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2020-02-09
Renzi si fa la piscina, Grillo non la dichiara
Ansa
A Genova da tempo girano fole sulle piscine della villa di Beppe Grillo. Il fondatore del Movimento 5 stelle per molti anni ne ha avuta una coperta in quella che era denunciata come area svago, con annessa palestra. L'ampio locale si trova sotto il prato del giardino, e a fianco della piscina esterna. Un tempo quei locali sono stati un rifugio bellico. Il vecchio proprietario aveva chiesto il condono nel 1986: era stato autorizzato il 7 luglio 1989, ovvero cinque mesi dopo la data d'acquisto della villa da parte della famiglia Grillo. Insomma, come nei film di James Bond, il garante dei 5 stelle aveva una piscina sotterranea dove un tempo c'era un bunker. In quell'area benessere, tappezzata esternamente di pannelli fotovoltaici, la moglie di Grillo, Parvin Tadjik, organizzava sedute di acquagym per le amiche. La piscina era di circa 40 metri quadrati (13 per 3), e intorno, racconta chi c'è stato, ci sarebbero state anche due saune. Ma poi i figli di Beppe sono cresciuti e hanno iniziato a cercare maggiore privacy. E così la piscina interna è stata coperta da un parquet e la zona è diventata il loft di Ciro Grillo, il piccolo della famiglia, attualmente accusato con tre amici dello stupro di una ragazza italo finlandese (l'inchiesta è in corso presso la Procura di Tempio Pausania, in Sardegna).
Ma dentro alla villa si trovano altre due piscine: la prima è collegata all'ex area svago. Ufficialmente è una vasca idrica destinata all'approvvigionamento dell'acqua per i terreni. In realtà è stata trasformata in piscina, con tanto di tipico rivestimento azzurro, come è evidente sul profilo Facebook di Ciro Grillo e nelle foto satellitari rintracciabili su Internet. Nel parco di casa si trova un'ulteriore ampia vasca, di forma circolare e di dimensioni pressoché analoghe a quelle della piscina, per i pesci.
La villa dei Grillo si trova sull'esclusiva collina di Sant'Ilario, la Beverly Hills dei genovesi. Una dimora sontuosa di 22,5 vani di proprietà della società semplice Bellavista (inattiva) di cui Grillo è socio con la consorte. Il comico nei documenti visionati dalla Verità si definisce proprietario o comproprietario dell'abitazione.
Secondo la giornalista d'inchiesta e geometra Claudia Bortolotti, che si occupa di pratiche urbanistiche e catastali da un quarto di secolo, nel buen retiro qualcosa non quadra: «Sono venuta a conoscenza della situazione di quella dimora perché al quotidiano online Oggi notizie, che dirigo, sono arrivati documenti che comprovano l'effettiva irregolarità di opere urbanistiche, edilizie e catastali nella villa e nelle pertinenze ad essa collegate». Nei mesi scorsi la giornalista ha condiviso le carte con la redazione delle Iene, che da tempo hanno avviato un'approfondita inchiesta.
A giudizio della Bortolotti le piscine di casa Grillo non sarebbero state correttamente denunciate all'Agenzia delle entrate ufficio territorio (l'ex catasto) e sarebbero state citate «come mera rappresentazione grafica e senza l'esatta destinazione d'uso a piscina» negli elaborati consegnati al catasto molti anni dopo la loro realizzazione.
Non è finita: «Dalle carte pervenute in redazione rilevo che il parco è rimasto iscritto al catasto terreni nonostante sia una pertinenza a tutti gli effetti di altissimo pregio e in uso esclusivo, priva di eventuali servitù che potrebbero svilirne il valore economico. Grazie a ciò i proprietari potrebbero avere Tasi e Isi ridotte rispetto al reale valore dell'immobile e, in caso di vendita o donazione, l'imposta di registro applicabile sarebbe del 2 per cento, anziché del 9. In sostanza la dimora del fondatore dei 5 stelle avrebbe un'imposizione fiscale pari a quella della casa di un operaio». L'inesatta destinazione d'uso delle pertinenze pare aver comportato un'errata attribuzione di categoria catastale, tanto che la casa risulta essere un villino (categoria A7) e non una villa (categoria A8). Con le agevolazioni del caso.
«Tale classificazione non corrisponde alle caratteristiche che l'immobile ha acquisito in forza delle molteplici ristrutturazioni che non solo lo hanno valorizzato, ma anche ampliato rispetto allo stato originale», insiste la Bortolotti. Un collega esperto di estimi catastali, Massimo D'Andrea, conferma: «Viste le caratteristiche dell'immobile e cioè la presenza di ascensore, piscina coperta e scoperta, parco, materiali di pregio, terrazzi più grandi di 65 metri quadri e una superficie utile complessiva superiore ai 160 metri, per effetto del decreto ministeriale 1.072 del 1969, quella casa andrebbe classificata come abitazione di lusso».
Un'ultima curiosità. Uno dei progettisti coinvolti nelle numerose ristrutturazioni della villa è l'architetto torinese Alberto Sasso, ex candidato alla Camera con i 5 stelle e attuale presidente dell'ente Eur di Roma in quota Virginia Raggi. Sasso nel 2016 ha presentato una comunicazione inizio lavori al Comune di Genova per una manutenzione straordinaria del piano interrato, in cui non sarebbe stata dichiarata la destinazione d'uso a piscina, ma unicamente comunicata la copertura con un pavimento di tek. Nel 2019 Sasso è stato iscritto sul registro degli indagati con l'accusa di turbativa d'asta a causa di una consulenza da circa 50.000 euro ricevuta da alcuni comuni montani del Piemonte per preparare un dossier per la candidatura ai giochi invernali del 2026. «Se a occuparsene è Alberto possiamo stare tranquilli, perché se mai faremo un dossier sarà rispettoso dei nostri criteri», aveva detto Grillo, riferendosi al professionista.
Ma che prescrizione. La priorità di Renzi è costruirsi la piscina nella villa milionaria
In un'epoca in cui spopolano le sardine, Matteo Renzi ha pensato bene di farsi la piscina. Chissà che non le voglia attirare a casa sua, come hanno fatto Oliviero Toscani e Luciano Benetton nella loro «Fabrica», dove non «interessa se casca un ponte». Immaginatevelo l'ex premier mentre ospita a bordo piscina Mattia Santori & C. per un bell'aperitivo a base di tartine con acciughe del Cantabrico. In fondo in questo periodo Matteo sembra non curarsi del rischio impopolarità. Prima acquista una villa da 1,3 milioni di euro dopo aver mostrato un estratto conto da 15.000 euro; poi si fa prestare 700.000 euro da un amico che aveva precedentemente inserito nel cda di Cassa depositi e prestiti immobiliare; quindi sfrutta il brillante cursus honorum politico per diventare un globetrotter delle conferenze e fare documentari, rigorosamente a pagamento. In questa operazione simpatia al contrario Renzi ha pensato bene di ingaggiare un agente dello spettacolo, Lucio Presta, come un Bonolis qualsiasi, e di iniziare a frequentare personaggi poco in sintonia con i valori dell'elettorato piddino, in primis Flavio Briatore. Ma a Renzi, mentre il suo partitino non conquista sondaggi particolarmente favorevoli, ne è venuta in mente un'altra per tagliare definitivamente i ponti con il suo mondo di provenienza: costruirsi la piscina, dopo essere stato più volte immortalato dai paparazzi ai bordi di quella dell'hotel Roma villa imperiale di Forte dei Marmi, di proprietà dello stesso imprenditore che gli ha prestato i soldi per comprarsi la villa.
Renzi ha speso 1.230.000 euro per la sua nuova casa e 70.000 per un terreno agricolo di 1.580 metri quadrati adiacente al giardino.
Su Internet la lussuosa dimora era così descritta: «In strada prestigiosa, alle pendici di piazzale Michelangelo, villa indipendente con splendido giardino privato e passo carrabile. Al piano terreno: salotto triplo, grande cucina abitabile, studio/camera di sevizio, bagno. Al primo piano: tre camere, due bagni e una splendida terrazza». Alla descrizione bisogna aggiungere un locale lavanderia e una cantina. La superficie catastale è di 276 metri (11,5 vani) e la categoria è A7, quella dei villini esenti da Imu e Tasi. Ma adesso, dopo la meticolosa ristrutturazione e la costruzione della piscina, villa Renzi diventerà dimora di lusso (A8)? Vedremo. Ma torniamo alla piscina. Il 29 novembre Renzi e la moglie Agnese Landini hanno presentato in Comune la richiesta di autorizzazione alla realizzazione di una piscina e all'installazione di un manufatto accessorio, verosimilmente uno spogliatoio. Lo stesso giorno è stata creata la pratica. Il 2 dicembre sono stati inseriti i dati nel database, il 3 dicembre la pratica era già stata mandata all'esame della commissione paesaggistica. Il 12 dicembre ha passato l'esame ed è stata sottoposta alla firma del dirigente competente che l'ha subito siglata, in attesa del via libera della Sovrintendenza, a cui, sempre il 12 è stato richiesto il parere, essendo la villa adagiata su una delle colline più belle di Firenze. Il 31 gennaio il fascicolo è tornato indietro con «parere favorevole con prescrizioni». Il 3 febbraio è arrivata la marca da bollo dell'autorizzazione paesaggistica. Il 4 febbraio il provvedimento è stato sottoposto alla firma finale. Insomma le incombenze burocratiche sono state espletate e adesso il nostro potrà iniziare i lavori, in tempo per avere la vasca pronta per l'estate.
È utile ricordare che il Renzi piddino non aveva mai fatto realizzare una piscina nella sua villa di Pontassieve, ma i tempi sono cambiati e il fu Rottamatore non ha più remore nell'esibire gli status symbol dell'uomo di successo. La mutazione, almeno pubblicamente, è iniziata nel 2018, quando La Verità raccontò in anteprima l'acquisto della nuova magione e lui replicò: «Svelo un segreto. Sono stato eletto parlamentare e prendo un ottimo stipendio. Non avendo più attività di governo posso avere ulteriori entrate, tutte pubbliche, tutte trasparenti». Lo scorso autunno, di fronte alle polemiche per il prestito da 700.000 euro, ha gonfiato ulteriormente il petto: «L'ho restituito in meno di cinque mesi. […] Grazie ai proventi personali regolarmente registrati ho dichiarato 830.000 euro nel 2018 e dichiarerò oltre 1.000.000 euro nel 2019. Nel 2019 ho pagato per adesso circa mezzo milione di euro di tasse. Questo per rispondere a chi dice che vivo di politica». Insomma, se questo è il mood del momento, preparatevi alle foto di Renzi con drink in mano e piedini a bagno. Poco importa se la piscina basterà a ospitare l'intero elettorato di Italia viva.
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Il padre dei grillini non ha dichiarato correttamente al catasto ciò che ha realizzato nel suo bunker di lusso. La casa figura come villino: possibili vantaggi fiscali. Un progettista, ex candidato M5s, è a capo dell'ente Eur.In pochi giorni il Bullo ottiene l'autorizzazione per fare il bagno all'interno della tenuta toscana. Il suo modello ormai è Flavio Briatore.Lo speciale contiene due articoli.A Genova da tempo girano fole sulle piscine della villa di Beppe Grillo. Il fondatore del Movimento 5 stelle per molti anni ne ha avuta una coperta in quella che era denunciata come area svago, con annessa palestra. L'ampio locale si trova sotto il prato del giardino, e a fianco della piscina esterna. Un tempo quei locali sono stati un rifugio bellico. Il vecchio proprietario aveva chiesto il condono nel 1986: era stato autorizzato il 7 luglio 1989, ovvero cinque mesi dopo la data d'acquisto della villa da parte della famiglia Grillo. Insomma, come nei film di James Bond, il garante dei 5 stelle aveva una piscina sotterranea dove un tempo c'era un bunker. In quell'area benessere, tappezzata esternamente di pannelli fotovoltaici, la moglie di Grillo, Parvin Tadjik, organizzava sedute di acquagym per le amiche. La piscina era di circa 40 metri quadrati (13 per 3), e intorno, racconta chi c'è stato, ci sarebbero state anche due saune. Ma poi i figli di Beppe sono cresciuti e hanno iniziato a cercare maggiore privacy. E così la piscina interna è stata coperta da un parquet e la zona è diventata il loft di Ciro Grillo, il piccolo della famiglia, attualmente accusato con tre amici dello stupro di una ragazza italo finlandese (l'inchiesta è in corso presso la Procura di Tempio Pausania, in Sardegna).Ma dentro alla villa si trovano altre due piscine: la prima è collegata all'ex area svago. Ufficialmente è una vasca idrica destinata all'approvvigionamento dell'acqua per i terreni. In realtà è stata trasformata in piscina, con tanto di tipico rivestimento azzurro, come è evidente sul profilo Facebook di Ciro Grillo e nelle foto satellitari rintracciabili su Internet. Nel parco di casa si trova un'ulteriore ampia vasca, di forma circolare e di dimensioni pressoché analoghe a quelle della piscina, per i pesci. La villa dei Grillo si trova sull'esclusiva collina di Sant'Ilario, la Beverly Hills dei genovesi. Una dimora sontuosa di 22,5 vani di proprietà della società semplice Bellavista (inattiva) di cui Grillo è socio con la consorte. Il comico nei documenti visionati dalla Verità si definisce proprietario o comproprietario dell'abitazione. Secondo la giornalista d'inchiesta e geometra Claudia Bortolotti, che si occupa di pratiche urbanistiche e catastali da un quarto di secolo, nel buen retiro qualcosa non quadra: «Sono venuta a conoscenza della situazione di quella dimora perché al quotidiano online Oggi notizie, che dirigo, sono arrivati documenti che comprovano l'effettiva irregolarità di opere urbanistiche, edilizie e catastali nella villa e nelle pertinenze ad essa collegate». Nei mesi scorsi la giornalista ha condiviso le carte con la redazione delle Iene, che da tempo hanno avviato un'approfondita inchiesta.A giudizio della Bortolotti le piscine di casa Grillo non sarebbero state correttamente denunciate all'Agenzia delle entrate ufficio territorio (l'ex catasto) e sarebbero state citate «come mera rappresentazione grafica e senza l'esatta destinazione d'uso a piscina» negli elaborati consegnati al catasto molti anni dopo la loro realizzazione. Non è finita: «Dalle carte pervenute in redazione rilevo che il parco è rimasto iscritto al catasto terreni nonostante sia una pertinenza a tutti gli effetti di altissimo pregio e in uso esclusivo, priva di eventuali servitù che potrebbero svilirne il valore economico. Grazie a ciò i proprietari potrebbero avere Tasi e Isi ridotte rispetto al reale valore dell'immobile e, in caso di vendita o donazione, l'imposta di registro applicabile sarebbe del 2 per cento, anziché del 9. In sostanza la dimora del fondatore dei 5 stelle avrebbe un'imposizione fiscale pari a quella della casa di un operaio». L'inesatta destinazione d'uso delle pertinenze pare aver comportato un'errata attribuzione di categoria catastale, tanto che la casa risulta essere un villino (categoria A7) e non una villa (categoria A8). Con le agevolazioni del caso.«Tale classificazione non corrisponde alle caratteristiche che l'immobile ha acquisito in forza delle molteplici ristrutturazioni che non solo lo hanno valorizzato, ma anche ampliato rispetto allo stato originale», insiste la Bortolotti. Un collega esperto di estimi catastali, Massimo D'Andrea, conferma: «Viste le caratteristiche dell'immobile e cioè la presenza di ascensore, piscina coperta e scoperta, parco, materiali di pregio, terrazzi più grandi di 65 metri quadri e una superficie utile complessiva superiore ai 160 metri, per effetto del decreto ministeriale 1.072 del 1969, quella casa andrebbe classificata come abitazione di lusso». Un'ultima curiosità. Uno dei progettisti coinvolti nelle numerose ristrutturazioni della villa è l'architetto torinese Alberto Sasso, ex candidato alla Camera con i 5 stelle e attuale presidente dell'ente Eur di Roma in quota Virginia Raggi. Sasso nel 2016 ha presentato una comunicazione inizio lavori al Comune di Genova per una manutenzione straordinaria del piano interrato, in cui non sarebbe stata dichiarata la destinazione d'uso a piscina, ma unicamente comunicata la copertura con un pavimento di tek. Nel 2019 Sasso è stato iscritto sul registro degli indagati con l'accusa di turbativa d'asta a causa di una consulenza da circa 50.000 euro ricevuta da alcuni comuni montani del Piemonte per preparare un dossier per la candidatura ai giochi invernali del 2026. «Se a occuparsene è Alberto possiamo stare tranquilli, perché se mai faremo un dossier sarà rispettoso dei nostri criteri», aveva detto Grillo, riferendosi al professionista. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/beppe-grillo-non-ha-regolarizzato-le-vasche-che-si-affacciano-su-genova-2645077718.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-che-prescrizione-la-priorita-di-renzi-e-costruirsi-la-piscina-nella-villa-milionaria" data-post-id="2645077718" data-published-at="1766977964" data-use-pagination="False"> Ma che prescrizione. La priorità di Renzi è costruirsi la piscina nella villa milionaria In un'epoca in cui spopolano le sardine, Matteo Renzi ha pensato bene di farsi la piscina. Chissà che non le voglia attirare a casa sua, come hanno fatto Oliviero Toscani e Luciano Benetton nella loro «Fabrica», dove non «interessa se casca un ponte». Immaginatevelo l'ex premier mentre ospita a bordo piscina Mattia Santori & C. per un bell'aperitivo a base di tartine con acciughe del Cantabrico. In fondo in questo periodo Matteo sembra non curarsi del rischio impopolarità. Prima acquista una villa da 1,3 milioni di euro dopo aver mostrato un estratto conto da 15.000 euro; poi si fa prestare 700.000 euro da un amico che aveva precedentemente inserito nel cda di Cassa depositi e prestiti immobiliare; quindi sfrutta il brillante cursus honorum politico per diventare un globetrotter delle conferenze e fare documentari, rigorosamente a pagamento. In questa operazione simpatia al contrario Renzi ha pensato bene di ingaggiare un agente dello spettacolo, Lucio Presta, come un Bonolis qualsiasi, e di iniziare a frequentare personaggi poco in sintonia con i valori dell'elettorato piddino, in primis Flavio Briatore. Ma a Renzi, mentre il suo partitino non conquista sondaggi particolarmente favorevoli, ne è venuta in mente un'altra per tagliare definitivamente i ponti con il suo mondo di provenienza: costruirsi la piscina, dopo essere stato più volte immortalato dai paparazzi ai bordi di quella dell'hotel Roma villa imperiale di Forte dei Marmi, di proprietà dello stesso imprenditore che gli ha prestato i soldi per comprarsi la villa. Renzi ha speso 1.230.000 euro per la sua nuova casa e 70.000 per un terreno agricolo di 1.580 metri quadrati adiacente al giardino. Su Internet la lussuosa dimora era così descritta: «In strada prestigiosa, alle pendici di piazzale Michelangelo, villa indipendente con splendido giardino privato e passo carrabile. Al piano terreno: salotto triplo, grande cucina abitabile, studio/camera di sevizio, bagno. Al primo piano: tre camere, due bagni e una splendida terrazza». Alla descrizione bisogna aggiungere un locale lavanderia e una cantina. La superficie catastale è di 276 metri (11,5 vani) e la categoria è A7, quella dei villini esenti da Imu e Tasi. Ma adesso, dopo la meticolosa ristrutturazione e la costruzione della piscina, villa Renzi diventerà dimora di lusso (A8)? Vedremo. Ma torniamo alla piscina. Il 29 novembre Renzi e la moglie Agnese Landini hanno presentato in Comune la richiesta di autorizzazione alla realizzazione di una piscina e all'installazione di un manufatto accessorio, verosimilmente uno spogliatoio. Lo stesso giorno è stata creata la pratica. Il 2 dicembre sono stati inseriti i dati nel database, il 3 dicembre la pratica era già stata mandata all'esame della commissione paesaggistica. Il 12 dicembre ha passato l'esame ed è stata sottoposta alla firma del dirigente competente che l'ha subito siglata, in attesa del via libera della Sovrintendenza, a cui, sempre il 12 è stato richiesto il parere, essendo la villa adagiata su una delle colline più belle di Firenze. Il 31 gennaio il fascicolo è tornato indietro con «parere favorevole con prescrizioni». Il 3 febbraio è arrivata la marca da bollo dell'autorizzazione paesaggistica. Il 4 febbraio il provvedimento è stato sottoposto alla firma finale. Insomma le incombenze burocratiche sono state espletate e adesso il nostro potrà iniziare i lavori, in tempo per avere la vasca pronta per l'estate. È utile ricordare che il Renzi piddino non aveva mai fatto realizzare una piscina nella sua villa di Pontassieve, ma i tempi sono cambiati e il fu Rottamatore non ha più remore nell'esibire gli status symbol dell'uomo di successo. La mutazione, almeno pubblicamente, è iniziata nel 2018, quando La Verità raccontò in anteprima l'acquisto della nuova magione e lui replicò: «Svelo un segreto. Sono stato eletto parlamentare e prendo un ottimo stipendio. Non avendo più attività di governo posso avere ulteriori entrate, tutte pubbliche, tutte trasparenti». Lo scorso autunno, di fronte alle polemiche per il prestito da 700.000 euro, ha gonfiato ulteriormente il petto: «L'ho restituito in meno di cinque mesi. […] Grazie ai proventi personali regolarmente registrati ho dichiarato 830.000 euro nel 2018 e dichiarerò oltre 1.000.000 euro nel 2019. Nel 2019 ho pagato per adesso circa mezzo milione di euro di tasse. Questo per rispondere a chi dice che vivo di politica». Insomma, se questo è il mood del momento, preparatevi alle foto di Renzi con drink in mano e piedini a bagno. Poco importa se la piscina basterà a ospitare l'intero elettorato di Italia viva.
iStock
Femminismo è il vezzoso nome dato alla misandria occidentale, e la misandria è stato il mezzo per distruggere nel giro di due generazioni l’invincibile società occidentale giudaico-cristiana: le donne sempre vittime, i maschi sempre carnefici e soprattutto nemici. La «vera donna» si sente sorella di sconosciute, incluse cantanti mediocri che guadagnano cifre astronomiche mostrando la biancheria intima o la sua assenza, ma non deve avere linee di collaborazione o anche solo umana simpatia con il marito o il compagno. Il femminismo occidentale non è difesa delle donne, è misandria, odio per gli uomini. Il femminismo misandrico è un movimento creato a tavolino, con lo scopo di distruggere la famiglia, che è un’unità affettivo/economica con una sua intrinseca potenza: rende le persone non isolate, e quindi meno malleabili, tali da avere la forza di opporsi al potere dello Stato o del parastato. Il secondo scopo è abbattere i salari buttando sul mercato milioni di lavoratrici. Il terzo scopo è annientare le aree di lavoro non tassabile. Le donne a casa loro fanno lavori non tassabili: cucire, cucinare, costruire giocattoli, creare tende e vestiario, fare conserve, allevare bambini. Ora il loro lavoro è sostituito da supermercati, orrendi cibi precotti, con tutti i danni dei cibi processati, vestiario «made in China» fatto da schiavi sottopagati e soprattutto educatrici e insegnanti.
A ogni interazione madre-figlio, il cervello del bambino piccolo crea miliardi di sinapsi. Ogni interazione con l’estranea cui è affidato mentre mamma si sta facendo sfruttare da qualcuno in un posto di lavoro - e deve farlo perché il salario di papà è troppo basso - fabbrica molte meno sinapsi. Per i bambini, essere affidati a estranei al di sotto dei tre anni è un danno neurobiologico. Chi nega questa affermazione sta mentendo. Il bambino impara la regolazione delle emozioni sulla madre, ma per poter completare questo processo la madre deve essere presente. Con l’estranea cui è stato affidato, il processo non può realizzarsi. Inoltre, per quell’estranea il bambino è lavoro. Ci sono persone che amano il loro lavoro, altre che lo detestano: nel caso delle educatrici, quello che è detestato è il bambino. Ogni tanto bisogna mettere le videocamere per scoprire bambini picchiati o umiliati. La madre lavoratrice deve occuparsi del lavoro e quando alla sera torna a casa stanca e nervosa deve occuparsi del bambino, che alla sera, dopo ore e ore con estranee, è stanco e nervoso. Il peso è micidiale.
Le donne non mettono più al mondo figli. Il femminismo misandrico è stato creato per abbattere la natalità. Quando il bambino è malato, la mamma non può stare con lui. La presenza della madre fabbrica endorfine che potenziano il sistema immunitario. La sua assenza fabbrica cortisolo, ormone da stress che abbatte il sistema immunitario. Per poter essere affidato alle estranee del nido, il bambino deve essere sottoposto a un esavalente che in molte altre nazioni è vietato. Il 70% delle morti improvvise in culla avviene nella settimana successiva all’iniezione dell’esavalente. Perché le madri possano serenamente lavorare è stato creato il latte in polvere, pessimo prodotto che sostituisce il cibo perfetto dal punto di vista nutrizionale e immunologico che è il latte materno. È statisticamente dimostrata la differenza cognitiva e la migliore salute dei bambini allattati al seno. Dopo i tre anni un bambino potrebbe restarsene benissimo a casa sua; se proprio lo si vuole mandare all’asilo, sarebbe meglio non superare le due ore al giorno. Quando ha sei anni, il bambino dovrebbe andare in una scuola quattro ore, dalle 8.30 alle 12.30. Se la classe è fatta da bambini in maggioranza sereni e tutti della stessa madrelingua, come negli anni Cinquanta, quattro ore sono sufficienti.
Il bambino, messo sotto stress dalla mancanza cronica della madre, consegnato allo Stato per un numero spaventoso di ore, diventa un perfetto recipiente per la propaganda.
Le femministe hanno conquistato il diritto al lavoro. Il lavoro è una maledizione biblica. Anche l’aborto è una maledizione biblica e pure di quello hanno conquistato il diritto. Nella Cappella Sistina, Michelangelo ha rappresentato il momento in cui il serpente corrompe Eva con la mela: il serpente ha un volto di donna. Un’ intuizione geniale. Le donne hanno meno testosterone: questo le rende più accoglienti, permette la maternità, ma le rende meno capaci di battersi. Noi siamo meno capaci di combattere, cediamo più facilmente alla propaganda. Il vittimismo isterico del femminismo misandrico è stata la tentazione con cui le donne hanno annientato la invincibile civiltà giudaico-cristiana. Abbiamo ancora una generazione, forse una e mezza. Creperemo di denatalità e scemenze: tra due generazioni al massimo saremo una repubblica islamica. Il potere è stato tolto al pater familias, che era sporco brutto e cattivo, ma era comunque uno cui di quella donna e quei bambini importava, ed è stato consegnato allo Stato, una macchina burocratica cieca e stolida. Lo Stato decide quanti vaccini un bambino deve fare, mentre gli Ordini dei medici applicano la legge Lorenzin radiando tutti coloro che si permettono di parlare della criticità di questi farmaci. Lo Stato decide cosa un bambino deve mangiare: le orrende mense scolastiche dove si mangia pessimo cibo statale sono obbligatorie. Digitate su Google le parole mensa scolastica e tossinfezioni alimentari e troverete dati interessanti. I dati che mancano sono i danni su danni sul lungo periodo degli oli di bassa qualità, della conserva di pomodoro comprata dove costava meno (spesso sono pomodori coltivati in Cina con fertilizzanti pessimi). Lo Stato decide come il bambino deve vivere e se la famiglia si permette di farlo vivere felice in un bosco, lo Stato interviene. Lo Stato decide cosa il bambino deve pensare, perché l’etica gliela insegnano i docenti, quasi sempre femmine, che sono impiegati statali che eseguono gli ordini, le circolari, fanno corsi di aggiornamento Lgbt e hanno criminalizzato i ragazzi non vaccinati per il Covid.
Grazie al femminismo misandrico, in Italia, la disparità tra padre e madre è clamorosa: i padri sono esseri inferiori. La donna ha potere di vita e morte sul concepito, un potere osceno e criminale. Si considera criminale un padre che ha picchiato suo figlio, ma non si considera criminale una donna che ha fatto macellare il suo bambino nel suo ventre. Il potere che ha creato il femminismo misandrico vuole gli aborti, li adora. Se hai abbandonato il cane sei un bastando, se hai fatto uccidere tuo figlio nel tuo ventre sei un’eroina della libertà. Per far uccidere il bambino nel suo ventre, la donna ha bisogno di un medico, che diventa quindi un medico che sopprime vite umane. Il feto è vivo ed è umano. Chi lo sopprime, sta sopprimendo vite umane. Se la donna vuole abortire, il padre non può opporsi. La donna può abortire, ma il padre non può rifiutarsi di pagare gli alimenti, deve assumersi la responsabilità economica fino alla maggiore età (e spesso oltre), eredità garantita al figlio, un terzo del patrimonio che deve essere accantonato. La donna può rendere suo figlio orfano di padre: può partorirlo, disconoscerlo e impedire che il padre lo riconosca. Il padre, per riconoscere il figlio, deve arruolare uno o più avvocati, pagarli e imbarcarsi in una guerra giudiziaria lunga e dall’esito incerto. Mentre le donne sono normalmente aggredite da immigrati islamici, l’invasione che sostituisce il deficit demografico dei bambini abortiti, al punto che non si possono più fare manifestazioni in piazza come quelle di Capodanno, quando l’uomo è bianco e occidentale, la parola della donna in tribunale vale più di quella dell’uomo.
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Roberto Speranza (Ansa)
Sull’edizione del 7 marzo del 2023, Francesco Borgonovo riportava un eloquente scambio di messaggi tra l’allora presidente dell’Iss, Silvio Brusaferro, e il ministro Roberto Speranza, che si esprimeva così: «Dobbiamo chiudere le scuole. Ne sono sempre più convinto». Ma il giorno seguente Brusaferro notava: «Per chiusura scuola Cts critico». E il ministro incalzava: «Così ci mandate a sbattere». Dopo una serie di ulteriori scambi, Brusaferro cedeva: «Va bene. Domani bisognerà pensare a illustrare come il parere riporti principi ed elementi di letteratura e modellistica lasciando al Consiglio dei ministri le scelte». Tradotto: prima si prendeva la decisione, poi si trovava l’appiglio «scientifico».
L’audizione di Miozzo appare indubitabilmente sincera. L’esperto sottolinea il contesto emergenziale in cui agivano i commissari, mettendo in guardia dai «Soloni del senno di poi». Parla del Cts come punto di riferimento «mitologico», «di fatto chiamato a rispondere a qualsiasi tipo di richiesta e necessità» che «di sanitario avevano ben poco: la distanza tra i tavoli nei ristoranti, il numero di passeggeri all’interno di un autobus, la distanza tra i banchi di scuola». «Che ci azzeccavo io, medico esperto di emergenze internazionali, con la distanza degli ombrelloni al mare?», osserva. «Eppure dovevamo dare un’indicazione, che alla fine, in un modo o nell’altro, veniva fuori con l’intelligenza, con il buonsenso, con la lettura che di volta in volta si faceva del contesto nazionale e internazionale». Dato il vuoto decisionale, in buona sostanza, il Cts si è dovuto far carico di una serie di questioni lontane dalla sua competenza. E sbaglia, spiega Miozzo, chi ci ha visto un «generatore di norme, di leggi, di indirizzi e di potere decisionale, cosa che assolutamente non ha mai avuto»: «Quello che il Comitato elaborava come indicazioni tecnico-scientifiche era offerto al governo, che lo doveva tradurre in atti normativi». L’equivoco si verificò solo perché alcuni passaggi venivano copiati tali e quali nelle leggi.
Miozzo ribadisce a più riprese che il Cts forniva solo pareri sulla base di assunti scientifici necessariamente - visto il contesto - in divenire. La dinamica, però, appare chiaramente invertita: se un organo subisce pressioni politiche (fatto testimoniato sopra) e viene interpellato su questioni che esulano dalle proprie competenze, è perché esso viene usato per sottrarre decisioni politiche al dibattito democratico. Una strategia che non riguarda solo il Covid: in pandemia ha conosciuto il suo culmine, ma è iniziata ben prima e proseguita ben dopo: l’ideologia green ne è una dimostrazione plastica. E anche il prezzo di queste scelte scellerate, per usare le parole di Miozzo, lo abbiamo pagato e lo pagheremo ancora in futuro. Se si parla tanto di Covid, in fondo, è puramente per una questione di metodo.
Miozzo avanza almeno un’altra considerazione degna di nota quando spiega che il piano pandemico del 2006 era una «lettera morta negli archivi della nostra amministrazione». Nessuno lo conosceva, «non era mai stata fatta un’esercitazione e non era stato fatto l’acquisto di beni di pronto soccorso e di Dpi. Non c’era nulla». Una responsabilità che imputa ai ministri precedenti e non a Speranza. Ai fini del buon funzionamento della democrazia, è fondamentale stabilire le responsabilità: a tagliare i fondi alla sanità per un decennio, in nome di una presunta austerità espansiva richiesta dall’«Europa», sono stati governi sostenuti dalla sinistra che oggi bercia contro l’attuale esecutivo. Lo dicono i dati, lo raccontano le condizioni in cui ci siamo trovati ad affrontare la pandemia. Almeno e limitatamente all’impreparazione del piano pandemico, possiamo anche assolvere Speranza. Ma non possiamo assolvere il Partito democratico dall’aver ucciso la sanità italiana.
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A mettere nero su bianco qualche dato in grado di smontare le ultime illusioni sui vantaggi del motore a batteria, è l’Adiconsum che periodicamente fa un report sull’andamento delle tariffe di ricarica. Lo stato dell’infrastruttura è ancora carente. I punti di ricarica sono 70.272 di cui un 10% non è attivo. La maggioranza dei punti (53.000) è in corrente alternata (Ac) con potenza inferiore a 50 Kw mentre le ricariche ultra veloci sono meno di 5.000. Intraprendere un percorso in autostrada è da temerari: la copertura delle aree di servizio è ancora al 48% e ci sono solo 1.274 punti. Essere a secco di elettricità e beccare un paio di stazioni di servizio sprovviste di colonnine apre scenari da incubo. Quindi, nella pianificazione di un percorso, bisognerebbe anche avere contezza della distribuzione delle ricariche.
Ma veniamo ai costi. Il prezzo unico nazionale a novembre scorso era pari a 0,117 euro il Kwh, in aumento del 5% rispetto a ottobre 2025. I prezzi medi alla colonnina sono per la Ac (lenta e accelerata) di 0,63 euro al Kwh (in aumento di 1 centesimo rispetto a ottobre), per la veloce (Dc) di 0,75 euro /Kwh (+1 centesimo rispetto a ottobre) e per la ultra veloce (Hpc) di 0,76 euro/kwh (stazionario). Per le tariffe medie massime si arriva a 0,83 per ricariche Ac, 0,82 per la Dc e 1,01 per Hpc.
Il report di Adiconsum fa un confronto con i carburanti fossili e evidenza che la parità di costo con benzina e diesel si attesta mediamente tra 0,60 e 0,65 euro/kwh. Ma molte tariffe medie attuali, superano questa soglia di convenienza.
Inoltre esistono forti divergenze tra i prezzi minimi e massimi che nella ricarica ultra veloce possono arrivare fino a 1,01 euro /Kwh. L’associazione dei consumatori segnala tra le tariffe più convenienti per la Ac, Emobility (0,25 euro/Kwh) per la Dc, Evdc in roaming su Enel X Way (0,45 euro/Kwh) e per l’alta potenza, la Tesla Supercharger (0,32 euro/Kwh). La conclusione del report è che c’è un rincaro, anche se lieve delle ricariche più diffuse ovvero Ac e Dc e il consiglio dell’Adiconsum, è che a fronte dell’alta variabilità dei prezzi è fondamentale utilizzare le app dedicate per verificare quale operatore offre il prezzo più basso sulla singola colonnina.
Questo vuol dire che mentre all’estero, come ad esempio in Germania, si fa il pieno utilizzando semplicemente il bancomat o la carta di credito, come al self service dei distributori, in Italia bisogna scaricare una infinità di app, a seconda del fornitore o del gestore, con la complicazione delle informazioni di pagamento e della registrazione. Chi ha la ventura (o sventura) di aver scelto una full electric, deve fare la gimcana tra le varie app, studiando con la comparazione, la soluzione più vantaggiosa. Un bello stress.
Secondo i dati più recenti di Eurostat e Switcher.ie, mentre la media europea per un pieno si attesta intorno a 14 euro, in Italia la spesa media sale a circa 20,30 euro. Nel nostro Paese, come detto prima, la media di ricarica Ac è di 0,63 euro /Kwh, in Francia e Spagna si scende sotto gli 0,45-0,50 euro /Kwh. La ricarica ultra rapida che nelle nostre colonnine è di media 0,76 euro/Kwh con picchi sopra 1 euro, in Francia si mantiene mediamente intorno a 0,60 euro/Kwh. Il costo dell’energia all’ingrosso in Italia è tra i più alti d’Europa, inoltra l’Iva e le accise sull’energia elettrica ad uso di ricarica pubblica sono meno agevolate rispetto alla Francia dove l’Iva è al 5,5%. Inoltre l’Italia non prevede riduzioni degli oneri di sistema per le infrastrutture ad alta potenza.
C’è un altro elemento di divergenza tra l’Italia e il resto dell’Europa che non incentiva l’acquisto di un’auto elettrica, ed è la metodologia del pagamento. Il nostro Paese è il regno delle app e degli abbonamenti. La ricarica «spontanea» (senza registrazione) è rara e spesso molto costosa. In paesi come Olanda, Danimarca e Germania, il pieno è gestito più come un servizio di pubblica utilità «al volo». Con il regolamento europeo Afir, nel 2025 è diventato obbligatorio per le nuove colonnine fast permettere il pagamento con carta di credito/debito tramite Pos. In Nord Europa questa pratica è già la norma, riducendo la necessità di avere dieci app diverse sul telefono. Inoltre in Paesi tecnologicamente avanzati (Norvegia, Germania), è molto diffuso il sistema Plug & Charge: colleghi il cavo e l’auto comunica direttamente con la colonnina per il pagamento, senza bisogno di tessere o smartphone. In Italia, questa tecnologia è limitata quasi esclusivamente alla rete Tesla.
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