2021-07-08
Beppe Sala difende il velo islamico invece delle ragazze schiave dei parenti
Beppe Sala (Getty images)
Il Comune presenta un piano d'azione contro le discriminazioni. Ma alle musulmane serve più aiuto con le loro famiglie radicali Mentre i cani molecolari dei carabinieri cercano nei campi della Bassa Reggiana tracce di Saman Abbas, il Vanity sindaco Giuseppe Sala mette nel mirino l'islamofobia. Mentre da oggi i genitori della ragazza scomparsa a Novellara possono essere arrestati in tutto il mondo su mandato del nostro ministero della Giustizia all'Interpol, a Milano è stato presentato dalla commissione Pari Opportunità del Comune «un piano locale di azione» per difendere il velo musulmano «dalle discriminazioni dilaganti nel nostro Paese». L'estate del primo cittadino milanese sembra la scaletta di un romanzo, ovviamente distopico, dove la realtà viene presentata come il suo contrario. Innervosito dal crollo di popolarità degli ultimi mesi (81º posto, sotto il 50% per gradimento nell'osservatorio del Sole 24 Ore), travolto dai blackout elettrici, impegnato a inaugurare piazzette tattiche nella calura per dare un senso alla campagna elettorale, Sala merita lo scherzoso appellativo di Salah con questa nuova, singolare iniziativa finanziata dall'Unione Europea, dal titolo «Meet more equal Europe together». Un forum di contrasto alle discriminazioni verso le donne e le ragazze musulmane non da parte dei parenti che adottano la sharia, ma da parte degli italiani.L'ossessione origina da un presupposto: secondo la fondazione Albero della Vita (che coordina l'iniziativa internazionale) il 65% delle donne musulmane in Italia dichiara di avere subito episodi di violenza e discriminazione frutto di sguardi e «parole giudicanti» . Del tipo: «Talebana tornatene a casa tua», «Sottomessa, ti hanno costretta a indossare il velo». Parole che si trovano in un video-cartoon della campagna che vorrebbe sensibilizzare contro comportamenti non inclusivi. Tutto legittimo e comprensibile, se non ci fosse un problema grande come l'Everest: la metà mancante. C'è qualcosa di paradossale nella tempistica e nell'approccio al tema, che bypassa allegramente i drammi sociali più sconcertanti. L'iniziativa non ha alcuna intenzione di accendere i riflettori sul fenomeno della sottomissione della donna nel mondo islamico, trasferito di peso nelle città europee e italiane dove gli immigrati musulmani vivono dentro una bolla impermeabile, continuando a seguire leggi e tradizioni dei paesi d'origine con conseguenze che talvolta sfociano nella cronaca nera. Nelle piccole Molenbeek italiane (San Siro per rimanere a Milano), dove l'integrazione è una favola da convegno, nessuno osa entrare. E di ciò che accade fra le mura domestiche nessuno osa parlare. Va ricordato che - mentre la sinistra dei diritti si concentra sulla libertà velo delle donne islamiche in coda alle Poste -, il dramma è nei rischi che le stesse donne corrono se si azzardano a toglierselo in casa. Nel 2021 in Italia abbiamo avuto la prova che esistono padri padroni disposti a segregare, picchiare, violentare mogli e figlie che vorrebbero integrarsi o semplicemente studiare, vivere una vita dignitosa in un paese occidentale. L'approccio dell'Europa agli human rights rimane superficiale, accademico, e Milano declina queste priorità con un fanatismo a senso unico. Se non basta il nome di Saman Abbas e non è sufficiente l'ultima deposizione del fratello («Se la ragazza smette di essere musulmana viene uccisa»), eccone altri. Pronunciati come in una Spoon River del dolore. Rachida Radi, marocchina uccisa a martellate nel 2011 a Brescello dal marito perché perché si era avvicinata al cristianesimo. Sanaa Dafani, ammazzata nel 2009 dal padre a Pordenone nel perché amava un italiano. Hina Saleem, uccisa a Brescia nel 2006 dalla famiglia perché voleva semplicemente vestire come le ragazze italiane. Souad Alloumi, scomparsa nel 2018; il corpo non è mai stato trovato ma il marito è stato condannato all'ergastolo. Per il Comune di Milano illuminato e progressista questa sarebbe un'islamofobia da occultare.La difesa del velo sta suscitando polemiche e proteste della Lega e di Fratelli d'Italia. L'assessore regionale Riccardo De Corato ha messo il dito nella piaga: «Le donne islamiche sono più libere in Italia che in un paese islamico. La lotta vera è liberarle non dal velo fisico, ma da quello culturale che le attanaglia a una cultura maschilista. Perché non spendere i soldi dell'Europa per dare dignità alle donne islamiche vessate dall'integralismo e non certo dai costumi dell'Occidente?». La risposta potrebbe arrivare guardando dentro le associazioni organizzatrici. Partner del progetto sono anche Femyso (Forum europeo dei giovani islamici), considerato vicino all'Islam politico; Fioe (federazione delle organizzazioni islamiche in Europa), continua ai Fratelli Musulmani. E il milanese «Progetto Aisha», espressione di Ucoii e di Caim, sigla che raggruppa le moschee della metropoli lombarda, legata agli Stati arabi finanziatori. Guarda caso, sono tutti potenziali elettori di Salah.