2021-06-01
«La scienza trasformata in dogma e la paura in strumento di tirannia»
Ermanno Bencivenga (L.Cendamo/Getty Images)
Ermanno Bencivenga, filosofo italiano tra i più famosi al mondo, ha dovuto pubblicare il suo libro sul Covid per un piccolo editore: «Hanno deciso che le critiche non dovessero avere spazio. Gli italiani rinchiusi? Sono i nuovi oppressi».Ermanno Bencivenga è uno dei filosofi italiani più conosciuti e stimati nel mondo. Insegna all'università della California a Irvine e ha pubblicato numerosi libri con i principali editori italiani (Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, Bollati Boringhieri, Garzanti, Laterza...). Eppure il suo nuovo libro è in uscita per un piccolo - ma molto coraggioso - editore di nome Gingko. Il motivo è semplice, e Bencivenga lo spiega all'inizio di questo testo denso e profondo intitolato La grande paura. Il manoscritto fu proposto a molti editori, ma solo Angelo Paratico di Gingko ha avuto il fegato di pubblicarlo. E ha fatto benissimo, perché il contenuto del libro è esplosivo. Da studioso autorevole e da uomo certo non identificabile come «pericoloso sovranista» (tutto il contrario, come capirete dall'intervista), Bencivenga le canta chiare: «Io credo che il Covid-19 sia una brutta influenza, che ha fatto molte vittime come era successo ad altre influenze in passato (quando ero bambino ci fu l'asiatica, che, sebbene soggetta a conteggi meno ossessivi, ebbe effetti simili)», scrive. «Credo che, nella sua primissima fase, sia stata poco capita e per questo motivo sia stata più letale; ma credo che quel che è successo dopo sia stato causato da scelte politiche arroganti e dissennate». Il professore prosegue: «La presa di posizione ministeriale contro le autopsie; la testarda quanto ingiustificata insistenza su un protocollo di vigile attesa, a tutto sfavore di (efficaci) cure precoci e domiciliari; infine la propaganda a tappeto per “vaccini" che tali non sono, ma sono invece terapie geniche sperimentali, approntate in fretta e furia in violazione di ogni parametro di ricerca scientifica e destinate a risultare un rimedio peggiore del male. Da cittadino, spero che prima o poi ci si rivalga sui responsabili di questo macello; spero che chi li ha applauditi in corso d'opera abbia occasione di vergognarsi». Bencivenga è forse diventato improvvisamente un folle «negazionista»? Nel libro c'è la risposta. «Un'altra turpe battuta ha circolato in questo periodo: che chiunque contrastasse le misure liberticide del governo fosse un “negazionista"», scrive l'autore. «Turpe perché equiparava a bella posta gli avversari agli autentici negazionisti, per cui il termine era stato coniato: gli individui abietti che negano l'esistenza dei lager nazisti. Al di là dell'ovvio, iperbolico scarto di proporzioni, lo stesso uso del verbo “negare" è scorretto e tendenzioso. Non escludo che qualcuno abbia creduto, forse ancora creda, che il virus non esista; ma si tratterebbe al massimo di un'esigua, insignificante minoranza. Per il resto, nessuno nega che abbiamo a che fare con un grave morbo. Ma, anche se il morbo fosse più grave, la politica non può fermarsi per questo: deve comunque essere aperto un tavolo dove gli interessi di chi vuole curare e debellare il morbo si confrontino con quelli di tutti gli altri». Cristallino. Professore, perché la sua posizione critica non ha trovato tanto spazio sui media? Eppure lei è un filosofo di fama mondiale.«La ringrazio per la generosa descrizione, non solo per il “di fama mondiale" ma anche per il “filosofo". Io mi sono guadagnato da vivere insegnando e ho avuto la fortuna di farlo in vari Paesi e di trovare editori e un pubblico per esporre le mie idee. In questo caso non credo che lo spazio mi sia stato negato per ragioni personali, ma perché si era deciso che certe posizioni non andavano rappresentate, che a certe critiche non si doveva prestare ascolto. Per principio non credo ai complotti: le persone che dovrebbero organizzarli sono, a mio parere, troppo stupide per muoversi con tanta astuzia e preveggenza. Come ho spiegato nel mio libro La stupidità del male, credo siano mosse dalle solite squallide motivazioni: avidità e sete di potere. Chi pensa ai complotti ha visto troppi film di James Bond. Come chi si è lasciato impressionare dalla pandemia ha visto troppi film catastrofisti».Che uso è stato fatto della scienza durante questi mesi di emergenza? «La scienza è la più straordinaria avventura in cui gli esseri umani si siano da sempre impegnati: l'animale razionale deve tentare di farsi una ragione di ciò che esiste, sé stesso incluso. Ma è un'avventura, appunto: come cavalieri erranti, gli scienziati percorrono il territorio della nostra esperienza, scoprendo a volte tesori e a volte mulini a vento che scambiano per giganti. L'errore come sbaglio, conseguenza dell'errare come vagabondaggio, è parte integrante e ineliminabile dell'attività scientifica: nel mio I passi falsi della scienza, di vent'anni fa, ho illustrato vari casi in cui teorie scientifiche un tempo dominanti sono state poi contraddette e respinte. Un vero scienziato, dunque, si muove con umiltà e con cautela, consapevole dei rischi cui va incontro, degli errori passati e dei probabili errori futuri. In questo tragico (ma anche, sotto aspetti come quello che sto descrivendo adesso, involontariamente ridicolo) periodo abbiamo visto tetri burocrati trasformare la scienza da un'avventura in un dogma, pronunciare verdetti inappellabili, delegittimare e schernire chiunque la pensasse diversamente. A chi sappia qualcosa di scienza era chiaro che, quali che fossero i loro meriti professionali, di scienza non capivano niente. Purtroppo, un atteggiamento simile può avere ricadute devastanti. Nel libro cito una battuta di Charles Davenport, figura di spicco dell'eugenetica americana, una “scienza" molto quotata un secolo fa, rivolta ai suoi critici: “Non si fanno discussioni sulle tabelline; non si contestano i dati quantitativi di una scienza". Fidandosi di battute del genere, il parlamento americano emise leggi che imponevano limiti drastici all'emigrazione dal Sud e dall'Est Europa; come risultato, gli oltre 220.000 italiani che erano entrati nel Paese nel 1921 furono ridotti a poco più di 2.000 nel 1925».Perché secondo lei gli italiani, e non solo loro, si sono sottoposti senza troppe proteste alle restrizioni e alla retorica emergenziale?«La risposta va cercata nella paura, che ha un carattere infantile. La persona spaventata, come un bambino che fa i capricci, non ragiona, non ascolta opinioni alternative, non accetta ritardi o esitazioni, se per caso qualcuno fa resistenza si divincola e strilla. Quindi buona parte di quel che ha agito (e fatto danni) in questo periodo è stato un uso sistematico e martellante di messaggi che miravano a spaventare la gente. Il che ha portato a fruizione una generale tattica di rimbambimento in atto da almeno trent'anni: dall'inizio in Italia della televisione commerciale. Quelli che io guardavo da ragazzo in televisione erano programmi per adulti, che mi educavano a pensieri e sentimenti adulti; anche il varietà aveva una dimensione più che dignitosa. Quel che si è visto negli ultimi decenni, in televisione e poi sulle piattaforme della Rete, ha “educato" a un perpetuo infantilismo: a reazioni subitanee, disarticolate, non ragionate. Quando è arrivato il momento, a questi bambini di ogni età non è stato difficile fare una grande paura».Quali sono secondo lei i più sbagliati tra i dogmi pandemici?«L'aspetto più disastroso della pandemia, e quello che occupa maggiore spazio nel mio libro, è stato la sospensione della politica, intesa come confronto tra diversi (gruppi, interessi, valori, progetti), e l'affermazione incontrastata, quindi per sua stessa natura tirannica, di un'unica istanza: la sopravvivenza, la nuda vita. Me ne sono accorto immediatamente, e immediatamente ho lanciato l'allarme, in un'intervista che (dopo svariati tentativi andati a vuoto) uscì nell'aprile 2020. In un Paese democratico non si dovrebbe mai accettare questa tirannia, neanche provvisoriamente: dovrebbe sempre essere aperto e funzionante un tavolo al quale vengano discussi, con pieno rispetto reciproco, gli interessi e i valori di tutti. Nel caso che ci riguarda, gli interessi e i valori dei piccoli commercianti e imprenditori che sono andati in rovina; dei giovani cui è stata negata la giovinezza, dei bambini cui è stato negato il gioco e degli studenti cui è stata negata la scuola; degli anziani condannati alla solitudine, in vita e in morte; degli uomini e delle donne del teatro, della musica e della danza che non hanno potuto recitare, suonare o danzare per un pubblico (e dei pubblici che non li hanno potuti ammirare); dei lavoratori e frequentatori di musei, biblioteche, palestre, centri di yoga e altri luoghi di cultura, del corpo e dello spirito; e in generale di tutti i cittadini che soffrono, e talvolta si suicidano, perché sono confinati agli arresti domiciliari, inibiti nel vedere e abbracciare amici e familiari, orfani di una stretta di mano, di un abbraccio, di una serata in allegria. Chi si permetta di scrollare le spalle di fronte a questi nuovi oppressi, chi magari ne stigmatizzi alcuni perché vogliono “solo divertirsi", dimostra di rifiutare la politica e di avere quella che Adorno denominava personalità autoritaria». Esiste una soluzione a tutto ciò?«Che cosa può risponderle un insegnante? Dovremmo ricominciare a educare sul serio: alla profondità di pensiero, alla tolleranza delle voci contrarie, alla libertà e dignità del dibattito. Solo allora realizzeremo l'augurio di Piero Calamandrei, Padre della nostra patria, quando disse: “La scuola è il complemento necessario del suffragio universale". Solo allora avremo ascoltato la lezione di Antonio Gramsci, quando scrisse: “Volete che chi è stato fino a ieri uno schiavo diventi un uomo? Incominciate a trattarlo, sempre, come un uomo, e il più grande passo in avanti sarà già fatto"».