2020-03-12
Bergamo in festa per l’Atalanta: «Mola mia»
L'orgoglio di una città in quarantena per la squadra approdata ai quarti di Champions league. Le bandiere alle finestre, la colletta dei tifosi per l'ospedale e il talento di Ilicic, il campione che meglio esprime la caparbietà del popolo orobico: «Non mollare mai».«Adesso cambiami». Aveva cominciato sul 2-2 a far mulinare le braccia verso la panchina, a piegarsi sulle ginocchia, a mettere in vetrina tutto l'armamentario dello sfinimento atletico. Iosip Ilicic voleva chiuderla lì, con i due gol segnati su rigore al Valencia e la qualificazione in tasca, gli ottavi di Champions, l'Atalanta nella storia. Ormai era fatta, che senso aveva far fatica ancora nel Mestalla deserto? Ma Gian Piero Gasperini, che conosce bene il suo pollo e le sue ataviche indolenze, ha fatto finta di non vederlo. Avrebbe cambiato tutti, anche il portiere, piuttosto che il gioiello sloveno. Stessa scena dopo la terza rete, con l'allenatore che alla fine commenta sornione: «Volevo che ne facesse quattro, ho avuto ragione».Ilicic ne ha fatti quattro fuori casa come Andrij Shevchenko con il Milan al Fenerbahce nel 2005, quattro come Leo Messi, Mario Gomez e Robert Lewandowski. Quattro perché, come ha detto alla fine dall'alto dei suoi 32 anni: «Più invecchio e più sono forte». E perché questa squadra straordinaria, espressione di un popolo guerriero, sobrio e orgoglioso, aveva bisogno di sublimarsi in un volto e in un nome. Poteva essere quello da ballerino di tango di Alejandro Gomez detto il Papu, invece è quello da sfinge con il sorriso tiraschiaffi del Giuseppe balcanico. Calciatore senza ruolo a Palermo, campione incompreso a Firenze, faro immarcabile fra San Vigilio e il West. Bergamo aggredita dalla pandemia aveva bisogno di questa gioia e l'ha vissuta in silenzio, nel deserto del Sentierone, mettendo le bandiere nerazzurre alle finestre ed esultando davanti al televisore. I quattro gol hanno fatto bene all'anima. Senza abbracci, senza gli ultrà ad attendere il ritorno della squadra a Orio (loro avevano già vinto la loro partita donando all'ospedale i 60.000 euro dei rimborsi dei biglietti), senza dichiarazioni smisurate. Ha parlato per tutti Gasperini, lo scienziato che ha saputo inventare una squadra da Premier league in Italia. Ha detto: «La dedichiamo a Bergamo che sta soffrendo, sconfitto il male faremo una grande festa». Il presidente Antonio Percassi si è limitato ad aggiungere: «Sono orgoglioso per quello che abbiamo conquistato». Su una maglia portafortuna spuntata alla fine c'è il motto eterno dei bergamaschi delle valli, identico a quello dei mille che partirono con Giuseppe Garibaldi: «Bergamo, è per te, móla mía». Oggi l'incitamento è per i medici, gli infermieri, i ricercatori dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII. Oggi il pensiero di tutti è per chi lotta contro il nemico invisibile. Quel non mollare mai che accompagna l'Atalanta ovunque, oggi serve altrove. E ha l'espressione imperturbabile di un uomo qualunque, che parla poco, non rilascia interviste, non si stupisce di niente e sta giocando un calcio pazzesco. È Ilicic il nato stanco, che i compagni hanno soprannominato «la nonna» perché ha sempre un dolorino e che dentro lo scanner con le caratteristiche antropologiche sembrerebbe l'opposto del tipico sgobbone bergamasco. Eppure proprio qui, dopo avere risalito la penisola in cerca di fortuna a Palermo e a Firenze, ha trovato l'ambiente ideale per esplodere, per diventare un top europeo, per scoprire che la continuità di rendimento è il valore supremo. Non mollare mai. Se si scava un po' nella sua storia si capisce che nel profondo lui sa cosa significa. Nato in Bosnia Erzegovina, non ha mai conosciuto suo padre, ucciso dai serbi durante la guerra, e ha cominciato presto la vita da profugo fino alla Croazia. Forse per questo in certi momenti abbassa la tendina della malinconia, forse per questo festeggia i trionfi con la stessa espressione che si dedica al crollo di una diga. E riesce a immedesimarsi nella sofferenza che i suoi tifosi stanno vivendo. Quando Gasperini chiese di ingaggiarlo quattro anni fa, a Zingonia furono in molti a stupirsi. Lo aveva già avuto a Palermo e ci aveva litigato, non era mai riuscito a disciplinarne il talento e ad ottenere una buona affidabilità. Una partita stellare e tre da fantasma, incomprensibile, irritante. Chi temeva un altro flop ha avuto torto, oggi in campo è micidiale. Quando parte dalla destra per accentrarsi nessuna soluzione è impossibile: il dribbling, l'assist, la sassata dal limite dell'area. Rientra, imposta, ha il radar nei piedi e con l'appoggio di Hans Hateboer che gli porta via un difensore (inserimenti perfetti, Gasperini non sopporterebbe dieci secondi di ritardo) diventa immarcabile. Non solo emozioni, anche numeri. In questa stagione, nel computo dei gol segnati in rapporto ai minuti giocati fra campionato e Champions, Ilicic è in testa in Europa. Ma per capire il senso del dato bisogna dare un'occhiata ai nomi di chi gli sta sotto: Cristiano Ronaldo, Kylian Mbappè e il baby fenomeno Erling Haaland.Due anni fa voleva andarsene, l'Inter lo aveva chiesto con una certa insistenza e lui avvertiva la necessità di volare verso la metropoli. L'estate scorsa stessa pantomima: questa volta era Carlo Ancelotti a fargli la corte per dare più chances offensive al suo Napoli. Alla fine Ilicic è sempre rimasto a Bergamo, trattenuto dalle garanzie della società e, in fondo, dalla zero voglia di fare valigie e traslochi. Non poteva immaginare una simile stagione, una simile Champions; a settembre valeva 25 milioni, oggi (a 32 anni) 40 non bastano. Il nonno è un fiore, i nipoti gli corrono accanto a distanza durante l'allenamento nel sole appena tiepido di Zingonia. Si tocca la schiena, poi il polpaccio, chiama la palla sui piedi; se lo fate stancare si ferma prima con una smorfia. Preciso a Zlatan Ibrahimovic.I quarti di Champions, un sogno e una follia. In città i partiti sono due. C'è chi vorrebbe incontrare la Juventus per lavare l'onta delle parole di Andrea Agnelli sui quarti di nobiltà, con i titoli di giornale appesi alle pareti degli spogliatoi. E chi invece va oltre e teorizza: «I bianconeri li incontriamo tutti gli anni in campionato. Continuiamo a sognare: Real Madrid, Bayern Monaco, Barcellona. Vogliamo una vita mai vissuta. E in finale il Lione». Perfidia pura, un sorriso nella tempesta.