2022-10-01
Bollette, intesa tra Draghi e Meloni
Mario Draghi (Imagoeconomica)
Comunione d’intenti di fronte a un Continente diviso e scostamento come ultima ratio. Ipotesi di un nuovo decreto d’aiuti. Matteo Salvini si smarca e scende in piazza con la Coldiretti.Il governo che sta per nascere si trova già davanti a un sentiero strettissimo che imporrà subito scelte importanti. E risposte alle indecisioni di un’Europa sempre meno unita che ieri ha confermato la sua non-strategia per far fronte al balzo dei prezzi dell’energia: razionare, tassare e non supportare. Ovvero ridurre i consumi elettrici con lo stop obbligatorio almeno nelle ore di punta, stangare gli extraprofitti per le multinazionali dell’energia (con il contributo di solidarietà da parte delle società che lavorano i combustili fossili). Niente price cap e niente linee di credito straordinarie per le aziende settore che poi i singoli Stati saranno quindi costretti a salvare.Di fronte a questo scenario, come si muoverà il futuro governo? Farà scostamento o si limiterà a navigare con bonus e aiuti ma senza interventi strutturali, come ha fatto l’uscente? Insisterà con il tetto al prezzo del gas o verrà spinta più l’ipotesi di un fondo di solidarietà sul modello dei prestiti Sure? Le carte sono ancora tutte coperte, non è chiaro se per prudenza o se perché effettivamente non si sanno ancora quali pesci pigliare. Nella transizione ordinata tra vecchio e nuovo esecutivo, però, le dichiarazioni fatte giovedì da Mario Draghi e da Giorgia Meloni parevano quasi un comunicato congiunto (o quantomeno Meloni sembra parlare come Draghi e Draghi come Meloni). La leader di Fratelli d’Italia sa bene che la ricetta per far fronte alla crisi energetica, è il vero banco di prova del suo governo e ha fatto appello «alla compattezza» e alla responsabilità alle forze politiche, «tutte». Perché per dare risposte ai cittadini e alle imprese avrà bisogno della collaborazione anche delle opposizioni. A maggior ragione se la Ue non si muoverà «con tempestività e buon senso». Lo scostamento resta l’ultima ratio, continuano a ripetere dalle file di Fdi, perché gli occhi degli investitori, dei mercati e dei partner internazionali sono tutti puntati sulle scelte economiche che farà il nuovo esecutivo. E sbagliare la prima mossa potrebbe costare caro. Le parole vengono quindi scelte con cura e somigliano molto a quelle utilizzate dal premier ancora in carica irritato dallo scudo da 200 miliardi annunciato da Berlino per calmierare prezzi in Germania. «Non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali, serve solidarietà», ha avvertito Draghi. Simile il messaggio inviato da Meloni a Bruxelles. «Nessuno Stato membro può offrire soluzioni efficaci e a lungo termine da solo in assenza di una strategia comune», ha scandito. Nemmeno «quelli che appaiono meno vulnerabili sul piano finanziario». Sul tavolo di entrambi sono arrivate le tabelle della Nadef. Che certificano margini per 10 miliardi in deficit per mettere in campo anche subito, non appena in carica, un nuovo decreto taglia-bollette. Briciole, però, in confronto al maxi-intervento tedesco che l’alleato Matteo Salvini ha subito chiesto di replicare anche in Italia. Proprio il leader della Lega - che era nella maggioranza del vecchio governo e sarà anche nella maggioranza di quello nuovo - ieri è salito sul palco di una manifestazione della Coldiretti è ha detto che «se non interveniamo velocemente faremo il triplo del debito tra qualche mese per pagare un milione di disoccupati in più. Siamo al 30 di settembre con il governo che entrerà in carica tra un mese. Non possiamo permetterci di perdere altri giorni». Nel gestire in casa una Lega «di lotta e di governo», Meloni potrebbe essere spinta verso un intervento governativo sullo stile di quello tedesco (ma chiaramente di portata assai più limitata) senza preoccuparsi del debito pubblico ma metterebbe ancor più sotto pressione i conti dello Stato. Un’altra via potrebbe essere quella di varare altri aiuti pubblici ma senza spaventare i mercati finanziari. Di certo, la strada del nuovo esecutivo è lastricata di delicati compromessi nonché stretta tra vincoli esterni (come il Mes) ed interni. Perché dentro la manovra andrà trovato un punto di caduta miscelando le misure della coperta delle risorse disponibili (che resta corta) con le nuove stime sul Pil. Quelle relative all’anno corrente sono ottimistiche visto che prevedono una crescita del 3,3% rispetto al 3,1 per cento. Una forchetta che garantirà maggiore possibilità di spesa grazie ai residui del 2022. Mentre per il prossimo anno la previsione del Pil si gela allo 0,6 per cento. Al momento sembra di capire che ci sia la volontà di inserire un riequilibrio della flat tax con nuovi imponibili e uno scaglione. Mentre il superbonus resta uno dei grossi problemi da risolvere visto che non sta funzionando. Considerando che avremo un risparmio sul 2022 minore in base al deficit, la manovra andrà costruita sul 2023 dove però si dovrà fare appunto i conti con il crollo del Pil che dimezzerà la capacità di spesa rispetto ai 40 miliardi originari.
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