2023-01-19
Carte segrete, Biden in fuga dal procuratore
Il presidente e i portavoce glissano su un eventuale interrogatorio riguardo i documenti riservati trovati negli uffici del leader Usa. Mentre spunta l’ipotesi che ne saranno rinvenuti altri, finisce sotto torchio l’avvocato di Sleepy Joe. Che è sempre più inviso ai dem.È un vero e proprio pantano di imbarazzo quello in cui sta progressivamente sprofondando Joe Biden, a causa dei documenti classificati rinvenuti in un suo ex ufficio di Washington e nella sua abitazione privata a Wilmington. Una circostanza che, giovedì, ha portato il Dipartimento di Giustizia a nominare un procuratore speciale, Robert Hur, per indagare su questa controversa vicenda. Eppure, nonostante a inizio presidenza avesse promesso trasparenza, Biden continua a sguazzare nell’opacità. La portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, si è rifiutata di dire se il presidente accetterà di farsi interrogare dal procuratore speciale. Interpellata dai giornalisti su questo delicato punto, ha infatti glissato, limitandosi a replicare: «A questo dovrebbe rispondere l’ufficio del consigliere della Casa Bianca». Una reticenza condivisa anche dall’assistente speciale del presidente, Ian Sams che ha dichiarato: «Non ho intenzione di rilasciare commenti su ciò in questo momento». D’altronde, sulla questione ha glissato Biden in persona, ignorando la domanda di un reporter, nel corso di un incontro con il premier olandese Mark Rutte. Insomma, la trasparenza latita, mentre fiocca il doppiopesismo. Vi ricordate infatti il coro di indignati, quando nel 2018 Donald Trump rifiutò di farsi interrogare dall’allora procuratore speciale, Robert Mueller, limitandosi a rispondergli in forma scritta? Un coro di indignati che, oggi, sembra invece sparito. Ma i problemi non si fermano qui. La Jean-Pierre non ha infatti smentito che possano essere rinvenuti in futuro ulteriori documenti classificati, indebitamente trattenuti da Biden. Interrogata dai giornalisti sull’eventualità di nuovi ritrovamenti, ha replicato di voler essere «prudente», rifiutandosi di rilasciare commenti. Ricordiamo che giovedì scorso, la portavoce aveva lasciato intendere che non ci fosse ulteriore materiale classificato da reperire, dicendo che «la ricerca era terminata»: una posizione, sconfessata tuttavia due giorni dopo, quando fu data la notizia che altri documenti classificati erano stati trovati nella casa di Wilmington. Insomma, non è affatto detto che non possa presto emergere nuovo materiale. D’altronde, che le cose si stiano mettendo male per il presidente è testimoniato anche da una recentissima rivelazione della Cnn. Sembra infatti che, mentre conduceva l’indagine preliminare sui documenti classificati, il procuratore federale, John Lausch, abbia fatto interrogare, tra gli altri, l’avvocato personale di Biden, Patrick Moore: colui che avrebbe effettuato la scoperta dei primi incartamenti nell’ufficio di Washington il 2 novembre scorso. Ricordiamo che, il 14 novembre successivo, il Dipartimento di Giustizia aveva incaricato Lausch di condurre un’indagine preliminare, per valutare l’eventualità di nominare un procuratore speciale sulla questione dei documenti classificati: eventualità a cui, terminata l’inchiesta il 5 gennaio, Lausch diede infine parere positivo. Segno che dunque la situazione è seria. Tanto più seria alla luce del fatto che gli incartamenti incriminati sono stati finora tutti cercati e trovati dai legali del presidente (dei quali solo alcuni dispongono dell’autorità di maneggiare materiale classificato). Stranamente, pur a fronte di ben quattro ritrovamenti complessivi, il Wall Street Journal ha rivelato che il Dipartimento di Giustizia avrebbe deciso di non ricorrere all’Fbi per supervisionare le ricerche, fidandosi così degli avvocati di Biden. Come che sia, il fatto che sia stato ascoltato Moore significa che probabilmente lo stesso procuratore speciale Hur chiederà di interrogare non solo il team legale del presidente ma (forse) anche il presidente stesso. Nel frattempo, è arrivata una nuova bordata contro Biden dal campo dem, con il direttore dell’ufficio etico dell’amministrazione Obama, Walter Shaub, che ha accusato l’attuale presidente di «imperdonabile negligenza». I repubblicani, dal canto loro, restano sul piede di guerra. La commissione Sorveglianza della Camera ha chiesto di visionare i registri delle persone che hanno avuto accesso all’ufficio di Washington, che Biden usò dal 2017 al 2019 e in cui fu trovata la prima tranche di documenti: ufficio che, appartenente al think tank Penn Biden Center, fa capo all’Università della Pennsylvania, nota per aver ricevuto svariati milioni di dollari dalla Cina negli ultimi anni. Per questo, la commissione vuole far luce anche sulle eventuali infiltrazioni straniere in questo think tank. Ricordiamo del resto che, tra il 2017 e il 2018, il figlio di Biden, Hunter, ricevette 4,8 milioni di dollari dall’allora colosso cinese Cefc. E proprio Hunter ha anche abitato di tanto in tanto nella dimora di Wilmington: dimora di cui, secondo la Casa Bianca, non esisterebbero gli elenchi dei visitatori. Forse non a caso, il deputato repubblicano, Michael Waltz, ha ipotizzato ieri che la curiosa solerzia dei legali di Biden nel cercare documenti classificati possa essere collegata alle indagini sui controversi affari del figlio del presidente. Tensioni, quelle tra la Casa Bianca e la Camera, che fanno riflettere, anche perché è proprio la Camera a occuparsi di istruire i processi di impeachment. È in questo contesto che gli Archivi nazionali hanno comunicato ai deputati repubblicani che non condivideranno informazioni con loro, a meno che non vi sia l’ok del Dipartimento di Giustizia: dicastero che però è guidato da Merrick Garland, nominato dallo stesso Biden nel 2021. E la domanda, alla fine, resta solo una: ma la trasparenza che fine ha fatto?
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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