Nelle regioni della ex Ddr Afd ha sbancato, con picchi del 35% nel collegio di Angela Merkel e del 38,6% in Turingia. Riproporre l’ammucchiata contro Alice Weidel e soci significa non solo ignorare un pezzo di elettorato, ma tradire lo spirito della riunificazione.
Nelle regioni della ex Ddr Afd ha sbancato, con picchi del 35% nel collegio di Angela Merkel e del 38,6% in Turingia. Riproporre l’ammucchiata contro Alice Weidel e soci significa non solo ignorare un pezzo di elettorato, ma tradire lo spirito della riunificazione.La chiamano Ostalgie: un gioco di parole che fonde Ostdeutschland, Germania Est, e Nostalgie, per descrivere l’atteggiamento dei cittadini tedeschi che rimpiangono la Repubblica democratica. Adesso, quel disagio capace di offuscare persino la memoria dei crimini della Stasi, la polizia politica comunista, compensati dal ricordo della piena occupazione e dell’antico senso di appartenenza a una comunità solidale, si è tradotto in un apparente paradosso: i Länder orientali, un tempo sotto il giogo sovietico, votano in massa per Afd. Cosa è accaduto? Questi eredi del dominio dell’Urss sono davvero diventati tutti neonazisti? Il partito di Alice Weidel, che domenica ha ottenuto il 20,8% dei consensi a livello nazionale, nei territori della ex Ddr viaggia su percentuali ben più elevate. In Brandeburgo, dove aveva già dato ottima prova di sé alle elezioni per il Parlamento statale, finendo però sconfitto dai socialdemocratici, è passato dal 29,2% dello scorso settembre al 32,5% di domenica, mentre la Spd è crollata al 14,8 dal 30,9 di cinque mesi fa; la seconda forza politica, la Cdu, si è fermata al 18,1%, una distanza enorme da Alternative für Deutschland. In Meclemburgo-Pomerania Anteriore, dove c’è il collegio di Angela Merkel, Afd è arrivata al 35%, staccando i cristiano-democratici, al 17,8%, di quasi 20 punti. In Sassonia, Weidel e soci si sono attestati addirittura al 37,1%, contro il 19,2 della Cdu; in Turingia, dove a settembre la destra radicale aveva preso il 33,1%, rimanendo lo stesso fuori dalla solita grande coalizione che controlla il Länder, ha ottenuto il suo miglior risultato, con un picco del 38,6%. Il presidente della Sassonia-Anhalt, Sven Schulze, esponente dell’Unione, che a Est ha vinto solo a Potsdam e nei dintorni della capitale, si è accorto che qualcosa non va: «In Germania orientale», ha ammesso, «abbiamo un problema per il quale dobbiamo trovare una soluzione». La soluzione che stanno trovando a Berlino - unico luogo della ex Ddr, oltre a Lipsia, dove l’ha spuntata l’ultrasinistra della Linke - è di ignorarla completamente, la Germania orientale.Guardare la mappa dei collegi elettorali, colorati in base al partito che ha prevalso l’altro ieri, rende bene l’idea: un governo federale dell’ammucchiata, ancorché formalmente valido, è un’operazione di pura aritmetica. Ragionieristica, ma non ragionevole. È un gesto che tradisce il rifiuto di prendere atto della realtà in nome dell’ideologia. Sì, Afd avrà posizioni discutibili; tuttavia, fingere di non vedere il 20% dei voti nazionali e l’impressionante macchia azzurra sulla cartina, che coincide con le regioni della ex Repubblica democratica, significa non tanto disprezzare un partito comunque legittimo, quanto schifare i tedeschi che lo hanno scelto. È come dire: avete scelto gli impresentabili? Ora beccatevi il cordone sanitario. La vostra voce non può essere ascoltata, perché avete pronunciato le parole sbagliate. La concentrazione geografica del successo della destra aumenta la gravità della conventio ad excludendum: a finire ai margini non è più soltanto un pezzo dell’elettorato, ma proprio un pezzo della nazione.La Ostalgie, ovviamente, non è una novità degli ultimi mesi. E il successo locale di Afd non si spiega né con un’improvvisa fascinazione per il Terzo Reich né, o almeno non esclusivamente, con l’esasperazione per l’immigrazione fuori controllo. Il malcontento affonda le sue radici nella crisi economica successiva alla riunificazione e in una serie di sperequazioni provocate dall’inclusione nella Bundesrepublik liberaldemocratica. In fondo, per i tedeschi dell’Est, l’imposizione del marco è stata l’equivalente dell’adozione dell’euro per gli Stati mediterranei: un mezzo finanziario attraverso il quale è stata esercitata un’egemonia politica e sociale. Senza contare che l’ex Ddr ha fornito alle industrie dell’Ovest quello che Karl Marx avrebbe chiamato un «esercito di riserva». Gli operai della Germania orientale erano manodopera a costi contenuti e anche ben formata dal regime filosovietico, esattamente come quella della Polonia, dell’Ungheria e di altre Repubbliche satelliti dell’Urss, dove sono state delocalizzate le produzioni teutoniche. All’aspetto economico, poi, si somma quello culturale: i cittadini prima separati fisicamente, dopo la caduta del Muro di Berlino lo sono rimasti antropologicamente. La permanenza di pregiudizi reciproci tra orientali e occidentali è stata identificata con il fenomeno del Mauer im Kopf, il Muro in testa. Esso divide non più le zone di Berlino, bensì le Germanie in teoria tornate assieme.Ormai, anziché come Helmut Kohl, cancelliere nel 1990, i tedeschi dell’Est sembrano pensarla come il nostro Giulio Andreotti: «Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due». La decisione dell’élite politica di agire, per l’ennesima volta, come se quelle persone non contassero niente, solleva un interrogativo su ciò che accadde 35 anni fa: fu una riunificazione incompleta, oppure l’annessione di un Paese sconfitto?
        L’amministratore delegato di Fs Stefano Donnarumma (Ansa)
    
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