2021-03-18
La Germania si fa i vaccini
a noi lascia solo Speranza
Il ministro Roberto Speranza ha raccontato con toni lirici nel suo libro la collaborazione con il ministro tedesco al fine di dotare l'Ue di vaccini il prima possibile. Peccato che, nel frattempo, la Germania si organizzasse in proprio alle spalle dell'Unione.Lo ammetto: non ho ancora capito perché l'Italia abbia puntato le sue carte sul vaccino di Astrazeneca. Ho letto e riletto il capitolo del libro in cui Roberto Speranza ricostruisce la corsa verso il farmaco anti Covid. Ma, a parte l'affermazione che ho riportato anche in un precedente articolo, non ho trovato altro. Il ministro scrive che la grande multinazionale anglo-svedese nel maggio dello scorso anno «era quella nella fase più avanzata della ricerca contro il coronavirus». Perché Astrazeneca «ha un asset importante, in contratto con l'istituto Jenner dell'università di Oxford, che al momento sta ottenendo i risultati migliori». Ecco, l'ex assessore all'Urbanistica di Potenza, momentaneamente incaricato di occuparsi della nostra salute, ha puntato sul farmaco della casa farmaceutica di Cambridge convinto che Astrazeneca fosse più avanti degli altri. È lui stesso ad attribuirsi un ruolo attivo «per convincere l'Europa a giocare la partita» per la soluzione al problema del virus. «Mi metto al lavoro molto presto». «La nostra posizione non può essere l'attesa. Deve essere la proposta, possibilmente la soluzione». Sono tutte frasi sue, del ministro. È lui, Roberto Speranza, che parla al telefono con Jens Spahn, cioè con il suo omologo tedesco. «Con lui ho ormai un rapporto di amicizia e un filo diretto». Pare di vederli, lui e il collega, mentre scelgono le strategie anti Covid. Insieme decidono di chiamare gli altri, cioè il ministro francese e quello olandese, con l'obiettivo di velocizzare la procedura. «In una settimana ci sentiamo tutti i giorni in videocall e costruiamo un'intesa da cui scaturisce un atto formale, l'alleanza per il vaccino firmata da quattro ministri per la Salute europei. È un gesto politico forte, con cui impegniamo i nostri governi a lavorare insieme per dare un vaccino all'intera Ue». A rileggere ora queste frasi scritte fra settembre e ottobre, prima che la seconda ondata di contagi travolgesse le nostre città e i nostri ospedali, costringendoci di nuovo chiusi in casa e privati della libertà, si capisce una cosa e cioè che la soluzione del problema del virus era in mano di costoro, cioè di Speranza e compagni. I quali, di fronte a una pandemia, cominciarono a preoccuparsi del vaccino e a contattare le case farmaceutiche mesi dopo la diffusione del Covid e molte decine di vittime dopo. «A maggio, siamo ancora fermi». Donald Trump, l'odiato presidente americano, il sovranista Trump come scrive il nostro ministro della Salute, già a metà marzo aveva cercato di comprare il brevetto di un vaccino, mettendo sul tavolo 1 miliardo di dollari. Noi, anzi: Speranza, invece, si trastullava con la «costituzione di un tavolo di ministri europei». Sì, la spiegazione della scelta di Astrazeneca sta nella lentezza delle istituzioni europee, ma anche nella impreparazione e, perfino, nell'ingenuità di quelle italiane. Il ministro del governo Draghi, ma che per oltre un anno lo è stato del governo Conte, dice di aver telefonato all'amico Jens Spahn, con cui ha un filo diretto. Ma l'uomo con cui si è coordinato nel maggio dello scorso anno forse si è dimenticato di dirgli che - mentre trattava con lui per scegliere un vaccino europeo - stava comprando 30 milioni di dosi dalla Pfizer. Ebbene sì, mentre Speranza lavorava insieme al collega «per dare un vaccino all'intera Ue», la Germania comprava le dosi dal concorrente di Astrazeneca.Tuttavia non c'è solo questo fatto a spiegare l'insostenibilità della posizione dell'uomo che dovrebbe curarsi degli italiani. Sono sempre i tedeschi, quindi Spahn, che, a seguito del decesso di alcune persone, decidono di sospendere l'utilizzo del vaccino del gruppo anglo-svedese. Nessuno ha appurato un nesso tra le morti e il farmaco dell'azienda, ma i tedeschi non ci pensano due volte e, anzi, convincono anche gli altri Paesi a fare altrettanto. In particolare l'Italia. È lo stesso Speranza a rivelarlo. Blocchiamo tutto dopo Berlino. Se prima si diceva ce lo chiede l'Europa, ora - grazie ai rapporti amichevoli fra i ministri - ce lo chiede la Germania.C'è un piccolo problema: mentre noi grazie all'ex assessore all'urbanistica di Potenza inseguivamo il sogno del vaccino europeo e sceglievamo il più promettente, cioè Astrazeneca, fidandoci di Ursula von der Leyen, i tedeschi oltre a comprare 30 milioni di dosi Pfizer, puntavano sul vaccino Curevac, facendo, alla faccia nostra, i loro affari. La bavarese Wacker a partire da luglio, infatti, produrrà più di 100 milioni di dosi nel suo stabilimento di Amsterdam, ma già sta attrezzandosi per raddoppiare le fiale utilizzando la fabbrica di Nuenchritz, in Sassonia. Capito i tedeschi? L'amico Spahn, che perfino un epidemiologo come Karl Lauterbach ha criticato per la sospensione del vaccino Astrazeneca, con una mano ha stoppato l'azienda anglo-svedese e con l'altra si prepara a dare via libera all'azienda germanica. E noi? Beh, noi confidiamo nell'amicizia di Speranza e nei suoi fili diretti, ai quali speriamo di appenderci. E poi dovremmo credere al ministro della Salute quando ci spiega Perché guariremo.
Donald Trump (Ansa). Nel riquadro il suo post pubblicato su Truth con cui ha annunciato il raggiungimento dell'intesa tra Israele e Hamas
Nella notte raggiunto l'accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e la liberazione dei prigionieri. Il presidente americano: «Giornata storica». Le truppe israeliane lasceranno la Striscia, tranne Rafah. Guterres: «Tutti rispettino l’intesa».
È stato Donald Trump, poco prima dell’una italiana, ad annunciare il raggiungimento di un accordo tra Israele e Hamas per una tregua nella Striscia di Gaza e la liberazione degli ostaggi ancora in mano al gruppo islamista. «Sono molto orgoglioso di comunicare che Israele e Hamas hanno entrambi firmato la prima fase del nostro piano di pace», ha scritto il presidente americano su Truth, definendo quella di oggi «una giornata storica».
Secondo le prime ricostruzioni dei media israeliani, la firma ufficiale dell’intesa è prevista alle 11 italiane. L’accordo prevede il ritiro dell’Idf, l’esercito israeliano, da gran parte della Striscia di Gaza, con l’eccezione di Rafah, e il rilascio degli ostaggi sopravvissuti entro la fine del fine settimana, probabilmente tra sabato e domenica. Il piano, frutto di settimane di mediazione tra Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia, stabilisce anche la liberazione di circa duemila detenuti palestinesi in cambio del rilascio dei prigionieri israeliani. Lo scambio dovrà avvenire entro 72 ore dall’attuazione dell’accordo.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato la notizia in un comunicato del suo ufficio, parlando di «una conversazione molto emozionante e calorosa» avuta con Trump subito dopo l’annuncio. «I due leader si sono congratulati per lo storico risultato ottenuto con la firma dell’accordo per la liberazione di tutti gli ostaggi», si legge nella nota. Netanyahu ha ringraziato Trump «per la sua leadership e per gli sforzi a livello globale», ricevendo a sua volta le lodi del presidente americano per «la sua guida determinata». Trump, parlando poi con Axios, ha rivelato di aver ricevuto un invito ufficiale a recarsi in Israele. «Probabilmente nei prossimi giorni visiterò il Paese e potrei rivolgermi alla Knesset. Vogliono che tenga un discorso, e se lo desiderano, lo farò sicuramente», ha detto. E ha aggiunto: «Per raggiungere questo accordo si sono uniti gli sforzi di tutto il mondo, compresi Paesi ostili. È un grande risultato. La mia chiamata con Netanyahu è stata fantastica, lui è molto contento, e dovrebbe esserlo». In un altro messaggio pubblicato sui social, il presidente americano ha voluto ringraziare i mediatori regionali: «Tutte le parti saranno trattate equamente. Questo è un grande giorno per il mondo arabo e musulmano, Israele, tutte le nazioni circostanti e gli Stati Uniti d’America. Benedetti gli operatori di pace!».
Da Gaza, Hamas ha confermato la propria adesione, sottolineando che l’accordo «prevede la fine della guerra, il ritiro dell’occupazione, l’ingresso di aiuti e uno scambio di prigionieri». Il movimento islamista ha ringraziato «i mediatori di Qatar, Egitto e Turchia» e «gli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che mira a porre fine definitivamente alla guerra». Hamas ha poi chiesto ai mediatori internazionali di «costringere Israele ad attuare pienamente i requisiti dell’accordo e a non permettergli di eludere o ritardare quanto concordato». Secondo la Bbc, resta invece fuori dall’intesa la richiesta di Hamas di includere nel piano lo storico leader palestinese Marwan Barghouti, la cui scarcerazione è stata respinta da Israele.
La notizia dell’accordo ha provocato scene di entusiasmo nella Striscia: i media israeliani riferiscono che migliaia di palestinesi sono scesi in strada a Gaza, tra clacson, canti e fuochi d’artificio, dopo l’annuncio del presidente americano. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha accolto con favore la svolta: «Accolgo con favore l’annuncio di un accordo per garantire un cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi a Gaza, sulla base della proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti. Elogio gli sforzi diplomatici di Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia nel mediare questa svolta disperatamente necessaria». Guterres ha poi invitato «tutti gli interessati a rispettare pienamente i termini dell’accordo», sottolineando che «tutti gli ostaggi devono essere rilasciati in modo dignitoso» e che «deve essere garantito un cessate il fuoco permanente».
Intanto, sui social, i familiari degli ostaggi hanno diffuso un video di ringraziamento rivolto a Trump: «Il presidente ce l’ha fatta, i nostri cari stanno tornando a casa», affermano alcuni di loro. «Non smetteremo di combattere finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi». Se i tempi saranno rispettati, la giornata di oggi potrebbe segnare la fine di una guerra durata quasi un anno, costata decine di migliaia di vittime e un drammatico esodo di civili. Un accordo che, nelle parole dello stesso Trump, «è solo il primo passo verso una pace forte e duratura».
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Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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