2023-01-11
Documenti segreti nel suo ex ufficio. Biden beccato come l’odiato Trump
Joe Biden ai tempi della vicepresidenza (Ansa)
Casa Bianca in imbarazzo per il ritrovamento di carte dell’amministrazione Obama. Il presidente sfugge ancora alle domande. La notizia poteva danneggiare i dem alle elezioni di midterm, ma è stata svelata solo ora.«Totalmente irresponsabile». Così, a settembre, Joe Biden aveva definito Donald Trump, criticandolo per essersi portato dei documenti classificati nella sua villa, dopo aver lasciato l’incarico. Parole invecchiate piuttosto male. Eh sì, perché parrebbe proprio che anche l’attuale inquilino della Casa Bianca abbia trattenuto dei documenti classificati risalenti all’amministrazione Obama, di cui Biden fece parte come vicepresidente dal 2009 al 2017. Lunedì, l’entourage del presidente ha infatti ammesso di aver rinvenuto, lo scorso 2 novembre, dei documenti classificati in un ufficio di Washington, usato da Biden tra il 2017 e il 2019. Secondo la Cnn, gli incartamenti riguarderebbero materiali d’intelligence relativi a Ucraina, Iran e Regno Unito e coprirebbero un arco temporale che va dal 2013 al 2016. Ricordiamo che nel 2014, mentre Biden era vicepresidente e contribuiva a supervisionare i rapporti tra Washington e Kiev, suo figlio Hunter entrò ai vertici della controversa società energetica ucraina Burisma. Nel 2020, il New York Post pubblicò un’email del 2015, in cui un alto dirigente di Burisma ringraziava lo stesso Hunter per avergli fatto incontrare il padre. E sempre Biden, da vicepresidente, esercitò pressioni sulla presidenza ucraina, per silurare il procuratore generale, Viktor Shokin: figura, sì, chiacchierata, ma che aveva anche indagato su Burisma per corruzione. Ora, non sappiamo se i documenti rinvenuti nell’ex ufficio di Biden contengano informazioni collegate a questa società. Tuttavia, se l’indiscrezione della Cnn fosse confermata, la presenza di memorandum d’intelligence sull’Ucraina riaccenderebbe i riflettori sugli affari internazionali di Hunter, su cui i repubblicani vogliono avviare un’indagine parlamentare. Per ora, l’unica cosa certa è che i documenti rinvenuti sono al vaglio del procuratore federale, John Lausch, su incarico del titolare del Dipartimento di Giustizia, Merrick Garland. «La Casa Bianca sta collaborando con gli Archivi nazionali e il Dipartimento di Giustizia per quanto riguarda la scoperta di quelli che sembrano documenti dell’amministrazione Obama-Biden, incluso un piccolo numero di documenti contrassegnati come classificati», ha affermato il consigliere del presidente, Richard Sauber. «I documenti», ha proseguito, «non sono stati oggetto di alcuna precedente richiesta o indagine. Da quella scoperta, gli avvocati personali del presidente hanno collaborato per garantire che tutti i documenti dell’amministrazione Obama-Biden siano adeguatamente in possesso degli Archivi». Certo: la mole di documenti trovata nell’ex ufficio di Biden è assai più modesta rispetto a quella rivenuta in casa dell’ex presidente. E, parrebbe esserci piena cooperazione tra Casa Bianca, Dipartimento e Archivi. Eppure emergono aspetti controversi. Innanzitutto salta all’occhio la tempistica. Come abbiamo visto, questi documenti sono stati rinvenuti il 2 novembre scorso: sei giorni prima delle ultime elezioni di metà mandato. È evidente che, se fosse stata diffusa subito, la notizia avrebbe potuto seriamente danneggiare i dem. Chissà come mai invece la perquisizione dell’Fbi ad agosto in casa di Trump (la prima volta per un ex presidente nella storia americana) sia avvenuta nel pieno della campagna elettorale in vista delle midterm. E ricordate quando, nel 2020, si venne a sapere che Hunter Biden era sotto inchiesta da parte della Procura federale del Delaware solo a elezioni presidenziali concluse? C’è poi un secondo elemento da sottolineare. Sarà pur vero che, rispetto al caso di Trump, stavolta si registri una piena collaborazione tra presidente, Dipartimento di Giustizia e Archivi nazionali. Andrebbe tuttavia specificato anche un «dettaglio». Garland è stato nominato da Biden, mentre l’attuale responsabile ad interim degli Archivi nazionali, Debra Steidel Wall, ne divenne vicedirettrice nel 2011 ai tempi di Barack Obama: quello stesso Obama che, nel 2009, aveva messo a capo dell’agenzia David Ferriero (rimasto in carica fino allo scorso aprile). Possiamo quindi dire che in questa vicenda, contrariamente a Trump, Biden deve confrontarsi con attori istituzionali non esattamente sospettabili di ostilità nei suoi confronti.Che comunque serpeggi un senso di imbarazzo alla Casa Bianca è testimoniato dal fatto che, sia ieri sia l’altro ieri, il presidente, in visita a Città del Messico, abbia ignorato le domande di giornalisti che gli chiedevano conto dei documenti, trovati nel suo ex ufficio. Una circostanza che ha spinto i repubblicani sul piede di guerra. Accuse di doppiopesismo all’amministrazione Biden sono arrivate da Trump, dall’ex vicepresidente Mike Pence e dallo speaker della Camera, Kevin McCarthy. Neanche a dirlo, è già partita la contraerea mediatica, che si affanna a spiegarci come il caso di Trump sia più grave di quello di Biden. Resta il fatto che, per Biden, tenersi dei documenti classificati era un comportamento «totalmente irresponsabile». Ne consegue che, al di là di eventuali rilievi penali, l’autogol politico del presidente è abbastanza clamoroso.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco