I dati dello studio di Divulga. Tagliando i prezzi, il Cremlino beffa i nostri agricoltori.
I dati dello studio di Divulga. Tagliando i prezzi, il Cremlino beffa i nostri agricoltori.Restano in moto i trattori della contestazione. Martedì hanno di nuovo marciato su Roma e nessuno dei comitati che compongono il variegato arcipelago della protesta ha intenzione di alzare bandiera bianca. Il tema più stringente, quello dei prezzi, resta incombente, così come la contestazione verso le politiche europee. C’è un punto che la diplomazia di Bruxelles si è ben guardata da mettere in rilievo perché rischia di smontare la retorica della fermezza contro il «nemico» Vladimir Putin. Ieri gli ambasciatori europei hanno raggiunto l’accordo sul tredicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia e il presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha commentato: «Dobbiamo continuare a ridurre la macchina da guerra di Putin. Manteniamo alta la pressione sul Cremlino. Stiamo anche riducendo ulteriormente l’accesso della Russia ai droni». Si dimentica però di dire che questa pressione alta la pagano gli agricoltori. Perché il grano è escluso dalle sanzioni. La ragione è un po’ ipocrita: si teme che sanzionando il grano russo i prezzi s’impennerebbero e i Paesi più poveri pagherebbero serie conseguenze. La verità è che le conseguenze le stanno pagando i nostri contadini. Con la solita precisione scientifica il centro studi Divulga - uno dei più accreditati think tank in economia agraria diretto dal professor Felice Adinolfi - ha diffuso una sintesi del suo studio Mari in tempesta che fa il punto del mercato agricolo dopo due anni di conflitto in Ucraina. Il prezzo del grano è crollato del 40%, quello del duro spunta prezzi inferiori al 2023 e il grano canadese - primo fornitore dell’Italia che importa metà del frumento che ci serve sia per fare sia il pane sia la pasta di cui siamo, con quasi 4 milioni di tonnellate, i primi produttori al mondo - che resta il più caro ha perso 2 euro a settimana dall’inizio dell’anno stando sotto i 360 euro a tonnellata. Questo perché siamo invasi dal grano duro russo e da quello turco. Su un totale complessivo di 1.108.754 tonnellate di grano duro importate in Italia da Paesi extra Ue, da luglio in poi, il grano duro turco rappresenta il 37% mentre quello russo il 31,4%. Stando a Divulga, l’Italia nel 2023 ha aumentato del 130% le importazioni di grano duro da Paesi extra Ue con un enorme balzo in avanti delle quantità che arrivano dalla Russia: +1.164%. Anche la Turchia ci ha invaso: più 798%. Perché accade? La Russia fa dumping sul prezzo e ha una grande disponibilità di grano duro. A noi ne ha vendute 400.000 tonnellate e siccome il suo frumento non è gravato da sanzioni è diventato il sostituto del metano e la strategia commerciale russa è uguale e a quella dell’energia. Dicono i russi: abbiamo tanto prodotto, lo vendiamo al prezzo più basso possibile. Ovviamente questo si scarica sui nostri cerealicoltori che sono soggetti a una concorrenza sleale. Quanto alla Turchia, grazie agli accordi del Mar Nero pensati per facilitare le esportazioni di prodotti dall’Ucraina ha ripreso spazio nel mercato mondiale anche attraverso le triangolazioni: compra grano in Ucraina, in Kazakistan, in Russia e lo rivende. Lo studio di Divulga si sofferma anche sull’andamento dell’export e della produzione ucraina che al secondo anno di guerra è crollata. L’Italia nei due anni di conflitto ha comunque aumentato l’import da Kiev del 150%. Scrive Divulga: «Crescite sostenute si rilevano in particolare per i cereali: abbiamo importato gran tenero con un aumento del 260%, mais con un più 230% e orzo con un più 128%. Abbiamo comprato però anche più semi di girasole (più 368%) e più soia (108%) ma a sorprendere è l’incremento d’importazione di carni avicole: ne abbiamo fatte arrivare dall’Ucraina più di 700.000 tonnellate». La solidarietà con Kiev per i nostri contadini sembra un pessimo affare.