2025-08-27
Berlino non riconoscerà la Palestina. Merz: «Mancano i presupposti»
Proteste in Israele, i manifestanti bloccano le autostrade chiedendo il rilascio immediato degli ostaggi. I patriarchi Pizzaballa e Teofilo: «Non evacueremo da Gaza verso Sud, sarebbe una condanna a morte».La Germania non considera maturi i tempi per il riconoscimento di uno Stato palestinese. A ribadirlo è stato il cancelliere Friedrich Merz durante una conferenza stampa a Berlino con l’omologo canadese Mark Carney e il premier belga Bart de Wever. «La posizione del governo federale è chiara: non ci uniremo a questa iniziativa. Non vi sono le condizioni per un riconoscimento dello Stato palestinese», ha dichiarato Merz. La posizione tedesca si contrappone a quella della Danimarca. Il primo ministro Mette Frederiksen ha infatti aperto alla possibilità di un riconoscimento, dichiarando che «non diciamo no a questo passo. Siamo favorevoli da tempo, è ciò che vogliamo, ma dobbiamo avere la certezza che si tratti di uno Stato democratico». Tale dibattito arriva all’indomani dell’attacco israeliano contro l’ospedale Nasser di Khan Yunis, che secondo fonti palestinesi avrebbe causato venti vittime, tra cui cinque giornalisti. Merz ha affermato di non ritenere che si sia trattato di un’azione deliberata e ha invitato ad attendere l’esito dell’inchiesta avviata dalle autorità israeliane. Un’indagine preliminare presentata al capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha chiarito alcuni aspetti dell’attacco del 25 agosto all’ospedale Nasser. Secondo le informazioni raccolte l’obiettivo non era la struttura sanitaria in sé, ma una telecamera installata da Hamas per monitorare i movimenti delle truppe israeliane e coordinare azioni ostili. Le forze della brigata Golani, operative nell’area, hanno individuato il dispositivo e lo hanno neutralizzato con un missile. «Tra i morti vi sono sei militanti di Hamas, incluso un uomo coinvolto negli attacchi del 7 ottobre», ha dichiarato Zamir, aggiungendo un’espressione di rammarico per la perdita di vite civili. Tuttavia, dall’episodio emergono dettagli controversi. Alcuni dei morti presentati come giornalisti risultano avere legami diretti con Hamas. Mohammed Salama, reporter di Al Jazeera, era stato ripreso il 7 ottobre 2023 all’interno di Israele mentre gridava «Allahu Akbar» durante l’attacco di Hamas. Sei mesi più tardi lo stesso Salama aveva filmato la cerimonia in cui furono esposti i corpi della famiglia Bibas, vittime della milizia palestinese. Altri presunti reporter - Muaz Abu Taha, Hussam Al Masri e Hatem Khaled - non risultano iscritti al Palestinian Journalists Syndicate e sono stati collegati alla diffusione di immagini manipolate di bambini malnutriti tra il 2024 e il 2025. Anche il freelance Ahmed Abu Aziz, inizialmente riconosciuto da organizzazioni internazionali, ha mostrato evidenti legami con Hamas attraverso i propri canali social. Infine, Mariam Abu Dagga, sostenuta apertamente dal movimento, ha più volte propagandato la linea della «resistenza palestinese».Sul fronte interno, Israele appare attraversato da una crescente tensione sociale. Decine di manifestanti hanno bloccato la Route 1 e la Route 6, principali arterie che collegano Gerusalemme e Tel Aviv, incendiando pneumatici e mostrando striscioni con la scritta «Fine della guerra, riportiamo tutti a casa». Nel corso della giornata le proteste si sono estese: in serata migliaia di persone hanno marciato dalla stazione Savidor di Tel Aviv fino a Piazza degli ostaggi, chiedendo un accordo immediato per la liberazione dei circa cinquanta rapiti ancora in mano a Hamas. Dopo quasi due anni di guerra cresce in Israele la sfiducia verso la leadership politica, incapace di liberare gli ostaggi e sconfiggere Hamas. Mentre le piazze si riempivano di contestatori, a Gerusalemme si è riunito il gabinetto di guerra. Secondo quanto riportato dai media israeliani la riunione si è conclusa senza affrontare nel dettaglio l’accordo di cessate il fuoco di 60 giorni e il rilascio degli ostaggi proposto da Hamas. L’incontro, durato meno di tre ore, non ha previsto alcuna votazione formale, come riferisce Channel 12. La seduta era stata anticipata per consentire ai ministri di partecipare a una cena organizzata dal Consiglio regionale di Binyamin in Cisgiordania. Israele avrebbe ribadito all’Egitto la propria indisponibilità a un accordo graduale, insistendo invece su un’intesa globale. L’ipotesi in discussione prevedeva una tregua di due mesi con la liberazione di dieci ostaggi, ma la posizione del governo resta immutata: proseguire l’offensiva su Gaza City per aumentare la pressione su Hamas e costringerlo ad accettare un accordo complessivo. Il presidente statunitense Donald Trump ha cercato di proiettare ottimismo, dichiarando che «la guerra di Gaza giungerà a una conclusione definitiva entro due o tre settimane. È difficile dirlo, perché combattono da migliaia di anni». Parole che, tuttavia, non sono state accompagnate da spiegazioni concrete su come si possa giungere a una soluzione tanto rapida. In questo scenario di incertezza il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa e il patriarca greco ortodosso Teofilo III hanno diffuso una nota congiunta in cui annunciano la decisione di rimanere a Gaza insieme al clero e alle suore, nonostante l’occupazione israeliana della Striscia. «Il clero e le suore hanno deciso di rimanere e continuare a prendersi cura di tutti coloro che saranno nei complessi. Lasciare Gaza e cercare di fuggire verso Sud sarebbe una condanna a morte», hanno scritto i due leader religiosi, ribadendo che «non può esserci futuro basato sulla prigionia, sullo sfollamento dei palestinesi o sulla vendetta. Non c’è motivo di giustificare lo sfollamento di massa deliberato e forzato di civili». Proteggerli sarà una sfida enorme per l’esercito israeliano.
(Ansa)
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