassi di interesse invariati la prossima settimana, sono ancora possibili ulteriori aumenti a maggio, a patto che l’attuale crisi bancaria non si allarghi.
La tensione sul caso Svb resta, dunque, alta. Secondo il Wall Street Journal, inoltre, il Dipartimento di Giustizia e la Sec, la Consob americana, hanno avviato un’inchiesta per indagare le cause del crollo e alcune operazioni avvenute nei giorni precedenti al crollo. L’amministratore delegato della capogruppo, Greg Becker, si era mostrato ad esempio assai ottimista, affermando durante una conferenza che era «un ottimo momento per avviare un’impresa». In un’altra conferenza, il mese scorso, aveva dichiarato che la focalizzazione della banca sulle startup non comportava rischi di un’eccessiva concentrazione. I documenti depositati dalla banca mostrano, tuttavia, che Becker e Daniel Beck, il direttore finanziario, hanno entrambi venduto azioni la settimana prima del crac della banca. Becker ha esercitato opzioni su 12.451 azioni il 27 febbraio e le ha vendute lo stesso giorno, ricavando circa 2,3 milioni di dollari. Beck ha venduto poco più di 575.000 dollari di azioni il 27 febbraio, circa un terzo delle sue partecipazioni nella società. Ricordiamo che la settimana scorsa le azioni di Svb Financial hanno perso fino al 60 per cento.
Ieri è stata anche la giornata del «risveglio» delle agenzie di rating. Moody’s ha deciso di tagliare l’outlook sul sistema bancario degli Stati Uniti da stabile a negativo in seguito al «rapido deterioramento del contesto operativo» dopo il fallimento di Silicon valley bank e Signature Bank (la stessa Moody’s, però, solo tre giorni prima del crac aveva assegnato alla solvibilità di Svb un giudizio «A», classificandolo dunque come un investimento sicuro). L’agenzia ha anche sottoposto a revisione tutti i rating e le valutazioni a lungo termini di First republic bank: si tratta di un’altra banca californiana che nel 2022 ha registrato interessi attivi pari a 4,8 miliardi di dollari, con i prestiti che sono ammontati a 73,4 miliardi, mostrando un’elevata dipendenza dal finanziamento dei depositi non assicurati e dalle perdite non realizzate nei portafogli dei clienti.
Sempre secondo Moody’s, i depositi delle banche italiane sono più stabili rispetto a quelli delle banche americane, ma non sono invulnerabili alla crisi che sta investendo il sistema statunitense. «L’inasprimento monetario deve ancora andare a regime e lo sviluppo di tensioni nel sistema bancario statunitense indebolirà la fiducia degli investitori. Aumenteranno le tensioni sui finanziamenti per le istituzioni europee che, come con qualsiasi banca, combinano disallineamenti di scadenza con leva finanziaria», si legge in un report.
«Generali non è esposta verso Svb»
«Non siamo preoccupati, da quando sono al timone delle Generali, sette anni fa, di crisi ne abbiamo viste diverse: la Brexit, il Covid, la guerra in Ucraina. Il problema di una banca regionale americana non ci impedisce di dormire la notte». Con queste parole l’amministratore delegato della compagnia assicurativa triestina, Philippe Donnet, ha escluso ieri un impatto sul Leone del crac della Silicon valley bank, che ha causato a sua volta un movimento al ribasso dei mercati. E ha escluso anche cambi di strategia. «Non vedo motivi per modificarla, visto che mostra di funzionare. La differenza maggiore rispetto al momento della sua presentazione è determinata dall’inflazione, ma per noi è un fattore gestibile». Quanto ai tassi di interesse, «il rialzo ha un impatto positivo sulla marginalità, sul business vita e sul valore del portafoglio Vita. Non siamo messi male in alcun contesto e non siamo preoccupati, ma ciò non significa non essere attenti e reattivi».
Donnet ieri ha presentato al mercato i conti 2022 delle Generali, che sono stati chiusi con 2,9 miliardi di utile netto (+2,3%), un risultato operativo record in aumento a 6,5 miliardi (+11,2%) e la proposta di un dividendo per azione pari a 1,16 euro, in aumento dell’8,4% rispetto al dividendo pagato nel 2021. I vertici del Leone hanno anche spiegato perché tecnicamente il caso Svb non li preoccupa. Non solo per il fatto che il modello operativo di una compagnia assicurativa è diverso da quello bancario. «Generali non ha di fatto alcuna esposizione nei confronti di Svb Bank, se non portafogli di rischio terzi, dunque completamente marginale», ha sottolineato il direttore finanziario, Cristiano Borean. «Stiamo monitorando il livello di solvibilità del gruppo post risultati e, a venerdì scorso, era vicina al 230%, dal 221% di fine anno», ha aggiunto. Precisando anche che il gruppo è ancora meno sensibile all’andamento dello spread. A fine 2022, il Leone aveva 44,3 miliardi di valore di mercato di Btp (erano 63 miliardi a fine 2021), tolti 0,7 miliardi di titoli afferenti alla riclassificazione degli investimenti di Bcc Iccrea.
«Non ho commenti specifici sul caso di Eurovita, posso solo dire che abbiamo un business model molto solido e proponiamo ai clienti soluzioni di protezione personalizzate, attraverso una rete di agenti professionale. Noi facciamo un mestiere che non è quello di Eurovita, proponiamo soluzioni molto sicure ai nostri clienti a 360 gradi: questa è la nostra strategia di consulenza assicurativa, questo è il nostro mestiere e ancora una volta lo facciamo bene», ha poi risposto l’ad Donnet a chi gli chiedeva che cosa pensasse di un possibile salvataggio di sistema della compagnia Eurovita e se il gruppo del Leone fosse interessato a partecipare a tale messa in sicurezza.
Tornando ai conti, senza l’impatto degli investimenti russi, il risultato netto sarebbe stato pari a 3,066 miliardi (+7,7%). Crescono i premi lordi che ammontano a 81,5 miliardi di euro (+1,5%), grazie all’andamento positivo del segmento Danni, in particolare nel non auto. La raccolta netta Vita si attesta a 8,7 miliardi (-36,1%). La raccolta netta delle linee unit-linked e puro rischio e malattia si attesta rispettivamente a 8,9 euro e 5 miliardi. La linea risparmio registra masse in uscita per 5,2 miliardi. Il patrimonio netto del gruppo si attesta a 16,201 miliardi (-44,7%). La variazione è principalmente dovuta alle riserve disponibili per la vendita, in particolare a seguito dell’andamento dei titoli obbligazionari. La proposta di dividendo comporta un’erogazione massima complessiva di 1,7 miliardi. I risultati sono stati apprezzati dagli analisti e anche da Piazza Affari, dove il titolo Generali ha chiuso la seduta di ieri con un rialzo del 3,6%, attestandosi a quota 18,4 euro.
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Dopo un lunedì nero, Milano chiude a +2,36%. Occhi puntati su Francoforte, pronta a tirare dritto. Mentre secondo i dati Abi i precedenti rialzi hanno fatto volare i mutui. La Sec intanto indaga sulla vendita dei titoli.Generali festeggia un risultato operativo record di 6,5 miliardi (+11,2%). E propone un dividendo per azione pari a 1,16 euro (+8,4%). Il gruppo resiste anche allo spread.Lo speciale contiene due articoli.Il rimbalzo in Borsa dei titoli bancari, dopo le pesanti vendite di lunedì, c’è stato. Non solo a Piazza Affari, dove ieri il FtseMib ha chiuso la giornata con un +2,36 per cento. Ma ora i riflettori del mercato sono tutti puntati sulle mosse della Bce: vedremo se domani, nonostante il crac della Silicon valley bank, tirerà dritto con il rialzo dei tassi di mezzo punto percentuale, esito indicato come altamente probabile dalla presidente, Christine Lagarde, nella conferenza stampa seguita all’ultimo meeting della Banca centrale europea. I dati sull’inflazione americana, ancora viva e vegeta a febbraio, hanno spinto il mercato a dare per scontato un rialzo di «soli» 25 punti base da parte della Federal Reserve a marzo, mentre la Bce viene in vista in bilico tra la guidance di 50 punti base e un ritocco più contenuto di 25 punti. Intanto, secondo i dati del rapporto mensile dell’Abi, i precedenti rialzi varati da Francoforte hanno portato il tasso medio sui mutui in Italia al livello più alto da 11 anni, mentre il tasso sui depositi vincolati supera il 2%, portandosi sui valori più alti dal 2031. Continua la frenata dei prestiti, soprattutto per quelli alle imprese mentre cala ancora, per il quinto mese consecutivo, la raccolta diretta. Cambiano le scelte di risparmio degli italiani che portano a un calo dei depositi, mentre aumenta la raccolta obbligazionaria. Nel frattempo, anche a Wall Street la seduta di Borsa ieri si è aperta col segno positivo. L’inflazione negli Stati Uniti a febbraio si è attestata al 6%, in linea con il consenso degli economisti, ma - sebbene sia scesa rispetto al 6,4% del mese precedente - resta ben al di sopra del target del 2 per cento. Il quadro generale rimane lo stesso: se i prezzi dei beni sono piatti, i servizi di base sono in forte aumento. Guardando alla prossima riunione del 21-22 marzo, la Fed sembra ritrovarsi tra «incudine e martello», dovendo continuare ad alzare i tassi per combattere l’inflazione e dovendo altresì proteggere il sistema finanziario. Non solo. Anche se i funzionari della Fed decideranno di mantenere i tassi di interesse invariati la prossima settimana, sono ancora possibili ulteriori aumenti a maggio, a patto che l’attuale crisi bancaria non si allarghi. La tensione sul caso Svb resta, dunque, alta. Secondo il Wall Street Journal, inoltre, il Dipartimento di Giustizia e la Sec, la Consob americana, hanno avviato un’inchiesta per indagare le cause del crollo e alcune operazioni avvenute nei giorni precedenti al crollo. L’amministratore delegato della capogruppo, Greg Becker, si era mostrato ad esempio assai ottimista, affermando durante una conferenza che era «un ottimo momento per avviare un’impresa». In un’altra conferenza, il mese scorso, aveva dichiarato che la focalizzazione della banca sulle startup non comportava rischi di un’eccessiva concentrazione. I documenti depositati dalla banca mostrano, tuttavia, che Becker e Daniel Beck, il direttore finanziario, hanno entrambi venduto azioni la settimana prima del crac della banca. Becker ha esercitato opzioni su 12.451 azioni il 27 febbraio e le ha vendute lo stesso giorno, ricavando circa 2,3 milioni di dollari. Beck ha venduto poco più di 575.000 dollari di azioni il 27 febbraio, circa un terzo delle sue partecipazioni nella società. Ricordiamo che la settimana scorsa le azioni di Svb Financial hanno perso fino al 60 per cento.Ieri è stata anche la giornata del «risveglio» delle agenzie di rating. Moody’s ha deciso di tagliare l’outlook sul sistema bancario degli Stati Uniti da stabile a negativo in seguito al «rapido deterioramento del contesto operativo» dopo il fallimento di Silicon valley bank e Signature Bank (la stessa Moody’s, però, solo tre giorni prima del crac aveva assegnato alla solvibilità di Svb un giudizio «A», classificandolo dunque come un investimento sicuro). L’agenzia ha anche sottoposto a revisione tutti i rating e le valutazioni a lungo termini di First republic bank: si tratta di un’altra banca californiana che nel 2022 ha registrato interessi attivi pari a 4,8 miliardi di dollari, con i prestiti che sono ammontati a 73,4 miliardi, mostrando un’elevata dipendenza dal finanziamento dei depositi non assicurati e dalle perdite non realizzate nei portafogli dei clienti. Sempre secondo Moody’s, i depositi delle banche italiane sono più stabili rispetto a quelli delle banche americane, ma non sono invulnerabili alla crisi che sta investendo il sistema statunitense. «L’inasprimento monetario deve ancora andare a regime e lo sviluppo di tensioni nel sistema bancario statunitense indebolirà la fiducia degli investitori. Aumenteranno le tensioni sui finanziamenti per le istituzioni europee che, come con qualsiasi banca, combinano disallineamenti di scadenza con leva finanziaria», si legge in un report.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/borsa-ripiana-crac-svb-2659598201.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="generali-non-e-esposta-verso-svb" data-post-id="2659598201" data-published-at="1678848447" data-use-pagination="False"> «Generali non è esposta verso Svb» «Non siamo preoccupati, da quando sono al timone delle Generali, sette anni fa, di crisi ne abbiamo viste diverse: la Brexit, il Covid, la guerra in Ucraina. Il problema di una banca regionale americana non ci impedisce di dormire la notte». Con queste parole l’amministratore delegato della compagnia assicurativa triestina, Philippe Donnet, ha escluso ieri un impatto sul Leone del crac della Silicon valley bank, che ha causato a sua volta un movimento al ribasso dei mercati. E ha escluso anche cambi di strategia. «Non vedo motivi per modificarla, visto che mostra di funzionare. La differenza maggiore rispetto al momento della sua presentazione è determinata dall’inflazione, ma per noi è un fattore gestibile». Quanto ai tassi di interesse, «il rialzo ha un impatto positivo sulla marginalità, sul business vita e sul valore del portafoglio Vita. Non siamo messi male in alcun contesto e non siamo preoccupati, ma ciò non significa non essere attenti e reattivi». Donnet ieri ha presentato al mercato i conti 2022 delle Generali, che sono stati chiusi con 2,9 miliardi di utile netto (+2,3%), un risultato operativo record in aumento a 6,5 miliardi (+11,2%) e la proposta di un dividendo per azione pari a 1,16 euro, in aumento dell’8,4% rispetto al dividendo pagato nel 2021. I vertici del Leone hanno anche spiegato perché tecnicamente il caso Svb non li preoccupa. Non solo per il fatto che il modello operativo di una compagnia assicurativa è diverso da quello bancario. «Generali non ha di fatto alcuna esposizione nei confronti di Svb Bank, se non portafogli di rischio terzi, dunque completamente marginale», ha sottolineato il direttore finanziario, Cristiano Borean. «Stiamo monitorando il livello di solvibilità del gruppo post risultati e, a venerdì scorso, era vicina al 230%, dal 221% di fine anno», ha aggiunto. Precisando anche che il gruppo è ancora meno sensibile all’andamento dello spread. A fine 2022, il Leone aveva 44,3 miliardi di valore di mercato di Btp (erano 63 miliardi a fine 2021), tolti 0,7 miliardi di titoli afferenti alla riclassificazione degli investimenti di Bcc Iccrea. «Non ho commenti specifici sul caso di Eurovita, posso solo dire che abbiamo un business model molto solido e proponiamo ai clienti soluzioni di protezione personalizzate, attraverso una rete di agenti professionale. Noi facciamo un mestiere che non è quello di Eurovita, proponiamo soluzioni molto sicure ai nostri clienti a 360 gradi: questa è la nostra strategia di consulenza assicurativa, questo è il nostro mestiere e ancora una volta lo facciamo bene», ha poi risposto l’ad Donnet a chi gli chiedeva che cosa pensasse di un possibile salvataggio di sistema della compagnia Eurovita e se il gruppo del Leone fosse interessato a partecipare a tale messa in sicurezza. Tornando ai conti, senza l’impatto degli investimenti russi, il risultato netto sarebbe stato pari a 3,066 miliardi (+7,7%). Crescono i premi lordi che ammontano a 81,5 miliardi di euro (+1,5%), grazie all’andamento positivo del segmento Danni, in particolare nel non auto. La raccolta netta Vita si attesta a 8,7 miliardi (-36,1%). La raccolta netta delle linee unit-linked e puro rischio e malattia si attesta rispettivamente a 8,9 euro e 5 miliardi. La linea risparmio registra masse in uscita per 5,2 miliardi. Il patrimonio netto del gruppo si attesta a 16,201 miliardi (-44,7%). La variazione è principalmente dovuta alle riserve disponibili per la vendita, in particolare a seguito dell’andamento dei titoli obbligazionari. La proposta di dividendo comporta un’erogazione massima complessiva di 1,7 miliardi. I risultati sono stati apprezzati dagli analisti e anche da Piazza Affari, dove il titolo Generali ha chiuso la seduta di ieri con un rialzo del 3,6%, attestandosi a quota 18,4 euro.
Angelo Borrelli (Imagoeconomica)
Poi aggiunge che quella documentazione venne trasmessa al Comitato tecnico scientifico. Il Cts validò. I numeri ballavano tra 120 e 140 ventilatori. La macchina partì. La miccia, però, viene accesa per via politica il 10 marzo 2020. Borrelli lo ricostruisce con precisione quasi notarile. «Arriva dalla segreteria del viceministro Pierpaolo Sileri un’email». Il mittente è la segreteria del viceministro. Il senso è chiaro. «Come richiesto dal ministro Speranza e noto al ministro Luigi Di Maio, ti ringrazio in anticipo anche da parte di Pierpaolo per le opportune valutazioni che vorrai effettuare al fine di garantire il più celere arrivo della strumentazione». Sono i ventilatori polmonari cinesi. La disponibilità viene rappresentata dopo un’interlocuzione politica. E a quel punto entra ufficialmente in scena la Silk Road. Il contatto, conferma Borrelli, non arriva per caso. «C’è un’email dell’11 marzo che […] facendo seguito a quanto detto dal dottor Domenico Arcuri, come d’accordo, ecco i contatti della Silk Road».
Ed è a questo punto che la deputata di Fratelli d’Italia Alice Buonguerrieri scatta: «Quindi è un contatto, quello della società Silk Road, che vi viene dalla struttura commissariale?». La risposta è secca. «Sì, viene dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri». Arcuri, in quel momento, non è ancora formalmente commissario straordinario (lo diventerà il 18 marzo). Ma è già dentro il Dipartimento, si muove nel Comitato tecnico operativo, il Cto. «Perché il commissario Arcuri era già presente al dipartimento e iniziava ad affiancare…», cerca di spiegare Borrelli. Il passaggio politico-amministrativo non è casuale. Perché la Silk Road arriva sul tavolo della Protezione civile per quella via. La fornitura è pesante. «Ventilatori polmonari per un totale di 140», al costo di 2 milioni e 660.000 euro. «Ho qui la lettera di commessa», conferma Borrelli. La firma in calce non è italiana. «La lettera è firmata da un director, Wu Bixiu». E c’è un timbro cinese. La Verità quell’intermediazione all’epoca l’aveva ricostruita. La Silk Road Global Information limited che intermedia la fornitura è legata alla Silk Road cities alliance, un think tank del governo di Pechino a sostegno della Via della Seta. Ai vertici di quell’ente c’era anche Massimo D’Alema, insieme a ex funzionari del governo cinese. E infatti, conferma ora Borrelli, «c’è anche una email in cui si cita il presidente D’Alema». Però, quando gli viene chiesto apertamente se D’Alema abbia fatto da tramite, mette le mani avanti: «Io non so nulla di questo».
Di certo Baffino doveva aver rassicurato l’azienda cinese. Tant’è che la società aveva scritto: «Abbiamo appena ricevuto informazioni dall’onorevole D’Alema che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori nella lista. Quindi acquisteremo i 416 set per voi il prima possibile». «I nostri», spiega Borrelli, «gli hanno risposto «noi compriamo quelli che ci servono», cioè 140 e non 460». Ma c’è una parte di questa storia che non è ancora finita al vaglio della Commissione d’inchiesta guidata da Marco Lisei. Quei ventilatori polmonari, aveva scoperto La Verità, non erano in regola e la Regione Lazio li ritirò perché non conformi ai requisiti di sicurezza. «Dai lavori della commissione Covid sta emergendo una trama che collega la struttura commissariale di Arcuri, nominato da Giuseppe Conte, alla sinistra e, nello specifico, a D’Alema», afferma Buonguerrieri a fine audizione. Poi tira una riga: «Risulta che, ancor prima di essere nominato commissario straordinario, Arcuri sponsorizzava alla Protezione civile una società rappresentata da cinesi legata a D’Alema». «Le audizioni stanno portando alla luce passaggi che meritano un serio approfondimento istituzionale», tuona il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami. Ma la storia non è finita.
«Il presidente del consiglio, per garbo, mi ha informato, perché sarebbe stato per me un colpo sapere dalla stampa che ci sarebbe stato poi un soggetto (Arcuri, ndr) che sarebbe entrato nel nell’organizzazione organizzazione della gestione dell’emergenza», ricorda ancora Borrelli. Che in un altro passaggio conferma che i pagamenti avvenivano anche per conto di Arcuri: «Io avevo il dottor Pietro Colicchio (dirigente della Protezione civile, ndr) e il suo direttore generale a casa col Covid e disponevano bonifici per i pagamenti per l’acquisto di Dpi. Dopo anche per conto del commissario Arcuri». Ma la Protezione civile con la nomina di Arcuri era ormai stata scippata delle deleghe sugli acquisti. A questo punto Borrelli fa l’equilibrista con un passaggio che ovviamente è stato apprezzato dai commissari del Pd: «L’avvento di Arcuri ha sgravato me e la mia struttura». Gli unici, però, che in quel momento avevano dato alla pandemia il peso che meritava erano proprio i vertici della Protezione civile. Già dal 2 febbraio, infatti, avevano segnalato al ministero l’assenza dei dispositivi di protezione. «Fu Giuseppe Ruocco (in quel momento segretario generale del ministero, ndr)», ricorda Borrelli, «a comunicare che ci sarebbe stata una riunione per predisporre una richiesta di eventuali necessità, partendo dallo stato attuale di assoluta tranquillità. Ruocco mi assicurò che se fosse emerso un quadro di esigenze lo avrebbe portato alla mia attenzione. Circostanza mai avvenuta». Il ministero si sarebbe svegliato solo 20 giorni dopo. «Il 22 febbraio nel Cto», spiega Borrelli, «per la prima volta venivano impartite indicazioni operative per l’utilizzo di Dpi». Solo il 24 febbraio, dopo alcune interlocuzioni con Confindustria, veniva «segnalato che non arrivavano notizie confortanti quanto alle disponibilità sul mercato». A quel punto bisognava correre ai ripari. La Protezione civile viene svuotata di competenza sugli acquisti e arriva Arcuri. Con le sue «deroghe». «Io», ricorda Borrelli, «non so se avesse delle deroghe ulteriori o meno, però, ecco, lui aveva le stesse deroghe che avevamo noi». Ma era lui a comprare.
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Ecco #DimmiLaVerità del 17 dicembre 2025. L'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti ci svela gli ultimissimi retroscena del negoziato di pace per l'Ucraina.
L’Indonesia è un gigante che sfiora i 300 milioni di abitanti ed è il più grande arcipelago del mondo. La sua capitale Jakarta è la città più popolosa del globo con quasi 42 milioni di abitanti e nel 2025 ha superato Dacca e Tokyo in questa classifica. Adagiata sulla costa dell’isola di Giava, questa città è diventata un conglomerato incontrollabile che sta lentamente affondando sotto il peso della sua popolazione. L’Indonesia ha il maggior numero di musulmani con quasi 250 milioni di fedeli e secondo alcune proiezioni come quelle della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale potrebbe diventare una delle quattro principali economie internazionali entro il 2050. Jakarta nel 2024 è entrata a far parte del gruppo economico dei Brics, guidato da Cina, Russia ed India, ma non ha mai smesso di attirare investimenti statunitensi e ad avere un rapporto diplomatico diretto con Washington.
In questo quadro economicamente positivo però sono scoppiate una serie di proteste che hanno fortemente contestato il governo del presidente Prabowo Subianto. Questo ex generale, conosciuto per la ferocia con cui ha sempre represso ogni tipo di dissenso, ha stravinto le elezioni utilizzando un avatar che lo ha trasformato in un nonno amorevole. Durante la campagna per le presidenziali, il suo staff ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale come Midjourney per creare un'immagine carina e amichevole ("gemoy", un termine gergale indonesiano per "carino" o "coccoloso") di Prabowo, rivolta in particolare agli elettori più giovani sui social come TikTok. Questa mossa ha avuto un enorme successo portando molti giovani alle urne e consegnando oltre il 60% delle preferenze al vecchio generale. Il nuovo presidente aveva promesso un miracolo economico puntando ad una crescita dell’8% annuale, che però si è fermata intorno al 5,2%. Intanto il costo della vita è sensibilmente cresciuto così come la disoccupazione, mentre la rupia indonesiana ha continuato a svalutarsi arrivando ad un cambio con il dollaro a 16600 ad 1.
Contemporaneamente i cittadini indonesiani hanno visto una progressiva perdita di potere d’acquisto che ha portato ad una stagnazione dei consumi delle famiglie. Ad ottobre l’inflazione è arrivata al 2,75%, massimo livello dalla primavera del 2024, e la gente è scesa in strada per chiedere le dimissioni di tutto il governo. Se internamente le cose stanno andando male per Prabowo Subianto, l’ex generale, ha puntato tutto sulla proiezione internazionale del suo paese, dichiarando più volte di volerlo far diventare una potenza geopolitica regionale. Il ruolo indonesiano nel sud-est asiatico è in crescita e negli anni si sono rafforzati i rapporti con le nazioni vicine, soprattutto con la Malesia. Più complessi i tentativi di avvicinamento con le Filippine, fortemente schierate nell’orbita statunitense, mentre con l’India le relazioni sono sempre state piuttosto altalenanti. L’Indonesia si trova anche spettatore nel latente scontro indo-pacifico fra Pechino e Washington, nel quale per ora Jakarta ha scelto una linea politica basata sull’equidistanza. Con la Cina l’Indonesia ha siglato un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle acque contese, per evitare una disputa diretta, anche perché Pechino è il suo primo partner economico e commerciale, con gli scambi nel 2025 sono stimati in 160 miliardi di dollari. Jakarta sta cercando di diversificare le sue relazioni commerciali per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Cina, intensificando gli scambi anche con l’Unione Europea. L’interscambio con la Ue nel 2024 ha superato i 27 miliardi di euro con l’Europa che importa olio di palma, tessuti, calzature, minerali (nichel e rame), mentre esporta nella nazione asiatica latticini, carni, frutta, macchinari e farmaceutici. Gli Usa restano comunque un partner cruciale per l’Indonesia in ambito di difesa e sicurezza, con esercitazioni congiunte e acquisto di armi, delle quali Washington è il secondo fornitore. L’attivismo di Prabowo Subianto si è visto anche nella questione mediorientale, con il presidente, unico leader del sud-est asiatico, presente in Egitto alla firma della tregua a Gaza.
Odorico da Pordenone, un Marco Polo meno noto che raccontò l'Indonesia nel secolo XIV
Non solo Marco Polo ed il suo «Milione», il resoconto sull’Estremo Oriente forse più famoso al mondo. Altre importanti testimonianze scritte di viaggi «meravigliosi» attraverso l’Asia sono giunte a noi dal Medioevo. Grandi protagonisti delle esplorazioni e dello scambio interreligioso (con le missioni) ma anche di quello geopolitico, furono i francescani. Come afferma il Prof. Luciano Bertazzo, storico francescano e direttore del Centro Studi Antoniani di Padova, contattato dalla Verità. «A fianco di Marco Polo esiste tutta una letteratura non meno interessante in cui il mondo francescano non fu solo portatore di evangelizzazione, ma anche di una spinta all'internazionalizzazione». Già alla metà del Duecento, la presenza della Chiesa cattolica in Estremo Oriente intersecava l'Europa all'Asia. I resoconti dei frati alimentarono il "Meraviglioso" nei racconti di viaggio (detti anche odeporici) sulla scia della «Vita di Alessandro Magno», che inaugurò il connubio tra scientia e mirabilia».
Ai tempi delle crociate, i frati minori assunsero un ruolo «diplomatico» all’interno di un mondo in forte fermento. Erano gli anni della «cattività» del Papato ad Avignone, dell’espansione dell’Islam verso oriente e del potentissimo regno dei Mongoli discendenti di Gengis Khan. Nel mosaico delle forze dominanti i francescani, attivi nell’opera di evangelizzazione alla base dei loro viaggi, furono anche incaricati dal Papato e dai sovrani occidentali di riportare notizie sullo stato dei popoli dell’estremo Oriente per cercare di misurarne la potenza politica e militare unito ad un intento più diplomatico, con il proposito di esplorare una possibile alleanza in funzione anti islamica. I religiosi italiani erano già presenti in Asia fino dalla metà del XIII secolo, come testimoniano i resoconti del francescano Giovanni di Pian del Carpine, che alla metà del Duecento scrisse una «Historia Mongalorum» dopo essere giunto fino a Kharakorum, ricca di informazioni strategico-militari sulla potenza dell’impero mongolo che premeva verso Occidente. Anche Giovanni da Montecorvino, francescano campano, giunse fino in Cina alla corte di Kubilai Khan, morto appena prima dell’arrivo del frate italiano. Qui fondò la prima missione cattolica della Cina e la prima chiesa nel 1305 e fu nominato arcivescovo da Clemente V.
A pochi anni dal viaggio di Giovanni da Montecorvino si colloca la spedizione di Odorico da Pordenone, che toccherà anche l’Indonesia, allora praticamente sconosciuta al mondo occidentale. Nato sembra intorno al 1280, fu ordinato frate a Udine ancora giovanissimo, secondo le poche notizie giunte a noi. Il suo viaggio in Oriente, con destinazione Cina, si colloca attorno al 1318 e seguì un itinerario da Venezia a Trebisonda, quindi dalla penisola arabica via nave fino all’India, dove a Thana (attuale Mumbai) raccolse le spoglie dei francescani martirizzati dai musulmani nel 1321. La tappa successiva fu l’Indonesia, una terra praticamente inesplorata fino ad allora. Nella sua Relatio, Odorico dedica spazio alla descrizione di usi e costumi dell’arcipelago. Lamori è il primo abitato dell’Indonesia che il frate friulano descrisse, dipingendolo come una terra non proprio ospitale. Così Odorico dipinse quella che è ritenuta essere un antico regno situato nella parte settentrionale di Sumatra: «Cominciai a perdere la tramontana quando toccai quella terra. In questa regione il calore è enorme e sia gli uomini che le donne vanno in giro nudi, senza coprirsi nessuna parte del corpo. Essi mi deridevano, perché dicevano che Dio aveva creato Adamo nudo e io invece volevo essere vestito contro la volontà di Dio. In questo paese tutte le donne sono messe in comune fra tutti, cosicché nessuno può dire «questa è mia moglie», oppure «questo è mio marito». Quando poi una donna partorisce un figlio o una figlia, lo dà o la dà a chi vuole tra uno di quelli con i quali ha avuto rapporti intimi, e quel bimbo o bimba lo considera il proprio padre. Anche tutto il terreno è in comune fra tutti gli abitanti, cosicché nessuno può dire: «questa o quella parte di terra è mia». Le case invece sono ognuna per conto proprio. Questa gente è pestifera e malvagia: infatti mangiano carne umana, come qui da noi si mangia la carne bovina o quella delle pecore. Tuttavia di per sé questa è una terra buona, che ha grande abbondanza di carni, di biade e di riso, inoltre vi si trova oro in abbondanza[…]».
Un ritratto di una società primitiva e ostile, quella che Odorico raccontò nella sua prima tappa indonesiana. Tutt’altra impressione il frate ebbe della tappa successiva, Giava. Secondo le fonti storiche, nel periodo in cui l’isola fu visitata da Odorico l’isola viveva l’ultimo periodo prospero prima dell’arrivo dell’Islam dall’India, quello del regno Majapahit che, sotto il comandante militare e consigliere dei regnanti Gajah Mada, riuscì nell’espansione territoriale con la conquista di Bali. A Giava l’Islam non era ancora giunto quando Odorico fece visita al palazzo reale, e le religioni principali erano il buddhismo, l’induismo e l’animismo. La descrizione che il friulano fece dell’isola era a dir poco entusiastica: «Quest’isola è abitata molto bene ed è la seconda isola più bella che ci sia al mondo. In essa nasce la canfora e vi crescono cubebe (pepe di Giava), melaghette (nota come melegueta o grani del Paradiso, della famiglia dello zenzero con sentore di zenzero e cardamomo) e noci moscate e molte altre specie di erbe preziose. Vi è grande abbondanza di vettovaglie, a eccezione del vino. Il re di quest’isola possiede un palazzo davvero meraviglioso». E più avanti, nel capitolo dedicato all’arcipelago indonesiano, Odorico sottolineava la potenza militare di Giava, che seppe resistere alla potenza della Cina di Kubilai Khan. «Il Gran Khan del Catai fu molte volte in guerra contro questo regno di Giava, ma questo re riuscì sempre vincitore e lo superò».
Lasciata l’Indonesia, passando forse per il Borneo e probabilmente dalle Filippine, Odorico sbarcò finalmente in Cina dal porto di Canton. Poi via terra riuscì a raggiungere Khambaliq (Pechino), dove lasciò le spoglie dei confratelli martiri e risiedette per tre anni prima di intraprendere il viaggio di ritorno via terra in compagnia del francescano frate Giacomo d’Irlanda attraverso il Tibet, la Persia e di nuovo da Trebisonda fino a Venezia. Odorico tornò nel 1330, dopo 12 anni. A Padova scrisse la sua Relatio, di fronte a frate Guido, ministro provinciale, e allo scriba Guglielmo da Solagna. La destinazione del resoconto di Odorico era Avignone, dove si ipotizza che il frate avrebbe dovuto recarsi per relazionare le meraviglie d’Oriente e dei suoi popoli al Pontefice. Odorico da Pordenone non la raggiungerà mai. Morirà a Udine si presume il 14 gennaio 1331 stroncato da una grave forma di enfisema dovuto alle esalazioni di monossido di carbonio respirate nelle tende dei «Tatari». La fama di santità seguirà immediatamente dopo la morte. A Udine fu realizzata una splendida arca dove riposavano le spoglie. Il processo di canonizzazione iniziò solamente nel 1755 ma fu interrotto. Due volte ancora fu ripreso ed interrotto nel 1931 e nel 1956. Nuovamente istruito negli anni Duemila, l'iter è attualmente in corso.
Per un approfondimento sul viaggio di Odorico da Pordenone si consiglia la lettura di Racconto delle cose meravigliose d'Oriente (Edizioni Messaggero Padova), basato sull'opera critica di riferimento a cura di Annalia Marchisio Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum (Sismel-Edizioni del Galluzzo).
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(Totaleu)
Lo ha detto l’eurodeputato di Forza Italia a margine della sessione plenaria di Strasburgo.