2025-09-30
In odio alla Venezi la sinistra impara cos’è un curriculum e saluta le quote rosa
I titoli della musicista «meloniana», dopo anni di nomine partitiche a senso unico, diventano di colpo un criterio vitale.Non possiamo non notare come, con ammirevole versatilità, il mondo progressista sia pronto a cambiare radicalmente i propri orientamenti qualora la situazione politica lo richieda. Questa è, in fondo, la grande lezione impartita dalla disputa circense sviluppatasi attorno a Beatrice Venezi. Mai, negli anni passati, abbiamo assistito a tale e tanto dibattito sul merito di un singolo artista, direttore o presidente di fondazione. Nel corso dei decenni sono stati nominati dalla sinistra centinaia di professionisti, e non è mai accaduto che per settimane i principali quotidiani si occupassero di scandagliare il curriculum di questo o di quello, o che si disturbassero a interpellare esperti internazionali per chiedere una valutazione del nominato. Tradotto: per anni la politica ha posizionato le proprie pedine ovunque, e mai si è levata una mosca. Al massimo, abbiamo assistito a feroci scambi di cortesie tra fazioni, ma niente di paragonabile a quanto sta accadendo attorno alla bionda musicista. Ne deduciamo che, all’improvviso, il merito è diventato un valore non negoziabili anche per i progressisti, e che d’ora in poi ogni singola nomina, ogni minima indicazione di partito dovrà essere messa in dubbio con martellante insistenza, esaminata con spietata puntigliosità. Cosa che, finora, non è mai stata fatta.Anzi, a dirla tutta, ogni volta che in passato è stato contestato l’operato di un direttore, i più hanno gridato alla lesa maestà. Esempio recente è quello del teatro La Pergola di Firenze. Elevato allo status di teatro nazionale nell’era Renzi anche se molto probabilmente non aveva i requisiti necessari, a giugno è stato declassato dal ministero. Un approdo inevitabile, dato che la situazione dei teatri fiorentini non era particolarmente florida dal punto di vista finanziario. Eppure, in quell’occasione del merito non è importato nulla a nessuno. Sono fioccate petizioni a sostegno del direttore Stefano Massini, la sinistra intera ha gridato alla censura e allo scandalo, sostenendo che si volesse colpire un artista non allineato. Con un filo meno di verve, anche perché il direttore interessato è meno famoso di Massini e della Venezi, si è scatenato un pandemonio pure attorno alla nomina di Fulvio Adamo Macciardi a soprintendente del San Carlo di Napoli. Il sindaco partenopeo Gaetano Manfredi ha persino presentato due ricorsi in tribunale (oggi in teoria si dovrebbe conoscerne gli esiti) contro la scelta del ministro della Cultura Alessandro Giuli. Questioni di merito? No, affatto. Anche lì si è parlato di occupazione della destra, poi però il clamore è velocemente scemato quando la Regione Campania si è schierata con il ministero contro il sindaco.Ricordiamo questi piccoli episodi per ribadire l’ovvio, e cioè che da sempre la cultura è gestita tramite nomine politiche. E da sempre la sinistra si oppone a ogni modifica del sistema. Soltanto adesso, grazie all’ascesa della Venezi, i progressisti sembrano avere scoperto che le nomine politiche non vanno bene, e che anzi meritano di essere contestate in ogni modo e senza quartiere. C’è poi una ulteriore novità scaturita da tutto questo pagliaccesco affaticarsi attorno alla nomina della perfida meloniana alla guida della Fenice. La cultura del merito di cui sopra non soltanto è divenuta predominante ma ha anche spazzato via la retorica delle quote da destinarsi alla minoranze o ai gruppi sociali cosiddetti oppressi. In passato, infatti, la sinistra globale ha sempre sostenuto la necessità di ricavare spazi protetti per le donne, posti garantiti di modo che la cultura maschilista dominante non ostacolasse l'ascesa di questa o quella signora o ragazza meritevole. Ebbene, anche questo oggi non vale più. È interessante ciò che ha scritto ieri su Repubblica Elena Stancanelli a tale riguardo. «Non è una questione di quote rosa», spiegava la scrittrice. «Se Beatrice Venezi è stata contestata, per la seconda volta, da un’orchestra (era già successo a Palermo, ora in modo più violento a Venezia, per la sua nomina a direttrice musicale del teatro La Fenice) non è perché è una donna, perché è molto bella, perché fa la pubblicità di non so cosa. Ma perché, semplicemente, non è all'altezza dell’incarico che le è stato affidato, come dice il comunicato degli orchestrali. Mi meraviglia molto», proseguiva la Stancanelli, «che una donna intelligente si sia prestata a una simile operazione che, alla fine, danneggerà soprattutto lei. Qualcosa che somiglia più a una truffa, un’impostura, che non a una leggerezza di chi non avrebbe riflettuto abbastanza sull’inopportunità di imporre un nome sprovvisto di titoli sufficienti». Già, stavolta non è questione di quote rosa, ma appunto di merito. Solo stavolta però. In ogni altra occasione le questioni sulla parità dei generi sono sempre risultate dominanti, le quote sono sempre state imposte e difese con i denti. Non importava se una donna fosse o meno capace o adeguata al ruolo: andava scelta per riequilibrare le ingiustizie storiche. E che dire poi dei giovani? Largo alle nuove generazioni, via i vecchi, voto ai quindicenni! Quante volte abbiamo sentito appelli simili provenire da sinistra? Ma ora niente, la Venezi si deve levare dai piedi. Fenomenale la conclusione del ragionamento della Stancanelli: «Si smarchi, direttore B. Venezi, da chi piazzandola lì voleva soltanto occupare un'altra casella con qualcuno di politicamente affine, di amico», afferma la scrittrice. «Dimostri di essere una persona seria e si lasci dietro gli infantili comportamenti di un asilo di maschietti convinti che le donne siano foglie di fico con cui coprire le loro vergogne. Qualche mese fa», insiste la firma di Repubblica, «scrissi su queste pagine che era incredibile la quasi totale assenza di registe italiane al festival del cinema di Venezia. Avrei dovuto scrivere, anche, che non avremo registe donne se non produrremo film di registe donne, se non assegneremo finanziamenti a progetti scritti da donne. Temo che non avremo presto neanche direttrici di orchestra donne, se non saremo capaci di scegliere quelle che lo meritano. Se chi non lo merita occupa proditoriamente una di quelle posizioni». Capito? Bisogna dare i soldi alle registe donne in quanto donne, produrle in quanto donne. Ma in quanto donna la Venezi deve andarsene perché non è brava. Conta il merito, ripetono. Ciò che non dicono è che tra i meriti che contano c’è soprattutto quello di votare a sinistra.
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(Ansa)
A Caivano l'attenzione resta altissima dopo l'ennesima stesa che ha seminato paura tra i cittadini. Nelle ultime ore i carabinieri hanno avviato una vasta bonifica del territorio, setacciando strade, vicoli e aree sensibili con pattuglie, unita' cinofile e posti di blocco. Obiettivo: ristabilire sicurezza e dare un segnale concreto di presenza dello Stato in un contesto segnato da episodi di violenza e intimidazione. Particolare rilievo assume la situazione intorno alla chiesa di San Paolo Apostolo, guidata da don Maurizio Patriciello, da sempre voce coraggiosa contro la camorra e il degrado sociale. Dopo le gravi minacce ricevute dal sacerdote - a cui è stato recapitato un fazzoletto di carta con all'interno un proiettile - l'edificio religioso è ora completamente presidiato dalle forze dell'ordine. Militari e mezzi sono costantemente presenti davanti all'ingresso e nei pressi della parrocchia, simbolo di legalità e punto di riferimento per la comunità.
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