2024-04-26
Biden benedice i tifosi dell’aborto. E i cattolici si «convertono» a Trump
Il presidente Usa protagonista dell’ennesima gaffe: si fa il segno della croce a un convegno pro choice. Fedeli e vescovi lo fulminano: «Gesto vile da vecchio ingenuo». Crolla la sua popolarità tra chi crede nella Chiesa.Non si capisce se sia stata una provocazione, una gaffe o l’ormai consueta scarsa lucidità mentale. Tuttavia Joe Biden ne ha combinata un’altra.Martedì, mentre si trovava sul palco per partecipare a un evento a favore dell’aborto in Florida, l’inquilino della Casa Bianca si è improvvisamente fatto il segno della croce. In particolare, lo ha fatto mentre la presidentessa del Partito democratico del cosiddetto Sunshine State, Nikki Fried, stava criticando la legge sull’interruzione di gravidanza, firmata dal governatore repubblicano, Ron DeSantis: una legge che ha vietato l’aborto a livello statale dopo le sei settimane di gestazione. Tra l’altro, durante lo stesso evento, anche Biden è andato all’attacco di tale norma. «Questa legge estremista della Florida avrà un impatto su quattro milioni di donne nello Stato», ha dichiarato. «Cerchiamo di essere chiari. C’è una persona responsabile di questo incubo. E lui lo ha riconosciuto e se ne vanta: Donald Trump», ha aggiunto, riferendosi ai tre giudici della Corte Suprema che, nominati dallo stesso Trump, resero possibile il ribaltamento di Roe vs Wade nel 2022. Ecco, non si capisce esattamente che cosa c’entrasse il segno della croce in tutto questo. E infatti, neanche a dirlo, il comportamento di Biden ha suscitato l’irritazione di una parte del mondo cattolico americano. «La decisione di Biden di fare il segno della croce a sostegno dell’estremismo abortista è una spregevole farsa», ha tuonato Brian Burch, presidente del gruppo conservatore di advocacy CatholicVote. «Il gesto di Biden lascia intendere che è terribilmente ingenuo, o senile, o insensibilmente indifferente alle convinzioni fondamentali di milioni di cristiani in America», ha aggiunto. Durissimo si è inoltre mostrato il vescovo Joseph Strickland, che lo scorso novembre era stato rimosso dalla guida della diocesi di Tyler dopo alcune significative tensioni con papa Francesco. «Assolutamente vile, pregate per l’anima del nostro presidente, è un vecchio debole, deve prepararsi a incontrare il suo creatore», ha dichiarato il prelato.Nonostante sia il secondo presidente cattolico della storia americana, non è la prima volta che Biden entra in rotta di collisione con i fedeli alla Chiesa di Roma. D’altronde, la sua amministrazione è, senza dubbio, una delle più abortiste che si siano mai registrate: un elemento, questo, che ha portato l’attuale Casa Bianca ad avere rapporti talvolta tesi con la Conferenza episcopale d’Oltreatlantico. Il 3 maggio 2022, quando Politico pubblicò in anteprima la bozza della sentenza che avrebbe poi cassato Roe vs Wade, Biden entrò a gamba tesa in una decisione che spettava esclusivamente alla Corte suprema, dichiarando: «Roe è legge del Paese da quasi cinquant’anni e l’equità fondamentale e la stabilità della nostra legge richiedono che non venga ribaltata». Due mesi dopo, quando Roe venne ufficialmente cassata, Biden parlò di «ideologia estremista», accusando inoltre la Corte suprema di aver commesso un «tragico errore». Tutto questo, in barba al principio di separazione dei poteri.Non stupisce allora più di tanto che, secondo un sondaggio di metà marzo del Pew research center, tra gli elettori cattolici il tasso di impopolarità di Biden sia più alto di quello di Trump: 64% contro 57%. Questo significa che nessuno dei due candidati è granché amato dagli elettori cattolici, ma che la situazione risulta al momento peggiore per il presidente in carica. Magari qualcuno penserà che a favore di Biden, sul piano elettorale, possa pesare il fatto che, rispetto a quella di Trump, la sua amministrazione ha intrattenuto dei rapporti più cordiali con papa Francesco. Tuttavia bisogna anche ricordare che l’attuale Pontefice ha spesso avuto degli attriti con la Chiesa statunitense. E che alcuni alti esponenti di quest’ultima non apprezzano troppo l’attuale linea vaticana su questioni come il green e la distensione con la Repubblica popolare cinese.Nel frattempo le grandi lobby pro-choice si stanno già muovendo per sostenere i dem: Planned parenthood, secondo il New York Times, spenderà dieci milioni di dollari soltanto in North Carolina. Trump, dal canto suo, ha ribadito una posizione da lui espressa già nel 2016, e cioè che sull’aborto devono decidere i singoli Parlamenti statali: una tesi, questa, in linea con la sentenza della Corte suprema che ha cassato Roe vs Wade. Se qualche pro life si è un po’ infastidito, Biden è andato invece all’attacco, accusando il rivale di mentire. Il presidente americano ha tutto l’interesse a dipingere l’avversario come troppo rigido in materia di aborto, per corteggiare il voto degli hinterland benestanti, che sono sensibili a questo tema.Trump, anche in considerazione del fatto che un divieto federale è quasi impossibile visto il Congresso sempre più spaccato, vuole essere competitivo rispetto a quel fondamentale elettorato. E in fondo sa che anche i pro life più granitici alla fine si ricorderanno che, se Roe è stata cassata, alla fin fine è stato anche merito delle sue nomine alla Corte suprema.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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