2023-10-10
Nell’ora più buia ci ritroviamo con Biden e Di Maio
Non è la prima volta che Israele si fa cogliere impreparato di fronte a un attacco del nemico. Capitò anche 50 anni fa, quando nel giorno dello Yom Kippur le divisioni egiziane varcarono il fronte Sud e quelle siriane lo invasero da Nord, cercando di schiacciare in una tenaglia le truppe di Tel Aviv. Per non aver previsto l’offensiva e non aver predisposto un adeguato piano di difesa, Golda Meir, la prima donna a capo di un governo in Medio Oriente, pagò con le dimissioni e la sua carriera politica fu interrotta per sempre. Bibi Netanyahu, il più «longevo» uomo politico del Paese, rischia di fare la stessa fine. Per quasi 17 anni non c’è stata opposizione o scandalo che siano riusciti a fermarlo. Ma là dove non ce l’hanno fatta gli avversari, rischia di riuscire l’attacco a tradimento condotto da Hamas e dai suoi alleati iraniani e libanesi (ma i sostenitori probabilmente sono molti di più). Sì, il premier israeliano, l’uomo dalle sette vite, colui che è riuscito a sopravvivere a qualsiasi critica e a qualsiasi inchiesta, non è detto che riesca a cavarsela anche questa volta. Infatti, la maggior parte degli osservatori lo considera il principale responsabile di quel che è successo, di quegli 800 morti e 130 ostaggi «seppelliti» nei tunnel di Gaza. Di certo, la storia ha provveduto a legare per sempre il suo nome a un massacro e niente potrà impedire che sia ricordato più per il giorno dello Sukkoth che per qualsiasi altro risultato. Dato a Netanyahu quel che c’era da dare al premier israeliano, è necessario riconoscere però che anche altri hanno commesso gravi errori. E il primo è certamente Joe Biden, la cui presidenza rischia di concludersi nel modo più rovinoso possibile, con un mondo peggiore di quello che aveva trovato il giorno del suo insediamento alla Casa Bianca. Sulla situazione in Ucraina non c’è da spendere una parola, perché è a tutti nota. I rapporti con la Cina sono al minimo storico e la Corea del Nord, dopo anni in isolamento, è uscita dall’angolo grazie alla Russia. A questo punto, per completare l’opera di un mondo in fiamme mancava la guerra in Israele e gli Stati Uniti a guida democratica ci hanno messo del loro. Infatti, nel tentativo di isolare Vladimir Putin, l’America ha allentato le misure contro l’Iran, con il risultato che Teheran non soltanto ne ha approfittato per vendere droni a Mosca, ma ha pure usato parte dei soldi svincolati dagli Usa per finanziare Hamas ed Hezbollah, i peggiori nemici di Israele. Di quanto incaute siano state le mosse di Biden nei confronti del regime degli ayatollah c’è traccia nel discorso che il consigliere nazionale per la sicurezza Jake Sullivan ha tenuto appena una settimana fa. A pochi giorni dall’attacco a Israele, l’uomo che per conto di Biden avrebbe dovuto avere il polso della situazione nell’area, si era lasciato andare a considerazioni più che tranquillizzanti: «La regione del Medio Oriente è più tranquilla oggi di quanto lo sia stata negli ultimi due decenni». Secondo Sullivan, i problemi arrivavano da altre parti del mondo, ma non da lì. E infatti, lo sguardo degli Stati Uniti era rivolto all’Ucraina, con un investimento finanziario mai visto prima. Ma adesso, dopo aver svuotato gli arsenali degli Usa e della Ue, è Israele, cioè l’unica democrazia dell’area, ad aver bisogno e gli Stati Uniti, al di là delle generiche parole di sostegno, non soltanto non sanno che dire, ma non hanno alcuna strategia per riportare la calma nella regione.Biden nel 2024, quando molto probabilmente cercherà una rielezione, si presenterà con dati pessimi sul fronte interno, ma ancor peggiori su quello esterno, con una guerra in corso alle porte d’Europa, una saldatura tra Paesi canaglia come Corea, Iran e Russia e un Medio Oriente sull’orlo del baratro. Bel risultato per uno che si è presentato come un pacificatore dopo l’incendiario Donald Trump.Tuttavia, se gli errori di sottovalutazione del presidente americano sono enormi e il mondo intero rischia di pagarne le conseguenze, non si può dire che l’Europa sia esente da colpe e da abbagli. Per anni la Ue ha storto il naso di fronte a Israele, arrivando al punto di finanziare associazioni palestinesi che non soltanto non riconoscevano la piccola democrazia di Gerusalemme, ma si prefiggevano di cancellarla dalla faccia della terra. Ora i Paesi dell’Unione vengono ringraziati con il rapimento e l’assassinio di giovani europei, colpevoli di aver raggiunto Israele e di aver creduto nel sogno di una democrazia giovane e forte. Ma non c’è soltanto l’appoggio dato alla causa di Ong in rapporti ambigui con organizzazioni terroristiche, ci sono anche le scelte sbagliate che rischiano ancora una volta di trasformarsi in un boomerang per l’economia del Vecchio continente. Penso alla decisione di rinunciare al gas e al petrolio russo per tornare a essere dipendenti da quello africano o mediorientale. Anni fa rinunciammo alle forniture algerine considerando più affidabili e stabili quelle di Mosca. Oggi importiamo gas dall’Algeria e dal Qatar: la prima si è subito schierata al fianco della causa palestinese e contro Israele, mentre il secondo è sospettato di aver finanziato Hamas. Insomma, né l’una né l’altro paiono partner che possano darci tranquillità in un momento di tensioni internazionali. Del resto, le nostre non sono scelte strategiche, ma solo emozionali: oggi qui, domani là, oggi con un alleato, domani con un altro. Ma in queste giravolte, oltre a perdere il senno, rischiamo di perdere la faccia. D’altra parte, se il nostro inviato per i problemi del Golfo è Luigi Di Maio, che cosa volete aggiungere? C’è solo da sperare che Israele tenga duro e non si faccia consigliare né da Biden né da Di Maio.
Eugenia Roccella (Getty Images)
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