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2025-01-10
Pure la Bce ammette: in Italia il lavoro vola e i Btp vanno a ruba
La sede della Bce (Ansa)
La Banca Centrale Europea certifica quello che la realtà ha messo sotto gli occhi dei cittadini ormai da mesi: l’Italia è il Paese politicamente più stabile d’Europa e se il confronto resta limitato alle tre grandi superpotenze del Vecchio Continente (Italia appunto più Francia e Germania) anche quello dove i dati economici, spinti per quanto possibili dalle ultime manovre, vanno meglio. Prosegue lenta la crescita (nel 2024 ci si è accontentati dello 0,5% rispetto 1% stimato dal governo in primavera), è in costante calo il parametro fondamentale, quello del rapporto tra il defcit e il Pil (siamo al 3,8%), e soprattutto migliora la situazione del lavoro, il governo conta di raggiungere un milione di posti creati (siamo intorno a quota 800.000) entro la fine dell’anno. Certo, c’è una questione salariale (anche se l’inflazione è in calo e il potere di acquisto in miglioramento) e di frammentarietà del lavoro da affrontare, ma se confrontiamo questi dati con la recessione tedesca e la crisi infinita della Francia di Macron, sembriamo un Eldorado.
Nessuna novità, cose dette e risapute, ma il fatto che la Bce se ne sia accorta è già di per sé una notizia. Vediamo. «Il tasso di disoccupazione», si legge nell’analisi dell’ultimo bollettino di Francoforte, «è rimasto ai minimi storici. A settembre 2024 si è collocato al 6,3%, si tratta del valore più basso mai registrato dall’introduzione della moneta unica». Fin qui la la relazione che riguarda tutti i Paesi dell’area euro, poi però lo studio entra nel dettaglio e fa un po’ di differenze. «In questo periodo», si legge ancora, «Spagna e Italia hanno registrato le maggiori riduzioni (-2,6 e -3,5%), mentre la Germania ha evidenziato un lieve aumento (+0,3%)». La flessione, evidenzia ancora la Bce, è stata determinata da un lieve calo del numero di disoccupati, di circa 1,3 milioni di unità, associato a un significativo aumento delle forze di lavoro, salite di 8,6 milioni rispetto a gennaio del 2020. Insomma, è vero che l’Italia aveva maggiori margini di crescita, e infatti resta sul piatto il tema della disoccupazione giovanile e della precarietà, ma il trend rialzista è evidente. Così come sono innegabili le performance finanziarie. Parola, ancora della Bce. Tra settembre e dicembre, ci spiegano dall’istituto centrale con base in Germania, con le elezioni Usa e i rendimenti sui Treasury (i titoli di Stato americani) in rialzo, sono aumentati i differenziali fra i rendimenti dei titoli francesi e tedeschi rispetto ai tassi Ois, quelli privi di rischio, mentre «gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio».
Ma anche qui ci sono delle differenze che il bollettino di Francoforte evidenzia. «Il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso Ois (tasso privo di rischio) si è ridotto di nove punti base per l’Italia, ampliandosi invece di quattro e sei punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna».
Se non è un’investitura per il governo Meloni, ci siamo davvero vicini.
Anche perché che i titoli di Stato italiani tirino e vengano considerati affidabili e convenienti rispetto a quanto rendono ce lo dice da un po’ di tempo il mercato. Gli ultimi dati delle aste dei Btp sono non a caso da record. Poche ore fa c’è stata una nuova doppia emissione che ha catalizzato una domanda record da 270 miliardi di euro.
Il Mef ha collocato 13 miliardi del Btp decennale (rendimento del 3,65% all’anno) a fronte di una domanda di oltre 140 miliardi, mentre per il Btp Green a 20 anni (tasso annuo del 4,1%) ha assegnato un importo di 5 miliardi a fronte di una domanda di circa 130 miliardi.
Polverizzato il precedente record della doppia emissione autunnale che aveva visto richieste da 206 miliardi per il Btp a 7 anni e la riapertura del Btp a 30 anni.
Le motivazioni sono quelle descritte nell’articolo, certo, ma le ragioni politiche vengono prima di quelle finanziarie. L’Italia beneficia di una stabilità politica che mai aveva avuto nella storia recente, che va a fare il paio invece con l’insolita instabilità di Parigi e Berlino. Così, visto che i rendimenti restano allettanti (intorno al 3,7% il decennale contro per esempio il 3,4% degli Oat francesi) gli investitori istituzionali e internazionali preferiscono i titoli del Belpaese a quelli dei cugini. E anche queste si chiamano soddisfazioni.
Il super-dollaro dà una mano all’Ue
Alla fine, come sempre, saranno ancora gli Usa a salvare l’Europa. L’euro sceso sotto 1,04 rispetto al dollaro, apre la strada a una possibile parità tra le due valute. Il rafforzamento della valuta Usa che ha avuto implicazioni globali, sta giocando un ruolo cruciale nel rilancio dell'economia europea. In particolare in Germania, dove la produzione industriale e le esportazioni hanno mostrato segni di recupero a novembre. La produzione industriale è aumentata dell’1,5%, dopo un calo dello 0,4% a ottobre. Su base annuale resta una flessione del 2,8%, ma l'incremento di novembre rappresenta un rimbalzo importante, anche se non privo di una certa cautela. Le esportazioni tedesche sono aumentate del 2,1% su base mensile, invertendo la tendenza negativa di ottobre, quando erano calate del 2,9%. La Germania sta cioè beneficiando della crescente competitività dei suoi prodotti visto che la forza del dollaro, li rende più convenienti per i consumatori americani e per i mercati globali. Anche se i dati trimestrali mostrano ancora segni di difficoltà, si accende qualche luce di speranza. «C'è ora la possibilità che l'ultimo trimestre 2024 non sia stato così negativo come si temeva», ha dichiarato Jens-Oliver Niklasch della LBBW Bank, una delle più importanti banche d’affari tedesche. Tuttavia, le prospettive per il 2025 non sembrano per tutti rosee, con alcuni analisti che considerano l’incremento di novembre come un «rimbalzo tecnico», piuttosto che un segnale di ripresa stabile.
Chi ha ragione? Gli sviluppisti o i pessimisti? Molto dipende dal futuro del dollaro e dalle decisioni che verranno prese dalla Fed e dalla Bce.
Nell’ultima riunione di dicembre Jerome Powell, presidente della banca centrale Usa ha tagliato i tassi di appena 25 punti deludendo Wall Street che, come reazione, ha fermato un ciclo rialzista che durava da oltre due anni. Nonostante la Fed abbia previsto solo due tagli dei tassi nel 2025, Jerome Powell ha sottolineato che l’inflazione, pur rallentando, è ancora lontana dal target del 2%, Per arrivarci sarà necessario attendere la fine del 2026. La solidità del mercato del lavoro Usa ha avuto un impatto importante sulla politica monetaria, che, pur non essendo aggressiva, ha sostenuto il dollaro forte.
La Bce si è dimostrata più aggressiva. Ha tagliato i tassi in maniera vigorosa nel corso dell’anno scorso con il risultato di indebolire ancora l’euro. Vuol dire che la ripresa economica trainata dall’export diventa più importante della lotta all’inflazione. Christine Lagarde conferma che l’obiettivo finale rimane il 2% ma ha chiarito che le future decisioni dipenderanno dai dati economici. A differenza della Fed, la Bce non ha fissato un numero massimo di tagli, suggerendo maggiore flessibilità in base all’evoluzione dell’economia.
Il 2025 sta quindi mettendo in luce un contesto economico europeo in lento miglioramento, con la Germania che, nonostante le difficoltà, mostra segnali di recupero grazie a fattori globali come il dollaro forte. Tuttavia, molti economisti avvertono che la ripresa non è ancora solida, e il futuro dipenderà da variabili esterne come la politica commerciale statunitense, le fluttuazioni energetiche e i possibili sviluppi geopolitici.
In un panorama globale incerto, l’Europa si trova quindi a beneficiare di un mix di politiche monetarie e dinamiche di mercato favorevoli, ma resta l’ombra della volatilità
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Riduci
Il bollettino di Francoforte: la disoccupazione diminuisce più che negli altri Paesi e lo spread cala grazie alle manovre.Il dollaro ormai prossimo alla parità con l’euro favorisce l’export europeo. I primi segnali arrivano dalla Germania. Wall Street teme lo stop al calo dei tassi.Lo speciale contiene due articoli.La Banca Centrale Europea certifica quello che la realtà ha messo sotto gli occhi dei cittadini ormai da mesi: l’Italia è il Paese politicamente più stabile d’Europa e se il confronto resta limitato alle tre grandi superpotenze del Vecchio Continente (Italia appunto più Francia e Germania) anche quello dove i dati economici, spinti per quanto possibili dalle ultime manovre, vanno meglio. Prosegue lenta la crescita (nel 2024 ci si è accontentati dello 0,5% rispetto 1% stimato dal governo in primavera), è in costante calo il parametro fondamentale, quello del rapporto tra il defcit e il Pil (siamo al 3,8%), e soprattutto migliora la situazione del lavoro, il governo conta di raggiungere un milione di posti creati (siamo intorno a quota 800.000) entro la fine dell’anno. Certo, c’è una questione salariale (anche se l’inflazione è in calo e il potere di acquisto in miglioramento) e di frammentarietà del lavoro da affrontare, ma se confrontiamo questi dati con la recessione tedesca e la crisi infinita della Francia di Macron, sembriamo un Eldorado.Nessuna novità, cose dette e risapute, ma il fatto che la Bce se ne sia accorta è già di per sé una notizia. Vediamo. «Il tasso di disoccupazione», si legge nell’analisi dell’ultimo bollettino di Francoforte, «è rimasto ai minimi storici. A settembre 2024 si è collocato al 6,3%, si tratta del valore più basso mai registrato dall’introduzione della moneta unica». Fin qui la la relazione che riguarda tutti i Paesi dell’area euro, poi però lo studio entra nel dettaglio e fa un po’ di differenze. «In questo periodo», si legge ancora, «Spagna e Italia hanno registrato le maggiori riduzioni (-2,6 e -3,5%), mentre la Germania ha evidenziato un lieve aumento (+0,3%)». La flessione, evidenzia ancora la Bce, è stata determinata da un lieve calo del numero di disoccupati, di circa 1,3 milioni di unità, associato a un significativo aumento delle forze di lavoro, salite di 8,6 milioni rispetto a gennaio del 2020. Insomma, è vero che l’Italia aveva maggiori margini di crescita, e infatti resta sul piatto il tema della disoccupazione giovanile e della precarietà, ma il trend rialzista è evidente. Così come sono innegabili le performance finanziarie. Parola, ancora della Bce. Tra settembre e dicembre, ci spiegano dall’istituto centrale con base in Germania, con le elezioni Usa e i rendimenti sui Treasury (i titoli di Stato americani) in rialzo, sono aumentati i differenziali fra i rendimenti dei titoli francesi e tedeschi rispetto ai tassi Ois, quelli privi di rischio, mentre «gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio». Ma anche qui ci sono delle differenze che il bollettino di Francoforte evidenzia. «Il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso Ois (tasso privo di rischio) si è ridotto di nove punti base per l’Italia, ampliandosi invece di quattro e sei punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna». Se non è un’investitura per il governo Meloni, ci siamo davvero vicini. Anche perché che i titoli di Stato italiani tirino e vengano considerati affidabili e convenienti rispetto a quanto rendono ce lo dice da un po’ di tempo il mercato. Gli ultimi dati delle aste dei Btp sono non a caso da record. Poche ore fa c’è stata una nuova doppia emissione che ha catalizzato una domanda record da 270 miliardi di euro. Il Mef ha collocato 13 miliardi del Btp decennale (rendimento del 3,65% all’anno) a fronte di una domanda di oltre 140 miliardi, mentre per il Btp Green a 20 anni (tasso annuo del 4,1%) ha assegnato un importo di 5 miliardi a fronte di una domanda di circa 130 miliardi.Polverizzato il precedente record della doppia emissione autunnale che aveva visto richieste da 206 miliardi per il Btp a 7 anni e la riapertura del Btp a 30 anni.Le motivazioni sono quelle descritte nell’articolo, certo, ma le ragioni politiche vengono prima di quelle finanziarie. L’Italia beneficia di una stabilità politica che mai aveva avuto nella storia recente, che va a fare il paio invece con l’insolita instabilità di Parigi e Berlino. Così, visto che i rendimenti restano allettanti (intorno al 3,7% il decennale contro per esempio il 3,4% degli Oat francesi) gli investitori istituzionali e internazionali preferiscono i titoli del Belpaese a quelli dei cugini. E anche queste si chiamano soddisfazioni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bce-italia-economia-2670792897.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-super-dollaro-da-una-mano-allue" data-post-id="2670792897" data-published-at="1736519265" data-use-pagination="False"> Il super-dollaro dà una mano all’Ue Alla fine, come sempre, saranno ancora gli Usa a salvare l’Europa. L’euro sceso sotto 1,04 rispetto al dollaro, apre la strada a una possibile parità tra le due valute. Il rafforzamento della valuta Usa che ha avuto implicazioni globali, sta giocando un ruolo cruciale nel rilancio dell'economia europea. In particolare in Germania, dove la produzione industriale e le esportazioni hanno mostrato segni di recupero a novembre. La produzione industriale è aumentata dell’1,5%, dopo un calo dello 0,4% a ottobre. Su base annuale resta una flessione del 2,8%, ma l'incremento di novembre rappresenta un rimbalzo importante, anche se non privo di una certa cautela. Le esportazioni tedesche sono aumentate del 2,1% su base mensile, invertendo la tendenza negativa di ottobre, quando erano calate del 2,9%. La Germania sta cioè beneficiando della crescente competitività dei suoi prodotti visto che la forza del dollaro, li rende più convenienti per i consumatori americani e per i mercati globali. Anche se i dati trimestrali mostrano ancora segni di difficoltà, si accende qualche luce di speranza. «C'è ora la possibilità che l'ultimo trimestre 2024 non sia stato così negativo come si temeva», ha dichiarato Jens-Oliver Niklasch della LBBW Bank, una delle più importanti banche d’affari tedesche. Tuttavia, le prospettive per il 2025 non sembrano per tutti rosee, con alcuni analisti che considerano l’incremento di novembre come un «rimbalzo tecnico», piuttosto che un segnale di ripresa stabile. Chi ha ragione? Gli sviluppisti o i pessimisti? Molto dipende dal futuro del dollaro e dalle decisioni che verranno prese dalla Fed e dalla Bce. Nell’ultima riunione di dicembre Jerome Powell, presidente della banca centrale Usa ha tagliato i tassi di appena 25 punti deludendo Wall Street che, come reazione, ha fermato un ciclo rialzista che durava da oltre due anni. Nonostante la Fed abbia previsto solo due tagli dei tassi nel 2025, Jerome Powell ha sottolineato che l’inflazione, pur rallentando, è ancora lontana dal target del 2%, Per arrivarci sarà necessario attendere la fine del 2026. La solidità del mercato del lavoro Usa ha avuto un impatto importante sulla politica monetaria, che, pur non essendo aggressiva, ha sostenuto il dollaro forte. La Bce si è dimostrata più aggressiva. Ha tagliato i tassi in maniera vigorosa nel corso dell’anno scorso con il risultato di indebolire ancora l’euro. Vuol dire che la ripresa economica trainata dall’export diventa più importante della lotta all’inflazione. Christine Lagarde conferma che l’obiettivo finale rimane il 2% ma ha chiarito che le future decisioni dipenderanno dai dati economici. A differenza della Fed, la Bce non ha fissato un numero massimo di tagli, suggerendo maggiore flessibilità in base all’evoluzione dell’economia. Il 2025 sta quindi mettendo in luce un contesto economico europeo in lento miglioramento, con la Germania che, nonostante le difficoltà, mostra segnali di recupero grazie a fattori globali come il dollaro forte. Tuttavia, molti economisti avvertono che la ripresa non è ancora solida, e il futuro dipenderà da variabili esterne come la politica commerciale statunitense, le fluttuazioni energetiche e i possibili sviluppi geopolitici. In un panorama globale incerto, l’Europa si trova quindi a beneficiare di un mix di politiche monetarie e dinamiche di mercato favorevoli, ma resta l’ombra della volatilità
Il Castello Mackenzie di Genova. A destra, il dettaglio della torre (Ansa)
Ewan Mackenzie, di padre scozzese, era toscano fin nel midollo. Da Firenze, la città che lo vide nascere nel 1852, assorbì la passione per l’arte e la letteratura del Rinascimento e dell’opera di Dante di cui fu collezionista delle edizioni più rare della Commedia.
Mackenzie si trasferì a Genova come agente dei Lloyds di Londra. Qui alla fine del secolo XIX fonderà un impero in campo assicurativo, l’Alleanza Assicurazioni. Il grande successo imprenditoriale gli permise di coronare il sogno di una vita: quello di dare nuova forma al Rinascimento toscano nella città della Lanterna con la costruzione di una dimora unica nella zona degli antichi bastioni di san Bartolomeo al Castelletto che dominano Genova ed il porto antico. Trovò nell’esordiente architetto fiorentino Gino Coppedè la professionalità giusta per realizzare la sua nuova dimora. Quest’ultimo era figlio d’arte di uno degli ebanisti più quotati dell’epoca, Mariano Coppedé. I lavori di costruzione del capolavoro dell’eclettismo tipico degli anni a cavallo tra i secoli XIX e XX iniziarono nel 1897 per concludersi 9 anni più tardi, nel 1906. Il castello, che cambiò la prospettiva dalla vicina piazza Manin, era un capolavoro di arte ispirata al Medioevo ed al Rinascimento. La torre principale ricordava quella di Palazzo Vecchio a Firenze, mentre mura, nicchie torrette e merletti, compresi i fossati e i ponti, facevano pensare ai manieri medievali. All’interno dominava la boiserie della bottega Coppedé, nelle oltre 80 stanze della dimora. Non mancava un tocco di modernità nell’impianto di riscaldamento centralizzato e nell’acqua calda disponibile in tutta la casa. Il palazzo ospitava anche una piscina riscaldata ed un ascensore di grande capienza. Nei sotterranei erano state ricavate grotte scenografiche, ispirate alla Grotta Azzurra di Capri, con statue mitologiche e giochi d’acqua, e non mancava un luogo dedicato alla preghiera, una cappella in stile neogotico con vetrate artistiche, ed una immensa biblioteca dove erano conservate le edizioni più preziose della Commedia dantesca. Il castello fu abitato dalla famiglia fino alla morte del proprietario avvenuta nel 1935. La figlia di Ewan, Isa Mackenzie, la cedette poco dopo ad una società immobiliare. Dopo l’8 settembre 1943 fu requisito dai tedeschi e scampò per miracolo ai pesantissimi bombardamenti sulla città. Nel dopoguerra fu brevemente occupato dagli Alleati prima di essere destinato a diventare una stazione dei Carabinieri, che rimasero fino al 1956 quando il castello fu dichiarato monumento nazionale. In seguito fu adibito a sede di una società sportiva, la Società Ginnastica Rubattino, e dagli anni Sessanta andò incontro ad un declino durato per tutto il decennio successivo. Solo negli anni seguenti la dimora da sogno di Mackenzie poté essere recuperata al suo splendore originario. Nel 1986 il magnate e collezionista d’arte americano Mitchell Wolfson Jr. rilevò il castello ed iniziò un complesso restauro a partire dal 1991 prima di cederlo a sua volta a Marcello Cambi, famoso restauratore toscano e patron dell’omonima casa d’aste della quale il castello divenne la sede, dopo un’ulteriore restauro da parte del grande architetto genovese Gianfranco Franchini, tra i progettisti assieme a Renzo Piano e Richard Rogers del Centro Georges Pompidou di Parigi.
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