
In audizione davanti alla Commissione d’inchiesta, il pm Valentina Salvi rivela il caso di una minore portata via alla famiglia in base alle dicerie sugli abusi del padre e del nonno. «Gli assistenti sociali non sono qualificati per svolgere le indagini».«Come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca». Dicerie e sottesi. Come quelle cantate da Fabrizio De André. O quelle, assai più atroci, raccontate ieri da Valentina Salvi, il pm dell’inchiesta su Bibbiano. «Angeli e demoni», ma pure malelingue. Il magistrato della procura di Reggio Emilia svela nuovi e strazianti dettagli sugli affidi in Val d’Enza. Come la storia di quella bambina allontanata da casa solo per infondate «voci di paese». Le comari chiacchierano in piazza: «Il padre o il nonno abusano di lei». Ma tanto basta ai servizi sociali per strapparla ai genitori. Un mese dopo la condanna a quattro anni dello psicoterapeuta Claudio Foti, fondatore del centro Hansel e Gretel, il magistrato viene ascoltato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli affidi. Definisce Bibbiano e dintorni un sistema «patologico» e «inquietante». A partire dal tribunale minorili, che non verificherebbe le informazioni. «Nel mio caso» riferisce Salvi «pervenivano relazioni che ricostruivano fatti non veritieri». Castelli di menzogne, spesso in «malafede» come ha svelato l’inchiesta. «Gli elementi di prova vengono raccolti solo dagli assistenti sociali, che non sono qualificati per svolgere le indagini» rivela la pm alla commissione d’inchiesta. Non possono essere usati dai tribunali «come polizia giudiziaria». Così, capita che si prenda come oro colato perfino qualche maldicenza. Le «voci di paese», appunto: «Sono rimasta basita da questa indeterminatezza».Non c’è solo Bibbiano, ovviamente. A Torino, nei giorni scorsi, è esploso un altro caso: due fratellini sarebbero stati maltrattati dalla coppia a cui erano finiti in affidamento. Tra gli indagati, per falso ideologico, c’è pure l’ex moglie di Foti, Nadia Bolognini, già a processo a Reggio Emilia. Insomma, andrebbe rifondato tutto il sistema, sostiene il magistrato. Nei processi sui minori non c’è contraddittorio. «Gli atti vengono secretati» spiega. «In molti casi i genitori non possono visionare i provvedimenti con le motivazioni dell’allontanamento per mesi». Non sono ammessi ricorsi ad altri tribunali, come al Riesame nel caso di un arresto. E le audizioni si svolgono di frequente davanti a giudici onorari, privi di «competenze specialistiche». A Bibbiano, ricostruisce Salvi, gli affidatari sarebbero stati scelti tra gli amici di Federica Anghinolfi, ex dirigente dei servizi sociali della Val D’Enza, rinviata a giudizio. E «spesso non erano preparati a gestire la situazione». Presunti soprusi, continuati per «tre, quattro o cinque anni». Talvolta il tutore dei ragazzini era il dirigente dei servizi sociali: «Un palese di conflitto di interesse, senza nessun controllo parallelo». Eppure, aggiunge, basterebbe registrare le sedute dei minori: «Se fosse accaduto, quelle false relazioni non ci sarebbero state». E come venivano scelti i bambini da allontanare, previe accuse di abusi e maltrattamenti? «Il criterio era assolutamente causale» ammette il pm. Insomma, avrebbero deciso Anghinolfi e il suo «braccio destro», Francesco Monopoli. Quasi sempre tra famiglie «con scarse risorse economiche, che non potevano permettersi un avvocato». Difatti, l’indagine è partita dalle rimostranze di un legale, assoldato da genitori con più mezzi. Nell’audizione non sono mancate bordate alla politica locale. La cittadina è un feudo dei democratici. E tra il 2017 e il 2018, mentre la procura avvia le indagini, c’era già «un grande progetto condiviso dal sindaco di Bibbiano». Ovvero Andrea Carletti, del Pd, anche lui tra i 17 imputati del processo che comincerà il prossimo 8 giugno. Nella cittadina del reggiano, dettaglia Salvi, doveva nascere «un’enorme comunità di accoglienza per i minori, in cui il centro di psicoterapia Hansel e Gretel si sarebbe insediato a tempo indeterminato». Avevano giù stabilito, svela il magistrato, somme impiegate e stipendi percepiti da Foti come presidente della onlus. Senza la roboante inchiesta, «oggi quella comunità esisterebbe». E proprio a Carletti si sarebbero rivolte alcune coppie a cui avevano tolto i figli. Ma il sindaco, rivela il pm, «non ritenne mai di rispondere». Come, del resto, fece anche il Garante regionale per l’infanzia. Interpellato dai disperati, si limitò «a chiedere ulteriori notizie ai servizi sociali, ma essendo un sistema chiuso non si arrivò a nulla». Già, il mefitico meccanismo degli affidi. Laura Cavandoli, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta che ha ascoltato Salvi, rimarca: «Dietro ai casi come Bibbiano ci sono spesso questioni economiche e ideologiche, ma anche gravi carenze» «I tribunali che si affidano agli assistenti sociali, i controlli inesistenti, la mancanza di contraddittorio, la segretazione dei fascicoli». Ma alla fine si torna sempre lì. A Bibbiano. Il culmine delle supposte malefatte. La deputata della Lega ricorda: «Sono state rovinate per sempre le vite di quei bambini e delle loro famiglie, sulle base di prove oggi ritenute false». E a volte non serviva nemmeno tanta fantasia. Bastavano quattro chiacchiere in paese.
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