2020-03-30
Biden corre per gli Usa 2020, ma deve fare i conti con la sua salute
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Con l'avvicinarsi delle presidenziali americane di novembre, c'è una questione che potrebbe presto tornare sotto i riflettori: le condizioni di salute di Joe Biden. Si tratta di un elemento che già in passato era risultato oggetto di discussione, ma che a breve potrebbe nuovamente finire al centro del dibattito politico.Quella appena trascorsa non è stata una buona settimana per il probabile candidato democratico alla Casa Bianca. A causa dell'epidemia da coronavirus, l'ex vicepresidente è intervenuto più volte telematicamente dalla sua abitazione del Delaware. E, ogni volta, è incorso in gaffe e lapsus. Nel corso di un'apparizione su Abc martedì, Biden ha ripetutamente violato le norme comportamentali ormai in uso per il contrasto al contagio del morbo: si è stropicciato più volte gli occhi, mettendosi le mani in bocca. Quando poi la conduttrice gli ha chiesto un'opinione sulla riapertura delle attività commerciali nel mezzo della crisi in atto, ha replicato con una risposta (almeno apparentemente) senza senso, che ha scatenato critiche e ironie sui social. Lo stesso martedì, intervenendo su Cnn, l'ex vicepresidente è stato anche bacchettato in diretta dal conduttore, per aver tossito sulla mano anziché sul gomito (come prevedono le procedure di contrasto al virus). In una successiva intervista su Msnbc, il front runner democratico ha avuto un ulteriore momento di confusione, perdendo il filo del discorso. Episodi di questo tipo non sono d'altronde nuovi nella campagna elettorale di Biden. Nelle scorse settimane, ha per esempio dimenticato in pubblico le parole della Dichiarazione di Indipendenza che stava citando e ha parlato di «Super Thursday» anziché di «Super Tuesday». A fine febbraio, in South Carolina ha dichiarato di essere candidato al Senato invece che alla nomination democratica. Ha poi sostenuto di aver avuto incontri in realtà mai avvenuti e - per siglare l'accordo di Parigi sul clima del 2015 - ha detto di aver collaborato con Deng Xiaoping (il leader cinese morto nel 1997). In tutto questo, ha anche confuso l'ex premier britannica, Theresa May, con Margaret Thatcher. Si tratta soltanto di una parte dei lapsus e degli errori commessi dall'ex vicepresidente in questi mesi di campagna elettorale.Ora, che Biden sia storicamente un notorio gaffeur, è risaputo. Resta tuttavia il fatto che quelle che abbiamo appena elencato non sono semplici gaffe ma - spesso e volentieri - lapsus e vuoti di memoria. Tutto questo pone quindi in maniera piuttosto urgente la questione della sua salute. Un problema che, negli Stati Uniti, si sta già parzialmente affrontando. Svariati esponenti dell'area repubblicana stanno duramente attaccando il front runner democratico su questo fronte. È per esempio il caso di George Papadopoulos, ex consigliere di Donald Trump e noto per il suo controverso ruolo nel caso Russiagate. Pochi giorni fa, su Twitter ha scritto: «Non sarà Joe Biden ad ottenere la nomination alla convention democratica», lasciando intendere in un altro post che l'ex senatore del Delaware potrebbe avere dei problemi di salute. Interpellato da La Verità, Papadopoulos ha sostanzialmente confermato questa versione. «Biden», ha detto, «sta chiaramente mostrando declino cognitivo e sta diventando sempre più evidente che il comitato nazionale del Partito democratico non si trovi a suo agio con lui come front runner […] Prevedo che sarà il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ad ottenere la nomination democratica». Papadopoulos ritiene del resto che Biden possa essere malato. «Lo ipotizzano molte persone», ha chiosato. In tutto questo, giovedì scorso un commentatore vicino ai repubblicani, come Marc Thiessen, ha scritto sul Washington Post un editoriale dal titolo: «È giusto chiedersi se Biden sia mentalmente idoneo a diventare presidente». Davanti a questo tipo di accuse, i sostenitori dell'ex vicepresidente derubricano il tutto ad attacchi strumentali, parlando di discriminazione contro le persone anziane.Il punto è che, al di là dello scontro politico, la questione della salute di un potenziale candidato alla Casa Bianca risulta tutt'altro che irrilevante: Biden ha attualmente 77 anni e - qualora riuscisse a conquistare lo studio ovale - diverrebbe il presidente più anziano della storia americana a inaugurare un primo mandato. Farsi delle domande sulla sua salute non è quindi qualcosa di fuori luogo. Anche perché questo tipo di attenzione non è esattamente nuovo nella storia politica statunitense. Innanzitutto, ricordiamo che anche Bernie Sanders (attualmente ancora candidato alla nomination democratica) sia finito sotto i riflettori lo scorso autunno, dopo essere stato colpito da un infarto. Lo stesso Trump, nel corso della campagna elettorale del 2016, venne sospettato di avere una salute compromessa: nell'agosto di quell'anno, la deputata democratica californiana (e medico) Karen Bass lanciò per esempio una petizione, affinché il magnate newyorchese fosse analizzato sotto il profilo della sanità mentale: la deputata sosteneva infatti che l'allora candidato repubblicano potesse essere affetto da disturbo narcisistico della personalità. Nel mezzo di ulteriori polemiche, nel 2018 Trump si sottopose al Montreal Cognitive Assessment: un test per valutare l'eventuale presenza di sintomi legati a malattie neurodegenerative (come l'Alzheimer). È stato il primo presidente americano in carica a subire questo esame: esame che ha certificato all'epoca un perfetto stato di salute da parte dell'inquilino della Casa Bianca. Sul fronte opposto, sempre nel corso della campagna elettorale del 2016, anche Hillary Clinton finì al centro dell'attenzione per la sua salute. Già nel maggio del 2014 il Washington Post titolava: «La salute e l'età di Hillary Clinton saranno un problema nel 2016?». In particolare, a tenere banco all'epoca era il fatto che - nel 2012 - l'allora segretario di Stato fosse svenuta a causa di un virus intestinale e che - cadendo - avesse sbattuto la testa, riportando una commozione cerebrale. La questione perseguitò per anni l'ex first lady, fin quando - a pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 2016 - fu annunciato che Hillary aveva contratto la polmonite. E, anche in quel caso, l'attenzione sul suo stato di salute si fece particolarmente elevata.Andando più indietro nel tempo, lo stesso Ronald Reagan ebbe i suoi problemi su questo fronte. Nel corso della campagna elettorale del 1984, il suo avversario democratico, Walter Mondale, cercò infatti di attaccarlo per l'età avanzata (73 anni), insinuando dubbi sulla sua lucidità mentale. Nel primo dibattito televisivo di quell'anno, Reagan incorse effettivamente in numerose gaffe, mentre - nel secondo - riuscì efficacemente ad arginare le polemiche grazie all'uso dell'ironia. «Non ho intenzione», disse, «di sfruttare, per scopi politici, la giovinezza e l'inesperienza del mio avversario». Fu solo nel 1994 - cinque anni dopo aver lasciato la Casa Bianca - che gli fu diagnosticato il morbo di Alzheimer (anche se qualcuno sostiene che alcuni segni della malattia potessero essersi già manifestati nell'ultimo periodo della sua presidenza). Nel 1988, fu invece il candidato democratico, Michael Dukakis, che diffuse i propri documenti clinici, dopo che lo stesso Reagan aveva pubblicamente messo in dubbio la sua salute. Un caso eclatante si verificò inoltre nel 1972, quando l'allora candidato democratico alla Casa Bianca, George McGovern, silurò il suo compagno di corsa, Thomas Eagleton, in piena campagna elettorale: si era infatti diffusa la notizia che quest'ultimo avesse sofferto di una grave forma di depressione e che fosse stato per questo curato con l'elettroshock. L'episodio viene tutt'ora considerato come una delle ragioni che determinarono la catastrofe elettorale dei democratici alle presidenziali di quell'anno.Insomma, interrogarsi sulla salute di Biden non può essere ridotto a mera polemica politica. Vista l'età avanzata e i frequenti episodi di confusione che caratterizzano i suoi interventi, si tratta di una questione di assoluta rilevanza. Già dal punto di vista politico la sua candidatura non è solidissima. Se poi non farà presto chiarezza in modo inequivocabile sul proprio stato di salute (sottoponendosi per esempio al Montreal Cognitive Assessment), potrebbe risultare danneggiato nei prossimi mesi. Non dimentichiamo del resto che, pur essendo attualmente il front runner democratico, non abbia ancora matematicamente blindato la nomination. E che, a causa del coronavirus, gran parte delle prossime primarie sono state rimandate a maggio o a giugno. La strada verso la nomination, insomma, non è esattamente breve. E l'establishment del Partito democratico potrebbe magari avere – strada facendo – qualche ripensamento.