In 11 anni in Italia sono stati persi 1,5 milioni di soggetti in età lavorativa. Calano gli autonomi (-27.000 partite Iva a giugno). La strategia Ue va invertita: distruggerà i salari e creerà solo un esercito di sussidiati.
In 11 anni in Italia sono stati persi 1,5 milioni di soggetti in età lavorativa. Calano gli autonomi (-27.000 partite Iva a giugno). La strategia Ue va invertita: distruggerà i salari e creerà solo un esercito di sussidiati.Ci piacerebbe partecipare alla festa. Stappare una bottiglia per il record di occupati italiani registrato dall’Istat. A giugno il dato è arrivato a superare il 60%. Cosa che non accadeva del 1977. Purtroppo le uscite ottimistiche dei Tg e della stampa vanno alquanto ridimensionate. La percentuale di persone occupate aumenta perché negli ultimi dieci anni abbiamo perso oltre 1,5 milioni di persone in età da lavoro. Gli italiani invecchiano e i giovani non sono in grado di tenere (. il passo. Il problema demografico è infatti più rilevante di quanto sembri. Non solo ai fini pensionistici, ma anche perché restringe il perimetro a cui le aziende possono attingere per rimpolpare le fila dei propri dipendenti. Nel 2011 c’erano 39,5 milioni di persone in età lavorativa. Poco più di 22 milioni erano occupati, 2 disoccupati e 15 circa inattivi, cioè che non cercano nemmeno una attività. Adesso gli italiani in età da lavoro sono 38 milioni: 23,1 occupati, 2 disoccupati e circa 13 inattivi. Fin qui il tema statistico demografico. Purtroppo il fatto che il dato degli occupati sia salito anche in valore assoluto ci riporta dritti a un secondo dettaglio non irrilevante. L’ultimo anno è il primo intero in cui l’Istat ha assorbito per intero le regole europee di calcolo e di riallocazione dei lavoratori in uscita dalla cassintegrazione. Su alcuni aspetti le maglie per filtrare chi è occupato e chi non lo è sono più larghe. È considerato un lavoratore «un soggetto tra i 15 e gli 89 anni che nella settimana del rilevamento statistico ha lavorato per almeno un’ora, che non è assente da più di tre mesi escludendo le ragioni di malattia, ferie, congedo eccetera, e se è uno stagionale impegnato a riprendere l’attività». Mentre sono considerati disoccupati chi tra i 15 e i 74 nella settimana del sondaggio non lavora ma cerca attivamente un impiego e si dice disposto a lavorare prima della fine delle due settimane successive. Tutti gli altri rientrano nella categoria degli inattivi. C’è infine chi rientra nella categoria occupati nonostante l’età avanzata. Le differenti età massime servono per cogliere i casi di pensionati che continuano a lavorare, «una componente non secondaria visto che in Italia nel 2020 erano circa 671.500 (di cui 552.000 con più di 65 anni). Il dato è continuato ad aumentare e finisce con il drogare il valore complessivo del mondo del lavoro. Tanto che va preso in considerazione e vivisezionato anche il valore mensile degli ingressi. A giugno, come hanno riportato tutti i giornali, il saldo positivo è stato di 86.000 unità. Per la precisione 116.000 nuove assunzioni a tempo indeterminato, mentre i lavoratori a termine sono calati di poco più di 3.000 unità. Male è andata per gli autonomi che continuano a diminuire. Solo a giugno il saldo è stato negativo per 27.000 partite Iva. Per chi scrive la moria delle partite Iva è un grosso problema. Fino alla pandemia gli autonomi hanno rappresentato un po’ di dinamismo, adesso lasciano spazio a contratti indeterminati che sulla carta offrono molti più vantaggi ma spesso portano con sé buste paga molto più magre. C’è infatti da sottolineare che una enorme fetta di questi 116.000 nuovi lavoratori è part time. E qui si ritorna all’aspetto qualitativo del mondo del lavoro. Il calo costante della produttività porta con sé paghe più basse e attività molto più frammentate. Un part time non garantisce in alcun modo l’autosufficienza, soprattutto nelle città e nel caso in cui un giovane voglia avviare una famiglia. È partendo da questa illusione del boom del lavoro che bisognerebbe avviare una profonda discussione in grado di trascinare la campagna elettorale. Calo demografico, frammentazione del mondo del lavoro e scarsa retribuzione sono i punti deboli della nostra economica. E se non si interverrà seriamente, la situazione può solo peggiorare. Basti pensare che le previsioni demografiche Istat fissano il numero degli italiani a 47 milioni nel 2017 contro gli attuali 59. L’Unione europea sul tema ha le idee chiare. Stima di inserire nel mondo del lavoro risorse provenienti da Paesi extra comunitari compreso un elevato numero di profughi. Abbassando il costo orario si potrà fare concorrenza e alzare la produttività. Si finirà però per lacerare la società e creare categorie di poveri lavoratori che si alternano a quelle dei poveri sussidiati. In pratica, l’Ue immagina che si possano sostituire i buchi demografici con manovalanza a basso prezzo e sussidiare i cittadini non più in grado di stare al passo con il mondo del lavoro. Ovviamente, tutto ciò rappresenta l’opposto della crescita economica. È invece una forma ordinata di implosione economica, sempre che i governi con il controllo digitale riescano a evitare rivolte e guerriglia civile. Sarebbe l’occasione per il centrodestra di interrogarsi su come si possa tornare a far crescere il Pil e quindi la ricchezza delle aziende e dei lavoratori. Bisogna fermare l’idea che i bonus aiutino i cittadini, perché non solo altro che l’altra faccia della medaglia invocata dalla sinistra sotto il nome di ridistribuzione della ricchezza. E, quindi, di povertà diffusa. Se i cittadini non guadagnano di più e le aziende non saranno più produttive, metteremo in discussione anche decenni di libertà democratica. Conquistata certo grazie alla Costituzione, ma pure con il guadagno e l’arricchimento personale.
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