2019-04-21
Benedetto XVI è ancora il bersaglio di chi disprezza la dottrina cattolica
L'ex priore di Bose Enzo Bianchi dà del meschino a Ratzinger. La sua colpa? Aver sempre detto che la salvezza viene da Cristo.Tra le righe degli «appunti» di papa Benedetto XVI a proposito della crisi degli abusi e della fede, pubblicati una decina di giorni fa, si parlava del dissenso di molti teologi e pastori che dagli anni Sessanta si è manifestato nei confronti del magistero ecclesiale circa la dottrina morale. Il professor Ratzinger è sempre stato un bersaglio per i tanti promotori della nouvelle vague teologico-pastorale, così come lo è stato nei suoi 25 anni da prefetto dell'ex Sant'Uffizio e poi da Pontefice. Dopo la pubblicazione degli «appunti», un gruppo di teologi morali tedeschi gli ha recapitato un accademico biglietto in cui si dice, tra l'altro, che Ratzinger ha un modo di presentare la faccenda che «non attesta un adeguato tenore intellettuale». Ieri l'ex priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, sulle colonne di Repubblica, pur non nominandolo mai, ha fornito un esempio ulteriore di quanto il pensiero del Papa emerito venga ritenuto da scavalcare, fosse anche magistero della chiesa. Bianchi ha magnificato un libro, Il mio caso non è chiuso (Emi), del vaticanista americano Gerard O'Connel (quello che recentemente ha pubblicato tutti i presunti segreti del conclave che ha eletto Francesco), un testo che vorrebbe fare giustizia sulla vicenda del gesuita belga Jaques Dupuis (1923-2004). Ebbene, Bianchi scrive che nel libro di O'Connel c'è traccia della «luminosa apertura su un futuro più grande delle meschinità di chi ha voluto mortificare una mente lucida e libera», come quella di Dupuis. Il riferimento è vago, però è ragionevole pensare che il promotore e autore di tali «meschinità» sia Joseph Ratzinger. Peccato che non lo abbia scritto papale papale, perché «l'eccellente» articolo di Enzo Bianchi, ha twittato il teologo «cattolico» Vito Mancuso, «per avere la lode manca solo il nome del colpevole delle persecuzioni di cui fu oggetto padre Dupuis».La «persecuzione» è semplice, l'opera di Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Brescia, 1997) è stata riprovata con una assertiva notificazione dalla congregazione per la Dottrina della fede nel 2001, quando appunto Ratzinger era prefetto. Per «ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di grande rilevanza, che possono condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose». Peraltro, Enzo Bianchi precisa che per pubblicare questa intervista - il gesuita belga è morto quindici anni fa - si è dovuto attendere «che il clima ecclesiale mutasse grazie al pontificato di Francesco, primo Papa gesuita, ma anche pastore attento alle nuove frontiere dell'annuncio evangelico». Quindi i Papi precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, non erano forse sufficientemente attenti perché troppo «meschini»? Non sappiamo precisamente cosa ne pensi Bianchi, gli riconosciamo però una certa coerenza visto che fu il primo a incensare il libro di Dupuis che si rivelerà poi eterodosso secondo la Dottrina della fede. Lo fece entusiasticamente su Avvenire il 22 novembre 1997. Per amor di cronaca la notificazione firmata da Ratzinger sul libro di Dupuis esplicita senza troppe ambiguità che nel libro vi sono diverse tesi «contrarie alla fede cattolica» e altre «erronee». Il nodo del contendere riguardava la salvezza eterna e il rapporto della Chiesa cattolica con le altre religioni. In poche parole Dupuis si incamminava verso un pluralismo religioso dal sapore sincretistico in cui ogni via, ogni religione, sarebbe semplicemente parallela e sullo stesso piano di quella offerta da Cristo nella Chiesa cattolica. Una questione di chiara rilevanza per un fedele, ma anche per qualsiasi onesto cercatore di senso. Se una religione vale l'altra, se tutto è popolo di Dio, perché si dovrebbe portare il Vangelo e il battesimo fino ai confini della terra? Ci sono tutti gli elementi per aprire una indagine della Dottrina della fede, cosa che puntualmente avvenne e che portò ai risultati di cui sopra. Inequivocabili. Invece, no per Enzo Bianchi e altri quel procedimento non avrebbe mai dovuto aprirsi e appare non «rispettoso dei diritti e della dignità dell'autore». Cosa avrebbe dovuto fare la congregazione secondo Bianchi? Forse abbracciare quelle tesi? La domanda è lecita visto che proprio in quei giorni, precisamente il 6 agosto 2000, Joseph Ratzinger firmò la Dichiarazione Dominus Iesus, circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, a cui venne riservato un fuoco di fila di polemiche infinito. La protesta fu virulenta, anche in casa cattolica. Ma cosa aveva ribadito la Dominus Iesus? In sintesi estrema dice che un sincero dialogo con le altre religioni non può dimenticare che non c'è paragone fra la verità insegnata dal figlio di Dio incarnato e i semi di verità sparsi qua e là nelle varie credenze presenti nel mondo. Ribadisce quindi la mediazione salvifica universale della Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa di Cristo.Cosa ci sia di male non è dato sapersi. Sono forse queste le «meschinità» di cui parla Enzo Bianchi rispetto al pensiero luminoso di Dupuis? Se lo fossero allora si potrebbe anche dire a chi non è d'accordo di accomodarsi in altri cammini religiosi, nella logica di quel sano pluralismo. Certo, come disse il cardinale Giacomo Biffi nel 2001, «non era mai capitato - in venti secoli di cristianesimo - che si sentisse il bisogno di ricordare ai discepoli di Gesù una verità così elementare e primaria come questa: il figlio di Dio fatto uomo, morto per noi e risorto, è l'unico necessario salvatore di tutti. Evidentemente si è temuto che di questi tempi Gesù Cristo potesse diventare l'illustre vittima del dialogo interreligioso».
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