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2018-10-16
Boeri fallisce il blitz sulle pensioni, salvi gli assegni sotto i 4.500 euro
ANSA
Un logorio che è durato tutto il giorno. Messaggi inviati mezzo stampa alle rispettive parti. La Lega tira la coperta da un lato e i 5 stelle d'altro. In mezzo le pressioni e le interferenze che spingono per rafforzare l'asse in atto tra Luigi Di Maio e il numero uno dell'Inps, Tito Boeri. Una sinergie che ha messo in atto un blitz per tagliare invece che le cosiddette pensioni d'oro, fette di assegni ben più sottili.
Lo schema Boeri, sposato dai 5 stelle, prevedeva un meccanismo di intervento sulla parte retributiva ma con uno schema lineare che alla fine taglia per ogni anno di uscita anticipata rispetto all'età prevista dall'attuale legge una sforbiciata di circa il 2%. È il vecchio progetto di Boeri che ritorna sotto forma grillina: tagliare e ridistribuire alle pensioni minime. Solo che una volta creata la legge basterà modulare le soglie per tosare più persone. Tant'è che le dichiarazione di Di Maio, datate sabato e domenica, hanno acceso l'incendio. Prelevare un miliardo all'anno significherebbe tagliare al di sotto dei 3.000 euro netti. A quel punto il governo è andato in attrito. Alla riunione di ieri mattina il leader 5 stelle non si è presentato.
A quel punto sono circolate indiscrezioni secondo le quali il cdm previsto per le 17.30 non avrebbe licenziato il decreto fiscale. Ma solo una bozza di manovra, di fatto priva di coperture. Questo perché in piena trattativa è entrato a gamba tesa il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti. Si è opposto al blitz Boeri-Di Maio. Si è opposto a ragione. Ha senso fare uscire in anticipo dal mondo del lavoro circa 400.000 persone e poi chiedere a circa 180.000 di rinunciare a una fetta di assegno consistente (il taglio può superare il 20%)?
La risposta è ovviamente no. Primo, perché si andrebbe a colpire soprattutto gli elettori del Nord. Secondo, perché da un lato di scardina la legge Fornero e dall'altro si penalizza economicamente chi ha semplicemente rispettato le leggi contributive della nostra Repubblica. Un paradosso politico con un retrogusto incostituzionale. Tanto più che il contratto di governo prevederebbe un taglio per le pensioni d'oro sopra i 5.000 euro netti al mese, che in pratica richiamerebbe il contributo di solidarietà del governo Berlusconi e Gentiloni. Scendere più in basso significa tradire il ceto medio. Non solo noi riteniamo sia un errore madornale da evitare. Evidentemente lo ritiene pure la Lega che però ieri ha dovuto portare avanti un mega compromesso. Pur di sterilizzare un po' il taglio delle pensioni d'oro, ha accettato di limare e ridurre il perimetro della pace fiscale.
Così il cdm ha introiettato sia l'approvazione del decreto fiscale (vedi articolo qui sotto) sia la stesura della legge di bilancio, la quale si è trasformata in un decreto omnibus. L'obiettivo è quello di infilare norme qua è là come la rimodulazione dell'Rc auto in modo da favorire gli abitanti delle regioni del Sud, fondi per le missioni all'estero, un decreto taglia adempimenti burocratici e la conferma dell'impignorabilità della prima casa. Tutte informazioni che arrivano in diretta tramite i post Facebook di Di Maio.
Al di là dei dettagli, la mediazione ha però concesso di proporre (al fine di raccogliere gettito) un taglio degli assegni previdenziali (con componente retributiva) a partire da 4.500 euro netti al mese con l'intento di raccogliere un miliardo di euro spalmato in tre anni. In questo modo i grillini possono mettersi una medaglia, e la Lega sterilizza l'effetto: a venire colpiti dal provvedimento saranno tra le 60.000 e le 70.000 persone. Molte meno delle 400.000 che si appresteranno a ritirarsi dal lavoro con quota 100.
La cicatrice che ieri sera è stata suturata resterà visibile a lungo. Difficilmente gli attriti verranno dimenticati all'interno della compagine gialloblù perché sono frutto di un background culturale opposto e soprattutto di relazioni incongrue. Non è più un mistero il fatto che parte dei 5 stelle dialoghi con l'area di sinistra vicina alla Margherita e con dirigenti dei ministeri che sono vicini al precedente governo Gentiloni. Ciò non significa che si rischi la caduta del governo. Al momento nessuna delle due componenti ha il minimo interesse a rompere. Si tratterà di proseguire con quel logorio di ingranaggi. Ieri il tira e molla ha portato anche novità in tema fiscale. Si scopre (anche se i dettagli ancora non ci sono i dettagli) che aumenteranno le tasse al comparto bancario e assicurativo e soprattutto che il bilancio dello Stato taglierà nel triennio un miliardo e 300 milioni di spese per gestire l'immigrazione.
Il ministro dell'Interno in un'intervista a Politique internationale (uscirà il 18 ottobre) ha annunciato che flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione della riforma Fornero «sarebbero state tutte e tre nella prossima manovra finanziaria». «Non ci sentiamo vincolati», ha aggiunto, «dalle norme sul deficit pubblico decretate da Bruxelles e che tanti governi europei hanno bellamente ignorato, a cominciare da Francia, Germania e Spagna». Mentre scriviamo l'articolo, il consiglio dei ministri è ancora in corso. Entro la mezzanotte è previsto l'invio del testo a Bruxelles, mentre entro sabato la manovra dovrà approdare in Parlamento. Ci saranno altre trattative e attriti. Di certo Giorgetti ha le antenne alzate e sembra che la fiducia verso i 5 stelle si sia ridotta sensibilmente.
Pace fiscale, limite a 100.000 euro per il nero
Una novità (positiva), due punti fermi (condono fino a 100.000 euro, e vecchie cartelle sanabili fino a 500.000), e una conferma (negativa) dentro un dl fiscale in bilico fino a tarda sera.
La novità positiva riguarda la sanatoria per le sigarette elettroniche: un settore che aveva registrato una crescita iniziale incoraggiante è stato per anni tartassato fiscalmente. Questa volta ci sarà finalmente una prima inversione di tendenza: l'articolo 7 del decreto consente di pagare il 5% per chiudere i contenziosi. Tutti i soggetti obbligati all'imposta sui prodotti succedanei del tabacco e sui liquidi da inalazione potranno chiudere la partita pagando il 5% dell'imposta dovuta, senza interessi né sanzioni. Del resto, non si vede per quale ragione si debba usare la tassazione come «martello etico» contro questi prodotti, e neppure il motivo per continuare ad aggredire fiscalmente un mercato con notevoli potenzialità di espansione.
Qualche incertezza riguarda invece l'elemento più forte e potenzialmente attrattivo della pace fiscale: si tratta della dichiarazione integrativa (della quale ha ampiamente parlato ieri alla Verità il sottosegretario Massimo Bitonci). Qui la differenza di vedute tra Lega e M5s non è piccola. Per i leghisti, chi ha fatto la dichiarazione negli ultimi 5 anni potrebbe ora dichiarare un maggiore importo, pagando tra il 15 e il 20% in più: insomma, un'aliquota forfettaria vantaggiosa anche per il superiore imponibile emerso. Con una doppia attrazione: pagare meno, e incentivare fortemente all'emersione. I grillini preferirebbero una formula meno potente, e cioè una riverniciatura del ravvedimento (che già esiste): il contribuente può correggersi, può cioè dichiarare di più, non incontrerebbe nuove sanzioni né interessi, ma non usufruirebbe dell'aliquota forfettaria di vantaggio sull'ulteriore imponibile emerso. Dal punto di vista dei grillini, un modo per circoscrivere il condono: ma la misura rischierebbe di determinare entrate più limitate. Un possibile punto di sintesi sarebbe far emergere fino al 30% in più delle somme già dichiarate, e comunque entro il limite di 100.000 euro di «nero». I grillini incassano un'ulteriore stretta sugli evasori però.
Sono acquisiti altri tre elementi della «pace». Primo: cancellazione di tutte le cartelle sotto i 1.000 euro (fino al 2010). Entrano in questo calderone non solo i debiti tributari, ma pure multe stradali, tributi locali, bollo auto. Il contribuente non deve fare nulla: saranno gli agenti della riscossione a cancellare (entro fine 2018) tutte queste cartelle. Secondo: sulle cartelle superiori (fino a 500.000 euro), è prevista la cancellazione di interessi e sanzioni e la possibilità di pagare quel che rimane in rate spalmate su cinque anni. Terzo (processo tributario): se un contribuente vince un ricorso in primo grado, ma teme di subire un ribaltamento dell'esito nei gradi successivi, può decidere di chiudere subito la partita pagando il 50%.
Se poi vince anche in secondo grado ma vuole evitare la Cassazione, basterà pagare il 20%. Da diverse parti si è sollevata un'obiezione teoricamente correttissima: per quale ragione un contribuente che vince dovrebbe pagare? In effetti, sembra il mondo alla rovescia. Ma non è certo colpa di un governo arrivato da quattro mesi (questo andrebbe onestamente riconosciuto anche dai detrattori) se, nelle follie del processo tributario italiano, è così frequente un ribaltamento degli esiti. Il Governo - quindi - a torto o a ragione, ha offerto un'opportunità, della quale ciascuno potrà avvalersi o no.
Notizie non brillanti invece sul fronte dell'Iva. È totalmente confermata l'impostazione che La Verità ha descritto nel fine settimana, in sostanziale continuità - purtroppo - con i governi di centrosinistra. L'esecutivo ha deciso di procedere sulla fatturazione elettronica, senza vere riduzioni degli adempimenti a carico delle imprese, e soprattutto con inquietanti previsioni di aumento del gettito Iva.
Si aprono le finestre per quota 100, la prima disponibile sarà a febbraio
Come La Verità ha più volte spiegato in queste settimane, restano almeno otto nodi tecnici (che ieri sera erano ancora significativamente ingarbugliati) relativi alla revisione della legge Fornero.
La scelta politica c'è, e indietro non si torna: quota 100 è una decisione presa, come ribadito ieri dal segretario leghista Matteo Salvini, e quindi sarà possibile andare in pensione non più alla scadenza fissata dalla legge Fornero, ma al raggiungimento della soglia «100», sommando età anagrafica e contributi versati.
1 Ma quando sarà materialmente possibile «uscire»? L'ipotesi è quella di tre «finestre» di uscita (la prima delle quali già all'inizio di febbraio, poi inizio di luglio e infine inizio di ottobre) nel 2019, che dovrebbero diventare quattro nel 2020 (includendo anche l'inizio di gennaio). Quindi un anticipo di un mese rispetto al via precedentemente individuato ad aprile.
2 Fermo restando il numero «100», sembra probabile che ci sia un «paletto»: occorrerà avere almeno 62 anni di età e 38 di contributi.
3 Per far tornare i conti, sono insistenti le ipotesi di una decurtazione dell'assegno in proporzione agli anni di anticipo rispetto all'età per la pensione di vecchiaia. È evidente che chi non dispone di una pensione integrativa privata rischia un problema non piccolo. Così come, caso per caso, si tratterà di capire se questa opzione sia più conveniente rispetto all'attuale Ape, che con un anticipo di circa tre anni e mezzo, fa perdere poco meno del 15% dell'assegno.
4 Per evitare un utilizzo di massa della misura, e comunque per tenere i costi sotto controllo, sarebbe previsto un altro accorgimento assai controverso (e per la verità piuttosto discutibile): il divieto di continuare a lavorare, neanche in forma autonoma, per chi usufruisca di questa opportunità.
5 Sempre nella logica del contenimento dei costi, il governo (anche qui, in continuità con gli esecutivi precedenti, e non sarebbe un bel segnale) potrebbe decidere un nuovo blocco della rivalutazione delle pensioni.
Varato ai tempi dell'esecutivo di Mario Monti, il blocco degli assegni pensionistici è stato mantenuto dal governo di Enrico Letta, che si orientò per un sistema basato su cinque scaglioni di reddito. Il meccanismo è stato prorogato fino alla fine del 2018. In assenza di fatti nuovi, dunque, dal primo gennaio del 2019 si tornerebbe al meccanismo della perequazione, e quindi a un adeguamento delle pensioni all'aumento del costo della vita così come registrato dall'Istat. La cosa costerebbe non poco: sarebbero infatti reintrodotte le percentuali previste dalla legge 388/2000, con un adeguamento pari al 100% degli indici Istat per gli importi fino a tre volte il minimo, del 90% tra tre e cinque volte il minimo Inps, e del 75% per gli importi oltre le cinque volte. Proprio la prospettiva di questi aumenti avrebbe indotto il governo Conte a riprendere in considerazione la strada del blocco.
6 Resta aperto (con soluzioni ancora da trovare) il capitolo della possibile esclusione dei contributi figurativi, che non sarebbero (tutti e indistintamente) ritenuti utili per il raggiungimento della soglia e quindi per andare in pensione.
7 Il governo ha inoltre chiesto ai tecnici del ministero dell'Economia una stima. I governi di centrosinistra si erano orientati per il cumulo gratuito (cosiddetto «ricongiungimento») dei contributi previdenziali per chi decideva di andare in pensione. Che succederebbe, e che ventaglio di ipotesi si può prospettare, se l'operazione divenisse parzialmente onerosa?
8 Potrebbe infine trovare spazio anche una proroga dell'Opzione Donna (forse alzando a 60 anni l'età rispetto agli attuali 58) e una nuova forma di Ape Sociale, probabilmente finanziata dai fondi bilaterali.
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Dopo un pomeriggio di tensioni c'è l'intesa gialloblù: dalla sforbiciata 1 miliardo in tre anni. Il testo della norma spedito a Bruxelles diventa «omnibus»: dentro Rc auto, stretta sulla burocrazia e spese per i migranti ridotte.Fino a 500.000 euro chi ha dichiarato senza pagare tutto avrà un'aliquota agevolata. Mini cartelle abbonate.Inizia lo smantellamento della legge dei tecnici. Resta il nodo sulle rivalutazioni.Lo speciale contiene tre articoli.Un logorio che è durato tutto il giorno. Messaggi inviati mezzo stampa alle rispettive parti. La Lega tira la coperta da un lato e i 5 stelle d'altro. In mezzo le pressioni e le interferenze che spingono per rafforzare l'asse in atto tra Luigi Di Maio e il numero uno dell'Inps, Tito Boeri. Una sinergie che ha messo in atto un blitz per tagliare invece che le cosiddette pensioni d'oro, fette di assegni ben più sottili. Lo schema Boeri, sposato dai 5 stelle, prevedeva un meccanismo di intervento sulla parte retributiva ma con uno schema lineare che alla fine taglia per ogni anno di uscita anticipata rispetto all'età prevista dall'attuale legge una sforbiciata di circa il 2%. È il vecchio progetto di Boeri che ritorna sotto forma grillina: tagliare e ridistribuire alle pensioni minime. Solo che una volta creata la legge basterà modulare le soglie per tosare più persone. Tant'è che le dichiarazione di Di Maio, datate sabato e domenica, hanno acceso l'incendio. Prelevare un miliardo all'anno significherebbe tagliare al di sotto dei 3.000 euro netti. A quel punto il governo è andato in attrito. Alla riunione di ieri mattina il leader 5 stelle non si è presentato. A quel punto sono circolate indiscrezioni secondo le quali il cdm previsto per le 17.30 non avrebbe licenziato il decreto fiscale. Ma solo una bozza di manovra, di fatto priva di coperture. Questo perché in piena trattativa è entrato a gamba tesa il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti. Si è opposto al blitz Boeri-Di Maio. Si è opposto a ragione. Ha senso fare uscire in anticipo dal mondo del lavoro circa 400.000 persone e poi chiedere a circa 180.000 di rinunciare a una fetta di assegno consistente (il taglio può superare il 20%)?La risposta è ovviamente no. Primo, perché si andrebbe a colpire soprattutto gli elettori del Nord. Secondo, perché da un lato di scardina la legge Fornero e dall'altro si penalizza economicamente chi ha semplicemente rispettato le leggi contributive della nostra Repubblica. Un paradosso politico con un retrogusto incostituzionale. Tanto più che il contratto di governo prevederebbe un taglio per le pensioni d'oro sopra i 5.000 euro netti al mese, che in pratica richiamerebbe il contributo di solidarietà del governo Berlusconi e Gentiloni. Scendere più in basso significa tradire il ceto medio. Non solo noi riteniamo sia un errore madornale da evitare. Evidentemente lo ritiene pure la Lega che però ieri ha dovuto portare avanti un mega compromesso. Pur di sterilizzare un po' il taglio delle pensioni d'oro, ha accettato di limare e ridurre il perimetro della pace fiscale. Così il cdm ha introiettato sia l'approvazione del decreto fiscale (vedi articolo qui sotto) sia la stesura della legge di bilancio, la quale si è trasformata in un decreto omnibus. L'obiettivo è quello di infilare norme qua è là come la rimodulazione dell'Rc auto in modo da favorire gli abitanti delle regioni del Sud, fondi per le missioni all'estero, un decreto taglia adempimenti burocratici e la conferma dell'impignorabilità della prima casa. Tutte informazioni che arrivano in diretta tramite i post Facebook di Di Maio. Al di là dei dettagli, la mediazione ha però concesso di proporre (al fine di raccogliere gettito) un taglio degli assegni previdenziali (con componente retributiva) a partire da 4.500 euro netti al mese con l'intento di raccogliere un miliardo di euro spalmato in tre anni. In questo modo i grillini possono mettersi una medaglia, e la Lega sterilizza l'effetto: a venire colpiti dal provvedimento saranno tra le 60.000 e le 70.000 persone. Molte meno delle 400.000 che si appresteranno a ritirarsi dal lavoro con quota 100. La cicatrice che ieri sera è stata suturata resterà visibile a lungo. Difficilmente gli attriti verranno dimenticati all'interno della compagine gialloblù perché sono frutto di un background culturale opposto e soprattutto di relazioni incongrue. Non è più un mistero il fatto che parte dei 5 stelle dialoghi con l'area di sinistra vicina alla Margherita e con dirigenti dei ministeri che sono vicini al precedente governo Gentiloni. Ciò non significa che si rischi la caduta del governo. Al momento nessuna delle due componenti ha il minimo interesse a rompere. Si tratterà di proseguire con quel logorio di ingranaggi. Ieri il tira e molla ha portato anche novità in tema fiscale. Si scopre (anche se i dettagli ancora non ci sono i dettagli) che aumenteranno le tasse al comparto bancario e assicurativo e soprattutto che il bilancio dello Stato taglierà nel triennio un miliardo e 300 milioni di spese per gestire l'immigrazione. Il ministro dell'Interno in un'intervista a Politique internationale (uscirà il 18 ottobre) ha annunciato che flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione della riforma Fornero «sarebbero state tutte e tre nella prossima manovra finanziaria». «Non ci sentiamo vincolati», ha aggiunto, «dalle norme sul deficit pubblico decretate da Bruxelles e che tanti governi europei hanno bellamente ignorato, a cominciare da Francia, Germania e Spagna». Mentre scriviamo l'articolo, il consiglio dei ministri è ancora in corso. Entro la mezzanotte è previsto l'invio del testo a Bruxelles, mentre entro sabato la manovra dovrà approdare in Parlamento. Ci saranno altre trattative e attriti. Di certo Giorgetti ha le antenne alzate e sembra che la fiducia verso i 5 stelle si sia ridotta sensibilmente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/boeri-fallisce-il-blitz-sulle-pensioni-salvi-gli-assegni-sotto-i-4-500-euro-2612617038.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pace-fiscale-limite-a-100-000-euro-per-il-nero" data-post-id="2612617038" data-published-at="1765504800" data-use-pagination="False"> Pace fiscale, limite a 100.000 euro per il nero Una novità (positiva), due punti fermi (condono fino a 100.000 euro, e vecchie cartelle sanabili fino a 500.000), e una conferma (negativa) dentro un dl fiscale in bilico fino a tarda sera. La novità positiva riguarda la sanatoria per le sigarette elettroniche: un settore che aveva registrato una crescita iniziale incoraggiante è stato per anni tartassato fiscalmente. Questa volta ci sarà finalmente una prima inversione di tendenza: l'articolo 7 del decreto consente di pagare il 5% per chiudere i contenziosi. Tutti i soggetti obbligati all'imposta sui prodotti succedanei del tabacco e sui liquidi da inalazione potranno chiudere la partita pagando il 5% dell'imposta dovuta, senza interessi né sanzioni. Del resto, non si vede per quale ragione si debba usare la tassazione come «martello etico» contro questi prodotti, e neppure il motivo per continuare ad aggredire fiscalmente un mercato con notevoli potenzialità di espansione. Qualche incertezza riguarda invece l'elemento più forte e potenzialmente attrattivo della pace fiscale: si tratta della dichiarazione integrativa (della quale ha ampiamente parlato ieri alla Verità il sottosegretario Massimo Bitonci). Qui la differenza di vedute tra Lega e M5s non è piccola. Per i leghisti, chi ha fatto la dichiarazione negli ultimi 5 anni potrebbe ora dichiarare un maggiore importo, pagando tra il 15 e il 20% in più: insomma, un'aliquota forfettaria vantaggiosa anche per il superiore imponibile emerso. Con una doppia attrazione: pagare meno, e incentivare fortemente all'emersione. I grillini preferirebbero una formula meno potente, e cioè una riverniciatura del ravvedimento (che già esiste): il contribuente può correggersi, può cioè dichiarare di più, non incontrerebbe nuove sanzioni né interessi, ma non usufruirebbe dell'aliquota forfettaria di vantaggio sull'ulteriore imponibile emerso. Dal punto di vista dei grillini, un modo per circoscrivere il condono: ma la misura rischierebbe di determinare entrate più limitate. Un possibile punto di sintesi sarebbe far emergere fino al 30% in più delle somme già dichiarate, e comunque entro il limite di 100.000 euro di «nero». I grillini incassano un'ulteriore stretta sugli evasori però. Sono acquisiti altri tre elementi della «pace». Primo: cancellazione di tutte le cartelle sotto i 1.000 euro (fino al 2010). Entrano in questo calderone non solo i debiti tributari, ma pure multe stradali, tributi locali, bollo auto. Il contribuente non deve fare nulla: saranno gli agenti della riscossione a cancellare (entro fine 2018) tutte queste cartelle. Secondo: sulle cartelle superiori (fino a 500.000 euro), è prevista la cancellazione di interessi e sanzioni e la possibilità di pagare quel che rimane in rate spalmate su cinque anni. Terzo (processo tributario): se un contribuente vince un ricorso in primo grado, ma teme di subire un ribaltamento dell'esito nei gradi successivi, può decidere di chiudere subito la partita pagando il 50%. Se poi vince anche in secondo grado ma vuole evitare la Cassazione, basterà pagare il 20%. Da diverse parti si è sollevata un'obiezione teoricamente correttissima: per quale ragione un contribuente che vince dovrebbe pagare? In effetti, sembra il mondo alla rovescia. Ma non è certo colpa di un governo arrivato da quattro mesi (questo andrebbe onestamente riconosciuto anche dai detrattori) se, nelle follie del processo tributario italiano, è così frequente un ribaltamento degli esiti. Il Governo - quindi - a torto o a ragione, ha offerto un'opportunità, della quale ciascuno potrà avvalersi o no. Notizie non brillanti invece sul fronte dell'Iva. È totalmente confermata l'impostazione che La Verità ha descritto nel fine settimana, in sostanziale continuità - purtroppo - con i governi di centrosinistra. L'esecutivo ha deciso di procedere sulla fatturazione elettronica, senza vere riduzioni degli adempimenti a carico delle imprese, e soprattutto con inquietanti previsioni di aumento del gettito Iva. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/boeri-fallisce-il-blitz-sulle-pensioni-salvi-gli-assegni-sotto-i-4-500-euro-2612617038.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="si-aprono-le-finestre-per-quota-100-la-prima-disponibile-sara-a-febbraio" data-post-id="2612617038" data-published-at="1765504800" data-use-pagination="False"> Si aprono le finestre per quota 100, la prima disponibile sarà a febbraio Come La Verità ha più volte spiegato in queste settimane, restano almeno otto nodi tecnici (che ieri sera erano ancora significativamente ingarbugliati) relativi alla revisione della legge Fornero. La scelta politica c'è, e indietro non si torna: quota 100 è una decisione presa, come ribadito ieri dal segretario leghista Matteo Salvini, e quindi sarà possibile andare in pensione non più alla scadenza fissata dalla legge Fornero, ma al raggiungimento della soglia «100», sommando età anagrafica e contributi versati. 1 Ma quando sarà materialmente possibile «uscire»? L'ipotesi è quella di tre «finestre» di uscita (la prima delle quali già all'inizio di febbraio, poi inizio di luglio e infine inizio di ottobre) nel 2019, che dovrebbero diventare quattro nel 2020 (includendo anche l'inizio di gennaio). Quindi un anticipo di un mese rispetto al via precedentemente individuato ad aprile. 2 Fermo restando il numero «100», sembra probabile che ci sia un «paletto»: occorrerà avere almeno 62 anni di età e 38 di contributi. 3 Per far tornare i conti, sono insistenti le ipotesi di una decurtazione dell'assegno in proporzione agli anni di anticipo rispetto all'età per la pensione di vecchiaia. È evidente che chi non dispone di una pensione integrativa privata rischia un problema non piccolo. Così come, caso per caso, si tratterà di capire se questa opzione sia più conveniente rispetto all'attuale Ape, che con un anticipo di circa tre anni e mezzo, fa perdere poco meno del 15% dell'assegno. 4 Per evitare un utilizzo di massa della misura, e comunque per tenere i costi sotto controllo, sarebbe previsto un altro accorgimento assai controverso (e per la verità piuttosto discutibile): il divieto di continuare a lavorare, neanche in forma autonoma, per chi usufruisca di questa opportunità. 5 Sempre nella logica del contenimento dei costi, il governo (anche qui, in continuità con gli esecutivi precedenti, e non sarebbe un bel segnale) potrebbe decidere un nuovo blocco della rivalutazione delle pensioni. Varato ai tempi dell'esecutivo di Mario Monti, il blocco degli assegni pensionistici è stato mantenuto dal governo di Enrico Letta, che si orientò per un sistema basato su cinque scaglioni di reddito. Il meccanismo è stato prorogato fino alla fine del 2018. In assenza di fatti nuovi, dunque, dal primo gennaio del 2019 si tornerebbe al meccanismo della perequazione, e quindi a un adeguamento delle pensioni all'aumento del costo della vita così come registrato dall'Istat. La cosa costerebbe non poco: sarebbero infatti reintrodotte le percentuali previste dalla legge 388/2000, con un adeguamento pari al 100% degli indici Istat per gli importi fino a tre volte il minimo, del 90% tra tre e cinque volte il minimo Inps, e del 75% per gli importi oltre le cinque volte. Proprio la prospettiva di questi aumenti avrebbe indotto il governo Conte a riprendere in considerazione la strada del blocco. 6 Resta aperto (con soluzioni ancora da trovare) il capitolo della possibile esclusione dei contributi figurativi, che non sarebbero (tutti e indistintamente) ritenuti utili per il raggiungimento della soglia e quindi per andare in pensione. 7 Il governo ha inoltre chiesto ai tecnici del ministero dell'Economia una stima. I governi di centrosinistra si erano orientati per il cumulo gratuito (cosiddetto «ricongiungimento») dei contributi previdenziali per chi decideva di andare in pensione. Che succederebbe, e che ventaglio di ipotesi si può prospettare, se l'operazione divenisse parzialmente onerosa? 8 Potrebbe infine trovare spazio anche una proroga dell'Opzione Donna (forse alzando a 60 anni l'età rispetto agli attuali 58) e una nuova forma di Ape Sociale, probabilmente finanziata dai fondi bilaterali.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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