2022-07-01
Biden ha buttato via oltre 10 miliardi per l’ultimo flop dell’antivirale Pfizer
Uno studio Usa smonta gli effetti del Paxlovid, che in Italia stenta a decollare. Nuove analisi sul farmaco che doveva «salvare la vita di pazienti in tutto il mondo»: riduce la carica virale assai meno rispetto al dichiarato.«L’amministrazione Biden sta pagando 10,6 miliardi di dollari per l’ultimo flop di Pfizer». Esce con questo esplosivo titolo sulla rivista statunitense The American Conservative un articolato testo di David Gortler, farmacologo, ricercatore e già consulente in politiche sanitarie dell’Fda, l’ente governativo americano responsabile dell’approvazione di nuovi farmaci. Un addetto ai lavori, di vasta e riconosciuta esperienza, verosimilmente in grado di fornire una valutazione scientifica attendibile seppur clamorosa, perché smonta l’antivirale Paxlovid che in Italia stenta a decollare. Gortler ricorda che tra novembre 2021 e gennaio di quest’anno, il presidente democratico subentrato a Donald Trump ha acquistato 20 milioni di cicli di trattamento di Paxlovid, spendendo più di dieci miliardi di dollari per un farmaco che «non è stato sviluppato da zero per trattare il Covid-19; i composti esistevano già». Ritonavir, utilizzato contro Hiv, è stato sviluppato nel 1989, Nirmatrelvir nel 2020, sottolinea l’esperto però la questione fondamentale è un’altra. L’antivirale funzionerebbe assai poco. Nel dicembre scorso, Pfizer affermò che dai dati dei pazienti «ad alto rischio» arruolati per il primo studio, il farmaco assunto per via orale aveva ridotto dell’89% il rischio di ospedalizzazione o morte, entro tre giorni dall’esordio dei sintomi, e dell’88%, entro cinque giorni dall’esordio dei sintomi, rispetto al placebo. Nessun decesso si era registrato. «Questa notizia fornisce un’ulteriore conferma del fatto che il nostro candidato antivirale orale, se autorizzato o approvato, potrebbe avere un impatto significativo sulla vita di molti, poiché i dati supportano ulteriormente l’efficacia di Paxlovid nel ridurre l’ospedalizzazione e la morte e mostrano una sostanziale diminuzione della carica virale», dichiarò Albert Bourla, presidente e ceo di Pfizer. Il farmaco che doveva «salvare la vita di pazienti in tutto il mondo», usando le sue parole, dalle ultime analisi ha mostrato invece una riduzione del rischio relativo, oggi del 51%. Come è possibile? Gortler spiega che dopo aver ottenuto l’autorizzazione all’uso di emergenza di Paxlovid per individui ad alto rischio di progressione verso Covid-19 grave, «il protocollo è stato modificato» per consentire l’arruolamento di pazienti che non erano vaccinati, senza precedente infezione da Covid e altri problemi di salute, come malattie cardiache e diabete, o la cui ultima vaccinazione anti Covid era avvenuta a più di dodici mesi dalla partecipazione ai trial. Ma questo non riflette la stragrande maggioranza degli americani, che almeno per il 60% è stata infettata. Pfizer avrebbe dovuto fornire una spiegazione dettagliata della sua modifica del protocollo, però «la Fda ha mantenuto tali richieste e modifiche segrete», accusa il farmacologo. Il cambio di dettagli tecnici fondamentali dello studio sarebbe stato voluto, da Pfizer, per ottenere dati di una maggiore efficacia e di minori rischi del prodotto, ma così non è stato. È la stessa Pfizer ad aver comunicato lo scorso 14 giugno che il «nuovo endpoint primario», l’unico risultato di un trial che ha importanza affinché lo studio abbia successo, «non è stato raggiunto» e che l’azienda «cesserà l’iscrizione allo studio Epic-Sr a causa del basso tasso di ospedalizzazione o morte nella popolazione a rischio standard». Standard, non più ad alto rischio, come prevede l’autorizzazione per l’uso condizionale. Inoltre, con una sfacciataggine unica, che lo scienziato ha colto e ripreso nel suo intervento, il colosso farmaceutico precisa nel comunicato: «Non si prevede che i risultati di queste analisi aggiuntive influiranno sulla guida alle entrate per l’intero anno 2022 di Pfizer». L’antivirale funziona ben poco, per abbattere la carica virale, ma l’azienda ha già incassato una montagna di soldi. Ecco perché non si preoccupa del flop del farmaco. Anzi, a inizio giugno aveva annunciato che sta investendo 120 milioni di dollari per aumentare la produzione di Paxlovid, creando più di 250 nuovi posti di lavoro nello stabilimento di Kalamazoo, nel Michigan. L’utilizzo della pillola è aumentato di recente con l’aumento delle infezioni, era il messaggio circolato sui media in quell’occasione, ricordando che il governo statunitense ha spinto per un uso più ampio dell’antivirale, distribuito gratuitamente da Biden. Il farmaco potrebbe essere attualmente «sottoprescritto a persone ad alto rischio e sovraprescritto a persone a basso rischio, ha affermato Walid Gellad, direttore del Center for pharmaceutical policy and prescribing presso l’Università di Pittsburgh. «E tutte quelle prescrizioni a basso rischio possono creare nuove opportunità di resistenza», rendendo inefficace l’antivirale.«Perché Biden ha scommesso ogni dollaro», dei dieci miliardi previsti dal Senato in terapie, «su un singolo farmaco di un singolo produttore?», conclude la sua riflessione David Gortler. Un «assurdo e oltraggioso spreco di denaro dei contribuenti». Poteva «spendere quasi nulla e promuovere la sicurezza e l’efficacia consolidate dell’idrossiclorochina e ivermectina con un risultato superiore», aggiunge. O molto semplicemente «lasciare che le mutazioni di Covid-19 facessero il loro corso e trattare le infezioni in modo sintomatico con la farmacologia generica disponibile, in modo che gli individui possano ottenere immunità naturale».
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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