2018-06-22
Elogio del nazionalista Bolton spedito a Mosca
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Il consigliere Usa la prossima settimana sarà in Russia per organizzare il vertice estivo tra Donald Trump e Vladimir Putin. Bollato come falco e neoconservatore, l'ex ambasciatore è l'uomo in grado di sintetizzare le varie anime di un'amministrazione determinata, dopo gli anni di Barack Obama, a far tornare il Paese protagonista nel mondo. E il primo obiettivo è il reset con il Cremlino.Nel giro di trentasei ore, prima il Wall Street Journal e poi il temuto portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, hanno fatto intendere che sarà il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Donald Trump, John Bolton, a visitare Mosca la prossima settimana (passerà prima da Londra e Roma), nel quadro delle manovre di preparazione e avvicinamento verso il possibile vertice tra i due leader, che potrebbe tenersi in Europa (forse in Austria) questa estate. La stampa ostile alla Casa Bianca, sempre in cerca di faglie e fratture nell'amministrazione statunitense, ha già cominciato a dire che Bolton, messo ai margini della trattativa con la Corea del Nord (curata soprattutto dal segretario di Stato, Mike Pompeo), ha ora un'occasione di recupero, per fare lui da sherpa in una missione altrettanto delicata. Ma forse vale la pena di dedicarsi a osservazioni meno superficiali, per un verso centrate sul profilo di John Bolton, e per altro verso sulla capacità dell'amministrazione Usa di lavorare davvero come un'orchestra, con diversi ruoli e strumenti. John Bolton è probabilmente da anni l'analista di politica internazionale più rispettato in ambito repubblicano. Uomo di ingegno e talenti multiformi: raffinato conferenziere nei think tank di Washington, divulgatore efficace nel «popolarizzare» in tv le questioni geopolitiche più complesse come contributor di Fox News, e combattivo ex ambasciatore alle Nazioni Unite. Ora si trova a svolgere una quarta funzione, sicuramente la più importante della sua carriera, quella di consigliere per la sicurezza nazionale del presidente, l'uomo che a diretto contatto con Donald Trump definisce le linee di politica internazionale e i relativi riflessi sulla sicurezza degli Usa. Molto si è discusso sulla sua matrice ideologica all'interno del variegato arcipelago repubblicano. New Republic si è divertita a stabilire una specie di tripartizione nella politica estera del centrodestra Usa: i realisti prudenti, i neoconservatori (interessati alla promozione globale della democrazia), e i nazionalisti radicali, altrettanto falchi dei secondi ma meno interessati a questioni di regime change e esportazione democratica. Secondo New Republic, Bolton andrebbe collocato in quest'ultima categoria. E forse non è una definizione errata. L'uomo ha principi saldi, ma è in grado di metterli al servizio della missione che Trump si è dato, e cioè riportare l'America al centro del ring della politica internazionale, facendo valere la logica dell'interesse nazionale, e agendo in controtendenza rispetto all'arretramento obamiano. Parliamoci chiaro: negli otto anni dell'amministrazione Obama, l'America si è ritirata - fisicamente e metaforicamente - un po' da tutti i teatri decisivi, lasciando un vuoto facilmente occupato da altri attori (dall'Iran alla Russia alla Cina, e per altro verso dal terrore islamista). Ecco, la missione di Trump, in ciascuno di quei teatri, è duplice: mostrare che l'America c'è di nuovo, e mettere in primo piano una capacità muscolare di riprendersi la sua centralità in nome degli interessi nazionali statunitensi. Bolton è indubbiamente l'uomo che può offrire a Trump l'expertise per fare tutto questo: conoscenza profonda dei dossier, padronanza di istituzioni e strumenti della politica internazionale, e una duttilità che può mettere idee forti al servizio di una missione politica chiara. Nel caso della Russia, è evidente che Trump deve tenere presenti diversi fattori. Da un lato, sa che tanti (quelli che ancora sperano nel Russiagate, sempre più inconsistente) cercano l'occasione per mostrare che il suo atteggiamento è eccessivamente morbido verso Mosca. Dall'altro, sa che Putin può essere un interlocutore, ma potrebbe anche scegliere di orientarsi verso Est, in un'alleanza con Pechino e Teheran, abbandonando il dialogo con l'Occidente. Quindi Trump deve essere allo stesso tempo forte, determinato e cauto: vuole un vero reset con la Russia, non vuole «regalarla» a Cina e Iran, ma al tempo stesso cerca di fare in modo che l'incontro con Putin avvenga nelle maggiori condizioni di forza possibili dal punto di vista di Washington. E qui si arriva all'altra osservazione che facevo all'inizio: la capacità dell'amministrazione Trump di diversificare strumenti, toni, personalità. I soliti critici tendono a descrivere Trump come un rozzo accentratore, ma sbagliano due volte, perché non c'è nulla di rozzo nella sua strategia, e, al posto dell'accentramento, c'è un'intelligente molteplicità di ruoli e figure. La signora Nikki Haley, ambasciatore all'Onu, gioca la parte più aggressiva e legata ai princìpi: ne è testimonianza l'atto fortissimo di questa settimana, il preannunciato abbandono Usa del Comitato diritti umani delle Nazioni Unite, ormai egemonizzato da dittature antisraeliane e antiamericane. Il generale James Mattis, segretario alla Difesa, conosce umori (e effettive possibilità) dell'apparato militare. Mike Pompeo, il nuovo segretario di Stato, non è solo un falco anti Iran ma è a sua volta un uomo che ha sensibilità di principio. Pochi se ne sono accorti, ma a inizio settimana, con una mossa quasi reaganiana, il dipartimento di Stato Usa ha chiesto alla Russia il rilascio di oltre 150 prigionieri politici e religiosi, aggiungendo che Mosca è tornata alla «crudele pratica da era sovietica della repressione del dissenso». Come a dire: vogliamo trattare con voi, ma non dimentichiamo la bussola della libertà, della democrazia, e anche, come negli anni Ottanta, un'attenzione ai dissidenti, ai prigionieri di coscienza, alle minoranze politiche e religiose oppresse. Ecco, Bolton è l'uomo che può tenere insieme tutte queste sensibilità, attraverso il collante di un realismo forte e di un'efficace focalizzazione sull'interesse nazionale e su una rinnovata centralità americana. Si può scommettere che, se si arriverà alla stretta di mano tra Trump e Putin, Washington - fino a un minuto prima del meeting - metterà The Donald nella migliore condizione di forza immaginabile.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.