I propellenti naturali, in cui l’Italia eccelle, sono vittime del niet tedesco in Europa. Ma permettono di salvare i motori tradizionali, spingono l’agricoltura 4.0 e non inquinano. Focus all’evento per gli 80 anni di Coldiretti.
I propellenti naturali, in cui l’Italia eccelle, sono vittime del niet tedesco in Europa. Ma permettono di salvare i motori tradizionali, spingono l’agricoltura 4.0 e non inquinano. Focus all’evento per gli 80 anni di Coldiretti.Nel giorno dei concessionari Stellantis cadenti - hanno scritto a Ursula von der Leyen di ripensarci sullo stop ai motori - l’agricoltura italiana esprime un desiderio: che l’Europa dia finalmente via libera ai biocarburanti. Sarà oggi uno degli argomenti al centro delle celebrazioni per gli 80 anni della Coldiretti al teatro Eliseo a Roma: è atteso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ettore Prandini - presidente di Coldiretti - sui biocarburanti si è molto battuto, sono verdi e sono agricoltura 4.0; l’Italia ha una leadership produttiva e tecnologica in questo segmento. La collaborazione portata avanti in Africa da Bf international guidata da Federico Vecchioni con Eni ha uno dei punti di forza nella produzione di oli vegetali (ad esempio colza e ricino) destinati alla raffinazione in biocarburanti. E tutto questo coltivando terre marginali. L’ad di Eni Claudio Descalzi è stato definitivo: «L’Europa punta solo a ridurre le emissioni, mentre gli altri pensano a crescere ed essere sovrani da un punto di vista energetico. L'Europa ha ridotto le emissioni soprattutto perché la manifattura si è atrofizzata. Oggi noi importiamo per tonnellata pro capite più del doppio di quanto succedeva 20 anni fa». Ci stiamo raccontando un po’ di balle: siamo verdi perché produciamo meno e secondo Descalzi le regole sui motori endotermici sono «insulse». Per ora l’idea di andare solo con l’elettrico non funziona e anche i tanto vagheggiati efuel che piacciono ai tedeschi non sono la soluzione. Le macchinine a pila vanno bene per far giocare i bambini, ma quando sono di taglia XXL per trasportare le persone agli europei non piacciono. Ursula von der Leyen aveva promesso di inserire i biocarburanti nella tassonomia dell’Europa in transizione, ma da Berlino è venuto il veto perché i tedeschi sono ancora convinti di riuscire a vincere la sfida dell’elettrico. L’idea dei biocarburanti è di salvare il motore endotermico riducendo le emissioni di CO2 allo scarico dell’88% e battendo l’elettrico in termini di emissioni durante l’intera vita del veicolo. Se non ci fosse il narcotico dell’ideologia green lo capirebbe anche un ragazzino delle elementari come stanno le cose. La prima accusa mossa a benzina e diesel è di liberare in atmosfera lo stock di carbonio imprigionato nella terra sotto forma di petrolio. Se così è il biocarburante è il solo a emissioni neutre perché si ricava dalle piante o dagli oli vegetali esausti che hanno già assorbito CO2. Dunque bruciandolo si rimettono in circolo le medesime quantità: siamo a saldo zero di emissioni. Eppure Bruxelles pensa solo a elettrico e carburanti sintetici. Per i quali però ci vuole molta energia. In Danimarca dove c’è il boom dell’auto elettrica (sono meno di 6 milioni di abitanti) ha già chiuso la Ordestedt che doveva produrre efuel per le navi e ha cessato l’attività legata alle pompe Everfuel che doveva gestire le stazioni di rifornimento d’idrogeno. L’alternativa biocarburanti può dunque riprendere quota. Il primo a pensarci fu Henry Ford che aveva progettato già nel 1941 la Hemp body car, un’auto fatta con le plastiche da canapa e alimentata a olio di canapa. La Fiat prima di diventare Stellantis aveva un primato: nel 1976 produsse in Brasile la mitica 147, andava ad alcol ricavato da canna da zucchero. Le auto «etiliche» arrivarono a coprire oltre il 10% del mercato brasiliano e per le strade di Bahia, quelle cantate da Jorge Amado, si sentiva un buon profumo di cachaca, ma erano le macchine in transito. Il primato dell’Italia si deve a Raul Gardini e alla sua chimica verde: produsse prima di essere spazzato via da Tangentopoli bioplastiche dagli amidi, biometanolo e biodiesel dagli scarti agricoli. Un primato che l’Eni ha rafforzato: ha più di 1.000 distributori, tre raffinerie in Italia (Gela, Marghera e Livorno dove produce combustibile verde per gli aerei) per raffinare oli vegetali anche esausti con un effetto benefico sull’ambiente.È opinione diffusa - ne ha preso atto anche il G7 ambiente che si è tenuto ad aprile a Torino - che per le navi, gli arei e i grandi camion l’alimentazione del futuro sarà quella a biofuel. Claudio Descalzi lo certifica: «La raffinazione sui biocarburanti è a break even, mentre le altre raffinazioni perdono: l’Italia si è rivolta all’agricoltura, senza andare in contrasto con la catena alimentare. La nostra sovranità tecnologica ci ha portato in 15 anni ad avere prodotti sofisticati». Eni conta di arrivare oltre i 3 milioni di tonnellate di biocarburanti entro il prossimo anno. E allora perché l’Europa non ci sente? Perché i tedeschi pensano di salvare i loro motori col carburante sintetico. Peccato che gli efuel costano oltre 3 euro al litro. Bisognerebbe che il petrolio schizzasse a oltre 200 dollari al barile per renderli competitivi. Mentre, col modello italiano, basta riconvertire una frittura di pesce o coltivare là dove non cresce nulla per fare il pieno.
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