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2024-01-05
Altro pasticcio del Vaticano sulle benedizioni ai gay: «Durino solo 10-15 secondi»
Papa Francesco e il cardinale Victor Manuel «Tucho» Fernàndez (Ansa)
Benediteli. Ma solo per «pochi secondi». Sarebbe questo, stando all’ultima sintesi dell’ex Sant’Uffizio, il messaggio di Fiducia Supplicans sul sacramentale alle coppie irregolari. Sintesi per modo di dire: il comunicato stampa diffuso ieri dal Dicastero della fede è lungo quasi quanto la Dichiarazione originale. Bizzarro.
Dopo che i prelati di mezzo mondo si sono rivoltati contro il testo di monsignor Víctor Manuel Fernández, approvato dal Papa, il prefetto s’è reso conto che bisognava correre ai ripari. Ha provato a farlo con una nota, vergata insieme a monsignor Armando Matteo, segretario per la Sezione dottrinale, che servisse a «chiarire la ricezione» del documento, con cui è stata liberalizzata la benedizione delle unioni moralmente illecite, incluse quelle di due coniugi dello stesso sesso.
Da un lato, la mossa del porporato conferma che, in Vaticano, si sono accorti di aver fatto il passo più lungo della gamba. Il dissenso nei confronti di quel documento non è rimasto confinato alla fronda dei conservatori, né alle Conferenze episcopali dell’Est tradizionalista, dalla Polonia all’Ucraina. Il problema non riguarda esclusivamente il battage della «stampa di estrema destra», come sosteneva il Papa fino a pochi giorni fa. Devono aver suscitato preoccupazione soprattutto le prese di posizione del Sudamerica - dal Brasile al Perù - e dell’Africa. D’altro canto, la toppa messa ieri rischia di essere peggiore del buco. O del Tucho. La confusione, anziché essere dissipata, aumenta. E le precisazioni sull’applicazione delle nuove direttive dell’ex Sant’Uffizio presentano aspetti quasi grotteschi.
Cosa dice, dunque, il cardinale Fernández? Intanto, riconosce che i pronunciamenti dei vescovi sono «comprensibili» e ammette che, almeno in certi casi, può essere necessario «un periodo più lungo di riflessione pastorale» sulla Dichiarazione. In fondo, esiste il «discernimento» dei capi delle diocesi, «a seconda di contesti locali». Tutto tollerabile, conferma, a patto che le titubanze siano manifestate «con il dovuto rispetto per un testo firmato e approvato dallo stesso Sommo Pontefice». La stizza del prefetto argentino si taglia a fette. L’imbarazzo, tuttavia, resta: forse per la prima volta nella plurimillenaria storia della Chiesa, un organismo della Santa Sede che si occupa di dottrina è costretto a garantire che la sua tesi non è «eretica», né «blasfema». Un’allusione esplicita alle rimostranze di uno dei predecessori di Tucho, il cardinale Gerhard Müller.
Siccome quella sostenuta da Fiducia Supplicans è «la dottrina di sempre», giura il monsignore, l’opposizione delle Conferenze episcopali - e, aggiungiamo noi, di alcuni porporati creati dallo stesso Francesco, tipo Fridolin Ambongo Besungu - non può essere considerata «dottrinale». C’è da accordarsi solamente sulla «ricezione pratica» di queste «brevi e semplici benedizioni pastorali», distinte da quelle «liturgiche e ritualizzate». Ed è qui che si complica il groviglio.
Il numero uno dell’ex Sant’Uffizio tenta ancora di aggrapparsi al pretesto che aveva addotto, il 24 dicembre scorso, in un’intervista alla testata americana The Pillar: il continente nero borbotta? È perché in molte nazioni ci sono leggi anti gay e i religiosi non vogliono «esporre le persone omosessuali alla violenza». I poveri africani sono arretrati, tocca chiudere un occhio. È il fardello dell’uomo bianco?
Invero, soltanto il Gabon ha alluso alle norme discriminatorie imposte dalla giunta militare. La nota firmata da monsignor Ambongo, con la quale si chiedeva ai vescovi della regione di rilasciare un parere approfondito sulla Dichiarazione, prendeva di mira le «ambiguità» del testo, mentre rivendicava il ruolo dei presuli nel tutelare la «fede» e la «cultura dei popoli». La Conferenza episcopale del Kenya è stata vieppiù netta: ha accusato l’Occidente di avallare «nuovi modelli non cristiani di “unione coniugale”», ribadendo che, «nel nostro contesto africano, […] siamo molto chiari su cosa siano la famiglia e il matrimonio. La situazione sociale dei matrimoni omosessuali non trova accettazione nella nostra cultura».
Ma al di là delle scuse zoppicanti del cardinale Fernández, rimane il problema di capire davvero cosa siano le benedizioni della discordia: quasi nulla, viene da pensare, leggendo il comunicato stampa di ieri. Esse sarebbero «spontanee o pastorali», mai tali da configurare «una consacrazione della persona o della coppia che le riceve», da rappresentare «una giustificazione di tutte le sua azioni», o «una ratifica della vita che conduce». Retrocesse in serie B prima di essere amministrate.
Giusto al fine rimarcare il loro carattere subalterno e secondario, Tucho aggiunge poi dei dettagli che sarebbero comici, se non fossero sconcertanti: «Per distinguersi chiaramente dalle benedizioni liturgiche o ritualizzate», ricorda, citando Fiducia Supplicans, «le “benedizioni pastorali” debbono essere […] molto brevi». In che misura? «Si tratta di benedizioni di pochi secondi, senza Rituali e senza Benedizionale». Per l’esattezza, «10 o 15 secondi», purché l’atipica cerimonia non si compia «in un posto importante dell’edificio sacro o di fronte all’altare».
Così, la misericordiosa accoglienza pastorale si riduce a un gesto sbrigativo, fatto quasi di nascosto, in assenza di un rito, di una formula e di una qualsiasi approvazione delle unioni strette da quelle coppie. È una benedizione o un’umiliazione? Un aiuto ai fedeli o un contentino al clero arcobaleno?
Peraltro, come emerge dal caso ipotetico immaginato dal prefetto (due divorziati risposati che si rivolgono al prete: «Ci dia una benedizione, non riusciamo a trovare lavoro, lui è molto malato, non abbiamo una casa, la vita sta diventando molto pesante»), l’invocazione da rivolgere a Dio coinciderebbe con il proposito di spezzare il vincolo irregolare. «Liberali», dovrebbe recitare il sacerdote, «da tutto ciò che contraddice il tuo Vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà». Ma la volontà del Signore può forse coincidere con la pratica del concubinato?
Alla fine della fiera, il combinato tra fughe in avanti e precipitose retromarce rende ben poco attrattivi i novelli «canali pastorali» indicati dal Dicastero. Benedizioni di categoria inferiore, della durata di dieci secondi, compiute lontano da occhi indiscreti, per domandare, in effetti, di essere mondati dall’errore. Cioè, di rompere l’unione per la quale si voleva la benedizione. E, ovviamente, senza manco la possibilità di ottenere «una assoluzione», la quale presuppone che si fuoriesca dallo stato di peccato.
In un apparente barlume di consapevolezza del pasticcio teologico, Tucho osserva che, per comprendere bene Fiducia Supplicans, «sarà necessaria una catechesi». Toh. Si vede che parlare per «sì sì, no no», come ha ordinato Gesù Cristo, non era abbastanza pastorale.
Papa frenato dai bergogliani d’Africa
Dopo diverse resistenze all’applicazione della Dichiarazione Fiducia Supplicans, provenienti soprattutto dalle «periferie» africane, la massima autorità dottrinale della Chiesa ieri ha pubblicato un testo di oltre 13.000 caratteri per specificare ciò per cui aveva, invece, scritto che «non si debbono dunque aspettare altre risposte su eventuali modalità per normare dettagli o aspetti pratici riguardo a benedizioni di questo tipo» (FC, n°41).
Quindi, la nota di ieri firmata dal prefetto dell’ex Sant’Ufficio, cardinale Víctor «Tucho» Fernández, a suo modo è già un segno del fatto che qualcosa è andato storto, che la reazione africana soprattutto è stata mal digerita al di là del Tevere. D’altra parte il non placet delle conferenze episcopali di Ghana, Zambia, Malawi, Nigeria, Togo, Benin, Camerun, Zimbabwe, Ruanda, Angola, Mozambico, Sao Tomé e Gabon, non è un particolare periferico, ma appunto il grido delle «periferie», per usare una categoria cara al Pontefice. In Africa è apparso abbastanza evidente che le benedizioni gay non s’hanno da fare. Si sono pronunciati pure cardinali di nomina bergogliana: il congolese Fridolin Ambongo ha contestato le «ambiguità» del testo, mentre Jean Pierre Kutwa, vescovo in Costa d’Avorio, ha chiesto «a tutti i sacerdoti e i diaconi di sospendere ogni benedizione delle coppie in situazione irregolare o delle coppie dello stesso sesso, in attesa di nuove disposizioni».
Nel testo di ieri, senza mai nominare il continente nero, Fernández parla del «caso di alcune Conferenze episcopali» in cui Fiducia Supplicans «deve essere compreso nel proprio contesto. In diversi Paesi ci sono forti questioni culturali e perfino legali che richiedono tempo e strategie pastorali che vanno oltre il breve termine». Quindi ricorda che in queste realtà, ogni riferimento all’Africa non è puramente casuale, ci vuole sì prudenza, ma anche vi «è un compito pastorale grande e di largo respiro che include formazione, difesa della dignità umana, insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa e diverse strategie che non ammettono fretta». Peraltro, durante il sinodo sulla famiglia del 2014 vi fu il brutto scivolone del cardinale tedesco Walter Kasper, che si lasciò scappare che in fondo per gli africani l’omosessualità è un «tabù» e che su questo tema «non devono dirci troppo cosa dobbiamo fare». Si alzò un polverone, con accuse di razzismo nei confronti di Kasper, mentre il teologo tedesco ribadiva di essere stato frainteso. Sta di fatto che ora la «questione africana» si ripropone e la nota pubblicata ieri dice ai pastori africani che, fatto salvo il «discernimento di ogni vescovo diocesano con la sua diocesi», occorre «il dovuto rispetto per un testo firmato e approvato dallo stesso Sommo Pontefice, cercando in qualche modo di accogliere la riflessione in esso contenuta».
Un’altra risposta indiretta è spedita all’ex prefetto del Sant’Uffizio, cardinale Gerhard Müller, autore di un testo articolato che ha smontato Fiducia Supplicans, parlando addirittura di «blasfemia». Così Fernádez, nella prima parte della sua nota, quella dove ripete che «la dottrina non cambia» e che «il documento è chiaro e classico sul matrimonio e sulla sessualità», scrive che non c’è «lo spazio per prendere le distanze dottrinali da questa Dichiarazione o per considerarla eretica, contraria alla Tradizione della Chiesa o blasfema».
Ma le questioni sollevate da Müller non sono però solo dell’ex prefetto, visto che altri vescovi non africani hanno sollevato dubbi. Ci sono i vescovi ucraini, compresa la chiesa greco-cattolica guidata da monsignor Sviatoslav Shevchuk, i vescovi polacchi e ungheresi, il cardinale Daniel Sturla, arcivescovo di Montevideo (Uruguay), il vescovo di Bayonne in Francia, monsignor Marc Aillet, l’arcidiocesi di Astana in Kazakistan, il vescovo della diocesi brasiliana di Formosa, monsignor Adair José Guimaraes, confraternite del clero in Inghilterra, Stati Uniti e Australia, la Prelatura territoriale di di Moyobamba (Perù). Una litania di non applicabilità della Dichiarazione che manifesta una spaccatura che Fernández vuole chiudere in modo netto. Lo fa però dovendo estendersi in particolari come la velocità con cui deve realizzarsi la nuova benedizione pastorale («si tratta di 10 o 15 secondi», scrive Tucho).
Il prefetto sottolinea che questa benedizione «non è un matrimonio, ma non è neanche un’«approvazione» né la ratifica di qualcosa. È unicamente «la risposta di un pastore a due persone che chiedono l’aiuto di Dio». Lo aveva già scritto, ma se ora lo deve ribadire, forse non era così chiaro.
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Victor Manuel «Tucho» Fernàndez diffonde una lunga nota per «chiarire la ricezione» di «Fiducia Supplicans»: «Non è eretica: non approviamo o assolviamo le coppie irregolari». È un rito di serie B?Oltre ai presuli, in Africa persino i cardinali creati da Francesco hanno contestato la Dichiarazione. E non c’entra l’«arretratezza» sul tema dei diritti Lgbt.Lo speciale contiene due articoli.Benediteli. Ma solo per «pochi secondi». Sarebbe questo, stando all’ultima sintesi dell’ex Sant’Uffizio, il messaggio di Fiducia Supplicans sul sacramentale alle coppie irregolari. Sintesi per modo di dire: il comunicato stampa diffuso ieri dal Dicastero della fede è lungo quasi quanto la Dichiarazione originale. Bizzarro.Dopo che i prelati di mezzo mondo si sono rivoltati contro il testo di monsignor Víctor Manuel Fernández, approvato dal Papa, il prefetto s’è reso conto che bisognava correre ai ripari. Ha provato a farlo con una nota, vergata insieme a monsignor Armando Matteo, segretario per la Sezione dottrinale, che servisse a «chiarire la ricezione» del documento, con cui è stata liberalizzata la benedizione delle unioni moralmente illecite, incluse quelle di due coniugi dello stesso sesso.Da un lato, la mossa del porporato conferma che, in Vaticano, si sono accorti di aver fatto il passo più lungo della gamba. Il dissenso nei confronti di quel documento non è rimasto confinato alla fronda dei conservatori, né alle Conferenze episcopali dell’Est tradizionalista, dalla Polonia all’Ucraina. Il problema non riguarda esclusivamente il battage della «stampa di estrema destra», come sosteneva il Papa fino a pochi giorni fa. Devono aver suscitato preoccupazione soprattutto le prese di posizione del Sudamerica - dal Brasile al Perù - e dell’Africa. D’altro canto, la toppa messa ieri rischia di essere peggiore del buco. O del Tucho. La confusione, anziché essere dissipata, aumenta. E le precisazioni sull’applicazione delle nuove direttive dell’ex Sant’Uffizio presentano aspetti quasi grotteschi. Cosa dice, dunque, il cardinale Fernández? Intanto, riconosce che i pronunciamenti dei vescovi sono «comprensibili» e ammette che, almeno in certi casi, può essere necessario «un periodo più lungo di riflessione pastorale» sulla Dichiarazione. In fondo, esiste il «discernimento» dei capi delle diocesi, «a seconda di contesti locali». Tutto tollerabile, conferma, a patto che le titubanze siano manifestate «con il dovuto rispetto per un testo firmato e approvato dallo stesso Sommo Pontefice». La stizza del prefetto argentino si taglia a fette. L’imbarazzo, tuttavia, resta: forse per la prima volta nella plurimillenaria storia della Chiesa, un organismo della Santa Sede che si occupa di dottrina è costretto a garantire che la sua tesi non è «eretica», né «blasfema». Un’allusione esplicita alle rimostranze di uno dei predecessori di Tucho, il cardinale Gerhard Müller.Siccome quella sostenuta da Fiducia Supplicans è «la dottrina di sempre», giura il monsignore, l’opposizione delle Conferenze episcopali - e, aggiungiamo noi, di alcuni porporati creati dallo stesso Francesco, tipo Fridolin Ambongo Besungu - non può essere considerata «dottrinale». C’è da accordarsi solamente sulla «ricezione pratica» di queste «brevi e semplici benedizioni pastorali», distinte da quelle «liturgiche e ritualizzate». Ed è qui che si complica il groviglio.Il numero uno dell’ex Sant’Uffizio tenta ancora di aggrapparsi al pretesto che aveva addotto, il 24 dicembre scorso, in un’intervista alla testata americana The Pillar: il continente nero borbotta? È perché in molte nazioni ci sono leggi anti gay e i religiosi non vogliono «esporre le persone omosessuali alla violenza». I poveri africani sono arretrati, tocca chiudere un occhio. È il fardello dell’uomo bianco? Invero, soltanto il Gabon ha alluso alle norme discriminatorie imposte dalla giunta militare. La nota firmata da monsignor Ambongo, con la quale si chiedeva ai vescovi della regione di rilasciare un parere approfondito sulla Dichiarazione, prendeva di mira le «ambiguità» del testo, mentre rivendicava il ruolo dei presuli nel tutelare la «fede» e la «cultura dei popoli». La Conferenza episcopale del Kenya è stata vieppiù netta: ha accusato l’Occidente di avallare «nuovi modelli non cristiani di “unione coniugale”», ribadendo che, «nel nostro contesto africano, […] siamo molto chiari su cosa siano la famiglia e il matrimonio. La situazione sociale dei matrimoni omosessuali non trova accettazione nella nostra cultura».Ma al di là delle scuse zoppicanti del cardinale Fernández, rimane il problema di capire davvero cosa siano le benedizioni della discordia: quasi nulla, viene da pensare, leggendo il comunicato stampa di ieri. Esse sarebbero «spontanee o pastorali», mai tali da configurare «una consacrazione della persona o della coppia che le riceve», da rappresentare «una giustificazione di tutte le sua azioni», o «una ratifica della vita che conduce». Retrocesse in serie B prima di essere amministrate. Giusto al fine rimarcare il loro carattere subalterno e secondario, Tucho aggiunge poi dei dettagli che sarebbero comici, se non fossero sconcertanti: «Per distinguersi chiaramente dalle benedizioni liturgiche o ritualizzate», ricorda, citando Fiducia Supplicans, «le “benedizioni pastorali” debbono essere […] molto brevi». In che misura? «Si tratta di benedizioni di pochi secondi, senza Rituali e senza Benedizionale». Per l’esattezza, «10 o 15 secondi», purché l’atipica cerimonia non si compia «in un posto importante dell’edificio sacro o di fronte all’altare».Così, la misericordiosa accoglienza pastorale si riduce a un gesto sbrigativo, fatto quasi di nascosto, in assenza di un rito, di una formula e di una qualsiasi approvazione delle unioni strette da quelle coppie. È una benedizione o un’umiliazione? Un aiuto ai fedeli o un contentino al clero arcobaleno?Peraltro, come emerge dal caso ipotetico immaginato dal prefetto (due divorziati risposati che si rivolgono al prete: «Ci dia una benedizione, non riusciamo a trovare lavoro, lui è molto malato, non abbiamo una casa, la vita sta diventando molto pesante»), l’invocazione da rivolgere a Dio coinciderebbe con il proposito di spezzare il vincolo irregolare. «Liberali», dovrebbe recitare il sacerdote, «da tutto ciò che contraddice il tuo Vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà». Ma la volontà del Signore può forse coincidere con la pratica del concubinato?Alla fine della fiera, il combinato tra fughe in avanti e precipitose retromarce rende ben poco attrattivi i novelli «canali pastorali» indicati dal Dicastero. Benedizioni di categoria inferiore, della durata di dieci secondi, compiute lontano da occhi indiscreti, per domandare, in effetti, di essere mondati dall’errore. Cioè, di rompere l’unione per la quale si voleva la benedizione. E, ovviamente, senza manco la possibilità di ottenere «una assoluzione», la quale presuppone che si fuoriesca dallo stato di peccato.In un apparente barlume di consapevolezza del pasticcio teologico, Tucho osserva che, per comprendere bene Fiducia Supplicans, «sarà necessaria una catechesi». Toh. 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Quindi, la nota di ieri firmata dal prefetto dell’ex Sant’Ufficio, cardinale Víctor «Tucho» Fernández, a suo modo è già un segno del fatto che qualcosa è andato storto, che la reazione africana soprattutto è stata mal digerita al di là del Tevere. D’altra parte il non placet delle conferenze episcopali di Ghana, Zambia, Malawi, Nigeria, Togo, Benin, Camerun, Zimbabwe, Ruanda, Angola, Mozambico, Sao Tomé e Gabon, non è un particolare periferico, ma appunto il grido delle «periferie», per usare una categoria cara al Pontefice. In Africa è apparso abbastanza evidente che le benedizioni gay non s’hanno da fare. Si sono pronunciati pure cardinali di nomina bergogliana: il congolese Fridolin Ambongo ha contestato le «ambiguità» del testo, mentre Jean Pierre Kutwa, vescovo in Costa d’Avorio, ha chiesto «a tutti i sacerdoti e i diaconi di sospendere ogni benedizione delle coppie in situazione irregolare o delle coppie dello stesso sesso, in attesa di nuove disposizioni». Nel testo di ieri, senza mai nominare il continente nero, Fernández parla del «caso di alcune Conferenze episcopali» in cui Fiducia Supplicans «deve essere compreso nel proprio contesto. In diversi Paesi ci sono forti questioni culturali e perfino legali che richiedono tempo e strategie pastorali che vanno oltre il breve termine». Quindi ricorda che in queste realtà, ogni riferimento all’Africa non è puramente casuale, ci vuole sì prudenza, ma anche vi «è un compito pastorale grande e di largo respiro che include formazione, difesa della dignità umana, insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa e diverse strategie che non ammettono fretta». Peraltro, durante il sinodo sulla famiglia del 2014 vi fu il brutto scivolone del cardinale tedesco Walter Kasper, che si lasciò scappare che in fondo per gli africani l’omosessualità è un «tabù» e che su questo tema «non devono dirci troppo cosa dobbiamo fare». Si alzò un polverone, con accuse di razzismo nei confronti di Kasper, mentre il teologo tedesco ribadiva di essere stato frainteso. Sta di fatto che ora la «questione africana» si ripropone e la nota pubblicata ieri dice ai pastori africani che, fatto salvo il «discernimento di ogni vescovo diocesano con la sua diocesi», occorre «il dovuto rispetto per un testo firmato e approvato dallo stesso Sommo Pontefice, cercando in qualche modo di accogliere la riflessione in esso contenuta». Un’altra risposta indiretta è spedita all’ex prefetto del Sant’Uffizio, cardinale Gerhard Müller, autore di un testo articolato che ha smontato Fiducia Supplicans, parlando addirittura di «blasfemia». Così Fernádez, nella prima parte della sua nota, quella dove ripete che «la dottrina non cambia» e che «il documento è chiaro e classico sul matrimonio e sulla sessualità», scrive che non c’è «lo spazio per prendere le distanze dottrinali da questa Dichiarazione o per considerarla eretica, contraria alla Tradizione della Chiesa o blasfema». Ma le questioni sollevate da Müller non sono però solo dell’ex prefetto, visto che altri vescovi non africani hanno sollevato dubbi. Ci sono i vescovi ucraini, compresa la chiesa greco-cattolica guidata da monsignor Sviatoslav Shevchuk, i vescovi polacchi e ungheresi, il cardinale Daniel Sturla, arcivescovo di Montevideo (Uruguay), il vescovo di Bayonne in Francia, monsignor Marc Aillet, l’arcidiocesi di Astana in Kazakistan, il vescovo della diocesi brasiliana di Formosa, monsignor Adair José Guimaraes, confraternite del clero in Inghilterra, Stati Uniti e Australia, la Prelatura territoriale di di Moyobamba (Perù). Una litania di non applicabilità della Dichiarazione che manifesta una spaccatura che Fernández vuole chiudere in modo netto. Lo fa però dovendo estendersi in particolari come la velocità con cui deve realizzarsi la nuova benedizione pastorale («si tratta di 10 o 15 secondi», scrive Tucho). Il prefetto sottolinea che questa benedizione «non è un matrimonio, ma non è neanche un’«approvazione» né la ratifica di qualcosa. È unicamente «la risposta di un pastore a due persone che chiedono l’aiuto di Dio». Lo aveva già scritto, ma se ora lo deve ribadire, forse non era così chiaro.
Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il professor Lorenzo Castellani, ricercatore e docente di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss di Roma, nonché autore di Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere (2024), su X sintetizza così: «Checco Zalone ha spianato i petulanti stand up comedian (quasi tutti «impegnati» a sinistra); Corona sfida i media tradizionali con un linguaggio da uomo qualunque e fa decine di milioni di visualizzazioni; la Zanzara riempie i teatri ed è la trasmissione più ascoltata del Paese. Si è detto per anni che la sinistra sia egemone nell’alta cultura (vero, diciamo, all’80%), ma la «non-sinistra» (non la chiamerei semplicemente destra) ha interamente in mano la cultura e il linguaggio popolare».
Professor Castellani, quindi vorrebbe dirci che la cultura non è più solo ad appannaggio della sinistra?
«Se guardiamo alle istituzioni della cultura ovvero ai luoghi ufficiali della stessa è sempre la sinistra a primeggiare. Ma se guardiamo alla cultura in senso ampio, allora cambia tutto. L’alta cultura è predominante nelle istituzioni ufficiali della sinistra ma in altri ambiti l’ideologia di sinistra viene sconfitta da altre manifestazioni culturali che incontrano di più i gusti del Paese».
Si riferisce a Zalone?
«Certo, anche. Zalone è sempre stato apolitico, non ha mai ceduto al politicamente corretto. Fa un cinema che fa riflettere e non vuole indottrinare nessuno, non fa moralismi a senso unico come capita ad altri tipi di comicità di sinistra».
Sanremo è di destra o di sinistra? A volte legare la politica a certe forme di spettacolo non fa scadere nel ridicolo?
«Anche a Sanremo non c’è più una forma di piena differenziazione tra alta cultura e cultura nazionale popolare. A me piace parlare di cultura in senso ampio, non solo di alta cultura, la “Kultur alla tedesca”, che permea nel popolo e permette riflessioni ampie».
Di che tipo?
«Sembra sempre ci sia questa contrapposizione tra il mondo dell’alta cultura, cinema, teatri, fondazioni, fiere del libro, case editrici, think tank nelle università, dove c’è oggettivamente sempre il predominio della sinistra, del mondo progressista, nelle sue varie sfaccettature, e grandi fenomeni di cultura di massa dove prevale l’esatto contrario rispetto all’etica progressista e a quell’atteggiamento pedagogico-educativo e moralistico che il mondo di sinistra tende ad avere nei confronti del popolo. L’idea di fondo della sinistra è stata sempre quella che bisogna civilizzare gli italiani e portarli con la mano come bimbi verso comportamenti più virtuosi».
Ma oggi non è più così. Ci sono vari altri casi giusto?
«Esatto, abbiamo un Fabrizio Corona che su YouTube, con un linguaggio molto politicamente scorretto, attacca il potere in tutte le sue forme e ha un successo enorme. Lo fa in maniera qualunquistica ma è questo che piace alla gente. Si occupa di questioni di cultura di massa, fenomeni che riguardano il crime, il trash, che non rientrano certamente nell’alta cultura ma che creano fenomeni di massa che hanno più visibilità e rilevanza di certi argomenti che trattano tv o giornali».
E non è il solo.
«La Zanzara, che adesso riempie anche i teatri e che offre un interessante esperimento sociale. Cruciani e Parenzo sostengono tutto il contrario del catechismo del politicamente corretto, sicuramente molto al di fuori dei perimetri della cultura ufficiale di sinistra. Ma per questo funziona ed è un fenomeno molto partecipato».
Anche dalla sinistra stessa presumo.
«Certo. Io ci sono andato ed è pieno di studenti della mia università, dirigenti d’azienda, professori, è un fenomeno trasversale che ha conquistato pezzi della classe dirigente».
Insomma, la presunta alta cultura della sinistra è in crisi perché risulta noiosa al grande pubblico?
«Sicuramente la cultura in senso ampio arriva di più alla gente».
Un po’ come in politica?
«Certi politici usano linguaggi più semplici e diretti e vengono capiti più facilmente. È quello che succedeva a Grillo e oggi alla Meloni. Ci sono fenomeni di massa che vengono seguiti da milioni persone e che rigettano l’idea che ci sia una rigida morale comportamentale linguistica da seguire che invece appartiene alla sinistra».
Anche nella musica?
«Certo, le canzoni che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelle vicine al genere trap, che parlano di consumismo, esaltano il machismo, usano linguaggi volgari e una completa assenza di morale, nulla a che fare con il mondo progressista. Però quelle canzoni arrivano e funzionano. Tanto è vero che anche Sorrentino nel suo ultimo film ha dato un ruolo centrale a Gue Pequeno e alle sue canzoni che fa cantare anche a Servillo».
Quindi la cultura appartenuta da sempre alla sinistra è in caduta perché non arriva più alla gente comune?
«Non credo che la destra debba sfidare la sinistra sull’alta cultura. Però penso che siano in atto nella cultura popolare di massa delle forme di anti-progressismo e anarchismo, dei movimenti spontanei che sono in contrasto con l’alta cultura principalmente di sinistra e che vengono maggiormente capiti dalla gente e da qui il loro enorme successo. C’è questo contrasto tra cultura ufficiale e quella di massa nazional popolare; due mondi che sembrano non parlarsi.
Per la sinistra è come un boomerang?
«In effetti il tentativo di indottrinare della sinistra ha prodotto una reazione ancor più forte nella destra. Più la sinistra ha cercato di catechizzare la gente, più questi fenomeni sono cresciuti. La regola di doversi comportare in un certo modo, oggi è più fallita che mai».
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Ignazio La Russa (Ansa)
È appena il caso di ricordare che La Russa nel 1971, ovvero la bellezza di 54 anni fa, era già responsabile a Milano del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno», dice La Russa nel video, «la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini, che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l'Italia fascista, non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire. Accettarono il sistema democratico e fondarono un partito, il Movimento sociale italiano, che guardava al futuro. I fondatori ebbero come parola d'ordine un motto che posso riassumere brevemente: dissero non rinnegare, cioè non rinnegavano il loro passato, ma anche non restaurare, cioè non tornare indietro. Non volevano ripetere quello che era stato, volevano un'Italia che marciasse verso il futuro».
«Quello che è importante ricordare oggi», aggiunge ancora La Russa, «è che allora, 26 dicembre 1946, scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso. Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella di ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Un modo come un altro per far felici gli elettori di Fdi che sono rimasti fedeli al partito da sempre, e che magari non si ritrovano pienamente nel nuovo corso della destra italiana, soprattutto in politica estera, ma anche su alcuni aspetti della strategia economica e sociale del governo. Per garantire una buona presenza sui media del messaggio nostalgico di La Russa, occorreva però qualche attacco da sinistra, che è subito caduta nella trappola: «Assurdo. Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa», attacca il deputato del Pd Stefano Vaccari, «rivendica la nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano. Addirittura il senatore La Russa parla di continuità di quella storia evocando la fiamma tricolore, simbolo ben evidente nel logo di Fratelli d'Italia, il suo partito. Sapevamo delle difficoltà del presidente La Russa a fare i conti con il suo passato, visti i busti di Mussolini ben visibili nella sua casa, ma che arrivasse ad una sfrontatezza simile non era immaginabile». Sulla stessa lunghezza d’onda altri parlamentari dem come Federico Fornaro, Irene Manzi e Andrea De Maria, il deputato di Avs Filiberto Zaratti. Missione compiuta: La Russa è riuscito nel suo intento di riscaldare (con la fiamma) il cuore dei vecchi militanti missini, e di trascinare la sinistra nell’ennesima polemica completamente a vuoto.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
Non hanno alternative Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, se non quella di passare al contrattacco visto che, giorno dopo giorno, sembrano scivolare sempre di più nella morsa dei giudici, dei periti e degli operatori della salute mentale. Oltre alle valutazioni sui minori da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare eventuali carenze, sono sotto esame le «capacità genitoriali» dei coniugi ma anche le loro propensioni «negoziali», troppo limitate secondo i servizi, e persino la loro personalità ritenuta «troppo rigida».
Non solo. Sebbene la famiglia abbia detto sì alle richieste del tribunale per spostarsi in una casa più adeguata, completare i cicli vaccinali, ricevere una maestra a domicilio per il percorso di home schooling, cercando dunque una mediazione tra la propria filosofia educativa e le richieste dello Stato, gli sforzi non sono bastati. E l’asticella è salita sempre più in alto. Quindi non rimane che provare a smontare le accuse. E così, dopo che lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza, il giorno prima di Natale, i legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno deciso di controbattere ad alcuni dei punti dirimenti per i giudici.
Uno su tutti il rifiuto del sondino naso-gastrico nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale nel settembre 2024, verosimilmente per via del materiale plastico. Un episodio significativo per i giudici in quanto «denoterebbe l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali». Per tutta risposta, gli avvocati hanno allegato alcune foto dei bambini mentre mangiano un gelato utilizzando cucchiaini di plastica, dunque smentendo l’iniziale resistenza da parte della madre nei confronti di certi oggetti. In altre immagini i piccoli giocano nel centro commerciale e sono al parco in compagnia di alcuni coetanei. Anche qui scene di «normalità» per smontare il ritratto apposto dai giudici alla famiglia, descritta come un gruppo di eremiti avulsi dai contesti sociali.
In un altro scatto si lavano le mani nel bagno di un locale pubblico. L’ennesima immagine che sconfesserebbe il teorema dei servizi secondo cui i piccoli Trevallion avrebbero paura della doccia e rifiuterebbero di lavarsi.
Nell’istanza i legali rispondono anche alle accuse rivolte contro la madre australiana, descritta come incline allo scontro con gli operatori. Secondo i legali, alla base del giudizio negativo dei servizi sociali vi sarebbe frizioni con l’assistente sociale che avrebbe interpretato come oppositivi alcuni suoi comportamenti. In particolare l’abitudine di svegliare i bambini la mattina prima dell’orario prestabilito. Un’accusa respinta con forza dalla madre che dice di passare solo a controllarli. Qualora dormano, spiega, si reca in cucina per preparare il porridge, per restituire ai figli un’atmosfera di casa. A quanto pare, peraltro, il più delle volte i fratellini sono già svegli perché non dormono bene.
Come rivelato da Il Centro, in alcuni messaggi inviati agli amici, la madre si dice preoccupata perché hanno delle ferite alle mani, in particolare la più grande. «Si mordono di continuo, è segno di un’ansia profonda», scrive.
Nel frattempo, in vista dei test psicologici, i legali hanno nominato come consulenti di parte la psicologa Martina Aiello e lo psichiatra Tonino Cantelmi, cattolico militante e professore associato all’Università Gregoriana che nel 2020 era stato individuato da papa Francesco come «membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale». Per il suo curriculum, oltre a sostenere la coppia nelle valutazioni psicologiche disposte dal tribunale, potrebbe accompagnarla nell’assunzione di una posizione meno radicale. Per i test, però, ci vorranno almeno 120 giorni. Altri quattro mesi in cui i piccoli dovranno stare nella casa famiglia.
Uno scenario di fronte al quale uno dei commenti più duri arriva dal vicepremier Matteo Salvini: «Non avrò pace fino a che non troveremo il modo legale di riportare a casa quei bimbi. Oggi 16.000 famiglie italiane hanno scelto l’home-schooling, che facciamo, li portiamo via tutti perché qualcuno ritiene che i bambini siano dello Stato? È orribile e sovietico. Non socializzavano o potevano diventare dei bulli? Chi dice queste cose vada sulle metro o in certe periferie e faccia due chiacchiere con i tredicenni armati di coltello che fanno stupri di gruppo: magari hanno avuto tanta socialità, però non hanno mai incontrato un assistente sociale».
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