
Al vertice sulla giustizia il nodo resta quello della prescrizione. Toccherà a Giuseppe Conte mediare. Ed evitare la rottura con i renziani.Il vertice di maggioranza sulla giustizia, cominciato nella serata di ieri a Palazzo Chigi, di certo non è stato una passeggiata di salute. Prima dell'incontro, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, aveva confermato l'indisponibilità del Movimento 5 stelle a trattare sulla prescrizione. Il Guardasigilli si era detto «pronto ad ascoltare tutte le proposte per accelerare i processi», ma sulla norma-bandiera dei grillini aveva ribadito di non voler fare retromarcia: «La prescrizione come isola d'impunità non esiste più». Sbattendo la porta in faccia a tre mesi di richieste di modifica provenienti dal Partito democratico e da Italia viva, il partitino di Matteo Renzi, il Guardasigilli ha confermato agli alleati che quella è materia non negoziabile.Al momento in cui scriviamo, il vertice non è ancora terminato quindi non è dato sapere se siano state prese decisioni. Di certo Bonafede ha cercato di convincere gli alleati della maggioranza giallorossa che il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, entrato in vigore il primo gennaio grazie a un articolo della legge «spazzacorrotti» varata dalla vecchia maggioranza gialloblù, non darà vita al «processo senza fine» tanto temuto (e osteggiato) dal Pd e da Italia viva. Ieri il ministro ha cercato di tranquillizzare gli alleati con qualche statistica: in base ai dati del primo semestre 2019, si stima che la cancellazione della prescrizione abbia un effetto al massimo sul 2,2% dei processi.Ma Bonafede ha cercato di superare le divergenze soprattutto buttando sul tavolo del vertice la sua proposta per accelerare i tempi della giustizia penale. Per questo il ministro ha chiesto ai rappresentanti della coalizione di valutare bene la sua ipotesi di riforma e ha affidato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il compito di mediare tra posizioni che comunque restano molto distanti. Va detto, però, che lo stesso Conte ha più volte difeso il blocco della prescrizione: «Per me è giusto», aveva detto a fine novembre, «perché è il segnale che in Italia i processi terminano con un'assoluzione o una condanna, altrimenti si sfocia nella denegata giustizia».La maggioranza, insomma, resta appesa alla controversa capacità contrattuale del premier. Due giorni fa anche Nicola Zingaretti si era appellato alla mediazione di Conte, ricordandogli però che «in un Paese civile è necessario avere processi dai tempi certi». Il 27 dicembre, per cercare di rafforzare la loro posizione, i democratici hanno depositato una loro proposta di legge che punta a trasformare il blocco della prescrizione in sospensione: per due anni nel processo d'appello e per un anno nel processo in Cassazione. Trascorso questo tempo, però, la prescrizione riprenderebbe il suo corso. Prima del vertice di ieri, il responsabile democratico per la giustizia, Walter Verini, ha confermato che il suo partito chiederà di discutere la proposta in Parlamento «soltanto se costretto».Più dura sembra invece la posizione dei renziani. Minacciosi, gli esponenti di Italia viva hanno ripetuto che, se non si riuscirà a trovare una sintesi accettabile, voteranno la proposta di riforma dell'opposizione firmata da Enrico Costa, deputato di Forza Italia. Il disegno di legge azzurro, che è ancora all'esame della commissione Giustizia della Camera, punta a cancellare il blocco grillino della prescrizione per tornare alla situazione precedente. Ieri è scaduto il termine per gli emendamenti alla proposta di Costa: verranno esaminati martedì 14 gennaio in commissione e due giorni più tardi il testo della norma dovrà essere licenziato per andare in aula. Sul punto, la maggioranza già avanza a ranghi separati: Pd, Italia viva e Liberi e uguali non hanno presentato richieste di modifica alla proposta di Costa, mentre il M5s ne ha chiesto la soppressione.La maggioranza ha davanti a sé anche una «terza via», basata sulla proposta di Federico Conte, penalista e deputato di Leu, che ha suggerito di limitare il blocco della prescrizione alle sole condanne. «Significherebbe liberare almeno le sentenze di assoluzione dall'incubo di un processo eterno», ha spiegato Conte, «e concentrare gli sforzi per garantire a chi è stato condannato un celere giudizio in Corte d'appello e in Cassazione». Della proposta di Leu, però, c'è chi sospetta l'incostituzionalità: nell'ultimo vertice di maggioranza sulla materia, il 19 dicembre, Bonafede aveva commentato che con quella soluzione «si rischia una discriminazione eccessiva rispetto a chi in primo grado viene assolto». Nel vertice di ieri, comunque, il Guardasigilli ha insistito soprattutto sul suo disegno di legge per accelerare i processi. Le proposte della riforma sono tante. Bonafede vorrebbe introdurre termini più brevi per le indagini preliminari: il pubblico ministero avrebbe da sei a 18 mesi, a seconda del tipo di reato (oggi il massimo è di 24 mesi), e potrà chiedere al giudice una sola proroga. Il Guardasigilli prevede poi che non vengano più azzerati i processi se cambia uno solo dei tre giudici che compongono la corte. Vorrebbe modificare anche il giudizio d'appello nei procedimenti che in primo grado si celebrano davanti al giudice «monocratico», cioè quelli relativi a reati puniti fino a dieci anni di carcere: Bonafede prevede che anche in secondo grado siano affidati a un solo giudice, e non più a una corte. Il ministro intende infine «triplicare la produttività» delle Corti d'appello dotandole di 117 nuovi giudici. Ma basterà tutto questo a convincere gli alleati?
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