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2025-01-10
Pure la Bce ammette: in Italia il lavoro vola e i Btp vanno a ruba
La sede della Bce (Ansa)
La Banca Centrale Europea certifica quello che la realtà ha messo sotto gli occhi dei cittadini ormai da mesi: l’Italia è il Paese politicamente più stabile d’Europa e se il confronto resta limitato alle tre grandi superpotenze del Vecchio Continente (Italia appunto più Francia e Germania) anche quello dove i dati economici, spinti per quanto possibili dalle ultime manovre, vanno meglio. Prosegue lenta la crescita (nel 2024 ci si è accontentati dello 0,5% rispetto 1% stimato dal governo in primavera), è in costante calo il parametro fondamentale, quello del rapporto tra il defcit e il Pil (siamo al 3,8%), e soprattutto migliora la situazione del lavoro, il governo conta di raggiungere un milione di posti creati (siamo intorno a quota 800.000) entro la fine dell’anno. Certo, c’è una questione salariale (anche se l’inflazione è in calo e il potere di acquisto in miglioramento) e di frammentarietà del lavoro da affrontare, ma se confrontiamo questi dati con la recessione tedesca e la crisi infinita della Francia di Macron, sembriamo un Eldorado.
Nessuna novità, cose dette e risapute, ma il fatto che la Bce se ne sia accorta è già di per sé una notizia. Vediamo. «Il tasso di disoccupazione», si legge nell’analisi dell’ultimo bollettino di Francoforte, «è rimasto ai minimi storici. A settembre 2024 si è collocato al 6,3%, si tratta del valore più basso mai registrato dall’introduzione della moneta unica». Fin qui la la relazione che riguarda tutti i Paesi dell’area euro, poi però lo studio entra nel dettaglio e fa un po’ di differenze. «In questo periodo», si legge ancora, «Spagna e Italia hanno registrato le maggiori riduzioni (-2,6 e -3,5%), mentre la Germania ha evidenziato un lieve aumento (+0,3%)». La flessione, evidenzia ancora la Bce, è stata determinata da un lieve calo del numero di disoccupati, di circa 1,3 milioni di unità, associato a un significativo aumento delle forze di lavoro, salite di 8,6 milioni rispetto a gennaio del 2020. Insomma, è vero che l’Italia aveva maggiori margini di crescita, e infatti resta sul piatto il tema della disoccupazione giovanile e della precarietà, ma il trend rialzista è evidente. Così come sono innegabili le performance finanziarie. Parola, ancora della Bce. Tra settembre e dicembre, ci spiegano dall’istituto centrale con base in Germania, con le elezioni Usa e i rendimenti sui Treasury (i titoli di Stato americani) in rialzo, sono aumentati i differenziali fra i rendimenti dei titoli francesi e tedeschi rispetto ai tassi Ois, quelli privi di rischio, mentre «gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio».
Ma anche qui ci sono delle differenze che il bollettino di Francoforte evidenzia. «Il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso Ois (tasso privo di rischio) si è ridotto di nove punti base per l’Italia, ampliandosi invece di quattro e sei punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna».
Se non è un’investitura per il governo Meloni, ci siamo davvero vicini.
Anche perché che i titoli di Stato italiani tirino e vengano considerati affidabili e convenienti rispetto a quanto rendono ce lo dice da un po’ di tempo il mercato. Gli ultimi dati delle aste dei Btp sono non a caso da record. Poche ore fa c’è stata una nuova doppia emissione che ha catalizzato una domanda record da 270 miliardi di euro.
Il Mef ha collocato 13 miliardi del Btp decennale (rendimento del 3,65% all’anno) a fronte di una domanda di oltre 140 miliardi, mentre per il Btp Green a 20 anni (tasso annuo del 4,1%) ha assegnato un importo di 5 miliardi a fronte di una domanda di circa 130 miliardi.
Polverizzato il precedente record della doppia emissione autunnale che aveva visto richieste da 206 miliardi per il Btp a 7 anni e la riapertura del Btp a 30 anni.
Le motivazioni sono quelle descritte nell’articolo, certo, ma le ragioni politiche vengono prima di quelle finanziarie. L’Italia beneficia di una stabilità politica che mai aveva avuto nella storia recente, che va a fare il paio invece con l’insolita instabilità di Parigi e Berlino. Così, visto che i rendimenti restano allettanti (intorno al 3,7% il decennale contro per esempio il 3,4% degli Oat francesi) gli investitori istituzionali e internazionali preferiscono i titoli del Belpaese a quelli dei cugini. E anche queste si chiamano soddisfazioni.
Il super-dollaro dà una mano all’Ue
Alla fine, come sempre, saranno ancora gli Usa a salvare l’Europa. L’euro sceso sotto 1,04 rispetto al dollaro, apre la strada a una possibile parità tra le due valute. Il rafforzamento della valuta Usa che ha avuto implicazioni globali, sta giocando un ruolo cruciale nel rilancio dell'economia europea. In particolare in Germania, dove la produzione industriale e le esportazioni hanno mostrato segni di recupero a novembre. La produzione industriale è aumentata dell’1,5%, dopo un calo dello 0,4% a ottobre. Su base annuale resta una flessione del 2,8%, ma l'incremento di novembre rappresenta un rimbalzo importante, anche se non privo di una certa cautela. Le esportazioni tedesche sono aumentate del 2,1% su base mensile, invertendo la tendenza negativa di ottobre, quando erano calate del 2,9%. La Germania sta cioè beneficiando della crescente competitività dei suoi prodotti visto che la forza del dollaro, li rende più convenienti per i consumatori americani e per i mercati globali. Anche se i dati trimestrali mostrano ancora segni di difficoltà, si accende qualche luce di speranza. «C'è ora la possibilità che l'ultimo trimestre 2024 non sia stato così negativo come si temeva», ha dichiarato Jens-Oliver Niklasch della LBBW Bank, una delle più importanti banche d’affari tedesche. Tuttavia, le prospettive per il 2025 non sembrano per tutti rosee, con alcuni analisti che considerano l’incremento di novembre come un «rimbalzo tecnico», piuttosto che un segnale di ripresa stabile.
Chi ha ragione? Gli sviluppisti o i pessimisti? Molto dipende dal futuro del dollaro e dalle decisioni che verranno prese dalla Fed e dalla Bce.
Nell’ultima riunione di dicembre Jerome Powell, presidente della banca centrale Usa ha tagliato i tassi di appena 25 punti deludendo Wall Street che, come reazione, ha fermato un ciclo rialzista che durava da oltre due anni. Nonostante la Fed abbia previsto solo due tagli dei tassi nel 2025, Jerome Powell ha sottolineato che l’inflazione, pur rallentando, è ancora lontana dal target del 2%, Per arrivarci sarà necessario attendere la fine del 2026. La solidità del mercato del lavoro Usa ha avuto un impatto importante sulla politica monetaria, che, pur non essendo aggressiva, ha sostenuto il dollaro forte.
La Bce si è dimostrata più aggressiva. Ha tagliato i tassi in maniera vigorosa nel corso dell’anno scorso con il risultato di indebolire ancora l’euro. Vuol dire che la ripresa economica trainata dall’export diventa più importante della lotta all’inflazione. Christine Lagarde conferma che l’obiettivo finale rimane il 2% ma ha chiarito che le future decisioni dipenderanno dai dati economici. A differenza della Fed, la Bce non ha fissato un numero massimo di tagli, suggerendo maggiore flessibilità in base all’evoluzione dell’economia.
Il 2025 sta quindi mettendo in luce un contesto economico europeo in lento miglioramento, con la Germania che, nonostante le difficoltà, mostra segnali di recupero grazie a fattori globali come il dollaro forte. Tuttavia, molti economisti avvertono che la ripresa non è ancora solida, e il futuro dipenderà da variabili esterne come la politica commerciale statunitense, le fluttuazioni energetiche e i possibili sviluppi geopolitici.
In un panorama globale incerto, l’Europa si trova quindi a beneficiare di un mix di politiche monetarie e dinamiche di mercato favorevoli, ma resta l’ombra della volatilità
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Il bollettino di Francoforte: la disoccupazione diminuisce più che negli altri Paesi e lo spread cala grazie alle manovre.Il dollaro ormai prossimo alla parità con l’euro favorisce l’export europeo. I primi segnali arrivano dalla Germania. Wall Street teme lo stop al calo dei tassi.Lo speciale contiene due articoli.La Banca Centrale Europea certifica quello che la realtà ha messo sotto gli occhi dei cittadini ormai da mesi: l’Italia è il Paese politicamente più stabile d’Europa e se il confronto resta limitato alle tre grandi superpotenze del Vecchio Continente (Italia appunto più Francia e Germania) anche quello dove i dati economici, spinti per quanto possibili dalle ultime manovre, vanno meglio. Prosegue lenta la crescita (nel 2024 ci si è accontentati dello 0,5% rispetto 1% stimato dal governo in primavera), è in costante calo il parametro fondamentale, quello del rapporto tra il defcit e il Pil (siamo al 3,8%), e soprattutto migliora la situazione del lavoro, il governo conta di raggiungere un milione di posti creati (siamo intorno a quota 800.000) entro la fine dell’anno. Certo, c’è una questione salariale (anche se l’inflazione è in calo e il potere di acquisto in miglioramento) e di frammentarietà del lavoro da affrontare, ma se confrontiamo questi dati con la recessione tedesca e la crisi infinita della Francia di Macron, sembriamo un Eldorado.Nessuna novità, cose dette e risapute, ma il fatto che la Bce se ne sia accorta è già di per sé una notizia. Vediamo. «Il tasso di disoccupazione», si legge nell’analisi dell’ultimo bollettino di Francoforte, «è rimasto ai minimi storici. A settembre 2024 si è collocato al 6,3%, si tratta del valore più basso mai registrato dall’introduzione della moneta unica». Fin qui la la relazione che riguarda tutti i Paesi dell’area euro, poi però lo studio entra nel dettaglio e fa un po’ di differenze. «In questo periodo», si legge ancora, «Spagna e Italia hanno registrato le maggiori riduzioni (-2,6 e -3,5%), mentre la Germania ha evidenziato un lieve aumento (+0,3%)». La flessione, evidenzia ancora la Bce, è stata determinata da un lieve calo del numero di disoccupati, di circa 1,3 milioni di unità, associato a un significativo aumento delle forze di lavoro, salite di 8,6 milioni rispetto a gennaio del 2020. Insomma, è vero che l’Italia aveva maggiori margini di crescita, e infatti resta sul piatto il tema della disoccupazione giovanile e della precarietà, ma il trend rialzista è evidente. Così come sono innegabili le performance finanziarie. Parola, ancora della Bce. Tra settembre e dicembre, ci spiegano dall’istituto centrale con base in Germania, con le elezioni Usa e i rendimenti sui Treasury (i titoli di Stato americani) in rialzo, sono aumentati i differenziali fra i rendimenti dei titoli francesi e tedeschi rispetto ai tassi Ois, quelli privi di rischio, mentre «gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio». Ma anche qui ci sono delle differenze che il bollettino di Francoforte evidenzia. «Il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso Ois (tasso privo di rischio) si è ridotto di nove punti base per l’Italia, ampliandosi invece di quattro e sei punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna». Se non è un’investitura per il governo Meloni, ci siamo davvero vicini. Anche perché che i titoli di Stato italiani tirino e vengano considerati affidabili e convenienti rispetto a quanto rendono ce lo dice da un po’ di tempo il mercato. Gli ultimi dati delle aste dei Btp sono non a caso da record. Poche ore fa c’è stata una nuova doppia emissione che ha catalizzato una domanda record da 270 miliardi di euro. Il Mef ha collocato 13 miliardi del Btp decennale (rendimento del 3,65% all’anno) a fronte di una domanda di oltre 140 miliardi, mentre per il Btp Green a 20 anni (tasso annuo del 4,1%) ha assegnato un importo di 5 miliardi a fronte di una domanda di circa 130 miliardi.Polverizzato il precedente record della doppia emissione autunnale che aveva visto richieste da 206 miliardi per il Btp a 7 anni e la riapertura del Btp a 30 anni.Le motivazioni sono quelle descritte nell’articolo, certo, ma le ragioni politiche vengono prima di quelle finanziarie. L’Italia beneficia di una stabilità politica che mai aveva avuto nella storia recente, che va a fare il paio invece con l’insolita instabilità di Parigi e Berlino. Così, visto che i rendimenti restano allettanti (intorno al 3,7% il decennale contro per esempio il 3,4% degli Oat francesi) gli investitori istituzionali e internazionali preferiscono i titoli del Belpaese a quelli dei cugini. E anche queste si chiamano soddisfazioni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bce-italia-economia-2670792897.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-super-dollaro-da-una-mano-allue" data-post-id="2670792897" data-published-at="1736519265" data-use-pagination="False"> Il super-dollaro dà una mano all’Ue Alla fine, come sempre, saranno ancora gli Usa a salvare l’Europa. L’euro sceso sotto 1,04 rispetto al dollaro, apre la strada a una possibile parità tra le due valute. Il rafforzamento della valuta Usa che ha avuto implicazioni globali, sta giocando un ruolo cruciale nel rilancio dell'economia europea. In particolare in Germania, dove la produzione industriale e le esportazioni hanno mostrato segni di recupero a novembre. La produzione industriale è aumentata dell’1,5%, dopo un calo dello 0,4% a ottobre. Su base annuale resta una flessione del 2,8%, ma l'incremento di novembre rappresenta un rimbalzo importante, anche se non privo di una certa cautela. Le esportazioni tedesche sono aumentate del 2,1% su base mensile, invertendo la tendenza negativa di ottobre, quando erano calate del 2,9%. La Germania sta cioè beneficiando della crescente competitività dei suoi prodotti visto che la forza del dollaro, li rende più convenienti per i consumatori americani e per i mercati globali. Anche se i dati trimestrali mostrano ancora segni di difficoltà, si accende qualche luce di speranza. «C'è ora la possibilità che l'ultimo trimestre 2024 non sia stato così negativo come si temeva», ha dichiarato Jens-Oliver Niklasch della LBBW Bank, una delle più importanti banche d’affari tedesche. Tuttavia, le prospettive per il 2025 non sembrano per tutti rosee, con alcuni analisti che considerano l’incremento di novembre come un «rimbalzo tecnico», piuttosto che un segnale di ripresa stabile. Chi ha ragione? Gli sviluppisti o i pessimisti? Molto dipende dal futuro del dollaro e dalle decisioni che verranno prese dalla Fed e dalla Bce. Nell’ultima riunione di dicembre Jerome Powell, presidente della banca centrale Usa ha tagliato i tassi di appena 25 punti deludendo Wall Street che, come reazione, ha fermato un ciclo rialzista che durava da oltre due anni. Nonostante la Fed abbia previsto solo due tagli dei tassi nel 2025, Jerome Powell ha sottolineato che l’inflazione, pur rallentando, è ancora lontana dal target del 2%, Per arrivarci sarà necessario attendere la fine del 2026. La solidità del mercato del lavoro Usa ha avuto un impatto importante sulla politica monetaria, che, pur non essendo aggressiva, ha sostenuto il dollaro forte. La Bce si è dimostrata più aggressiva. Ha tagliato i tassi in maniera vigorosa nel corso dell’anno scorso con il risultato di indebolire ancora l’euro. Vuol dire che la ripresa economica trainata dall’export diventa più importante della lotta all’inflazione. Christine Lagarde conferma che l’obiettivo finale rimane il 2% ma ha chiarito che le future decisioni dipenderanno dai dati economici. A differenza della Fed, la Bce non ha fissato un numero massimo di tagli, suggerendo maggiore flessibilità in base all’evoluzione dell’economia. Il 2025 sta quindi mettendo in luce un contesto economico europeo in lento miglioramento, con la Germania che, nonostante le difficoltà, mostra segnali di recupero grazie a fattori globali come il dollaro forte. Tuttavia, molti economisti avvertono che la ripresa non è ancora solida, e il futuro dipenderà da variabili esterne come la politica commerciale statunitense, le fluttuazioni energetiche e i possibili sviluppi geopolitici. In un panorama globale incerto, l’Europa si trova quindi a beneficiare di un mix di politiche monetarie e dinamiche di mercato favorevoli, ma resta l’ombra della volatilità
Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Elly Schlein (Ansa)
E ieri questo enorme divario si è fatto sentire ancor più forte in Aula. Il campo largo, ormai pieno di buche e pozzanghere, si è sfasciato anche sulla politica estera. In vista del Consiglio europeo il presidente del Consiglio ha tenuto le sue comunicazioni. La maggioranza si è presentata compatta con una risoluzione unica. Le opposizioni avevano cinque testi. Più che un campo largo, un campo sparso.
Divisi su tutti i dossier internazionali. Le distanze tra M5s e Pd sono abissali. Il dato politico è lampante: Avs, Più Europa, Azione, Italia viva, Pd, M5s sono sempre più come l’armata Brancaleone. Ognun per sé, nessun per tutti.
In tema di Ucraina, Pd e M5s sono spaccati sugli aiuti a Kiev. La Schlein vuole che continuino, mentre Conte ne chiede la sospensione. E poi ancora il Pd (area riformista) spinge per l’utilizzo degli asset russi congelati (210 miliardi) in aiuto a Kiev, il M5s dice no e anzi chiede di sospendere le sanzioni contro Putin. Schlein e Conte litigano anche su Trump. Il M5s spinge per il «piano Trump» per la pace in Ucraina. La risposta di Schlein? «La pace per Kiev non sia delegata a una telefonata Trump-Putin».
Ma risultano divisi anche Avs, Italia viva e Azione. Il partito di Calenda è il più filo ucraino e chiede che Ue e Italia restino al fianco del popolo ucraino per una pace giusta. Avs si accoda al M5s e propone lo stop agli aiuti militari per Zelensky. Ogni sostegno economico, politico e militare all’Ucraina, anche con l’utilizzo degli asset russi, è invece la posizione di Più Europa, condivisa con Italia viva e Azione.
Poi il Medio Oriente. Nella risoluzione Pd c’è la richiesta di riconoscere lo Stato di Palestina e sospendere il memorandum tra Italia e Israele. M5s e Avs accusano di genocidio il governo israeliano ignorando l’antisemitismo dilagante.
Terzo tema, il piano di riarmo europeo. Il Pd dice no al potenziamento degli eserciti nazionali e sì al piano della difesa comune europea. Avs e M5s bocciano la difesa comune europea. Italia viva e Azione appoggiano la linea europea sul riarmo.
Infine, che il campo largo sia solo un’illusione lo dimostra anche il caso di Alessandra Moretti finita nell’inchiesta Qatargate. Il Parlamento europeo vota a favore della revoca dell’immunità all’europarlamentare del Pd. Grazie al M5s che dà in pasto la compagna dem al temutissimo sistema giudiziario belga.
L’alleanza tra Pd e M5s è un vero bluff e l’intervento di Giuseppe Conte ad Atreju lo ha sottoscritto. «Non siamo alleati con nessuno». Tradotto: capotavola è dove mi siedo io. Altro che campo largo, abbiamo capito che lui giocherà da solo. E lo stesso farà la Schlein. Ad Atreju, come anche ieri in aula, Conte si è ripreso la scena. Ha lanciato la sfida al Pd ormai malconcio, privo di una direzione politica e incapace di imporsi come baricentro dell’opposizione.
Ieri abbiamo definitivamente capito che il campo largo non esiste. Conte non ci sta ad essere comandato da una segretaria del Pd ancora politicamente acerba, comunicativamente incapace e schiacciata dalle correnti del suo stesso partito. I sondaggi dicono che perfino molti elettori del Pd lo preferirebbero come candidato premier e lui ci crede. Il campo largo per lui è una gabbia dalla quale uscire.
Anche se in maniera piuttosto discutibile, è comunque stato per due volte premier. E tanto gli basta per sentirsi ancora il leader. In politica estera parte molto avvantaggiato rispetto alla Schlein che non conosce nessuno. Ha già un rapporto privilegiato con l’amministrazione Trump e con le cancellerie europee, che la Schlein isolazionista non sa neppure dove si trovino.
La realtà racconta di un centrodestra compatto e di una sinistra che si logora giorno dopo giorno in una guerra intestina per la leadership dell’opposizione. Una sinistra che si interroga su chi comandi, con «alleati» che si smentiscono continuamente. Nel centrodestra è tutto chiaro, da sempre: se si vince, il leader del partito che prende più voti fa il premier. Nel centrosinistra, invece, è un caos, come al solito.
Tutti balleranno da soli, come stanno già facendo, un valzer che ricorda l’ultimo ballo sul Titanic.
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Giorgia Meloni (Ansa)
Ne è scaturita una dichiarazione finale dei leader europei che riprende tutte le priorità che l’Italia ha sostenuto in questi mesi difficili, e che ho ribadito anche martedì scorso accogliendo a Roma il presidente Zelensky. Il cammino verso la pace, dal nostro punto di vista», aggiunge la Meloni, «non può prescindere da quattro fattori fondamentali: lo stretto legame tra Europa e Stati Uniti, che non sono competitor in questa vicenda, atteso che condividono lo stesso obiettivo, ma hanno sicuramente angoli di visuale non sovrapponibili, dati soprattutto dalla loro differente posizione geografica. Il rafforzamento della posizione negoziale ucraina, che si ottiene soprattutto mantenendo chiaro che non intendiamo abbandonare l’Ucraina al suo destino nella fase più delicata degli ultimi anni». Quanto agli altri due fattori, la Meloni non si esime dall’avvertire dei rischi che correrebbe l’Europa se Vladimir Putin fosse lasciato libero di ottenere tutto quello che vuole: «La tutela degli interessi dell’Europa», incalza la Meloni, «che per il sostegno garantito dall’inizio del conflitto, e per i rischi che correrebbe se la Russia ne uscisse rafforzata, non possono essere ignorati e il mantenimento della pressione sulla Russia, ovvero la nostra capacità di costruire deterrenza, di rendere cioè la guerra non vantaggiosa per Mosca. Come sta, nei fatti, accadendo. Oltre la cortina fumogena della propaganda russa», argomenta il premier, «la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in una durissima guerra di posizione, tanto che, dalla fine del 2022 ad oggi, è riuscita a conquistare appena l’1,45% del territorio ucraino, peraltro a costo di enormi sacrifici in termini di uomini e mezzi. È questa difficoltà l’unica cosa che può costringere Mosca a un accordo, ed è una difficoltà che, lo voglio ricordare, è stata garantita dal coraggio degli ucraini e dal sostegno occidentale alla nazione aggredita». La Meloni entra nel merito di quanto sta accadendo in queste ore: «Il processo negoziale», spiega ancora, «è in una fase in cui si sta consolidando un pacchetto che si sviluppa su tre binari paralleli: un piano di pace, un impegno internazionale per garantire all’Ucraina solide e credibili garanzie di sicurezza, e intese sulla futura ricostruzione della nazione aggredita. È chiaramente una trattativa estremamente complessa, che per arrivare a compimento non può, però, prescindere dalla volontà della Russia di contribuire al percorso negoziale in maniera equa, credibile e costruttiva. Purtroppo, ad oggi, tutto sembra raccontare che questa volontà non sia ancora maturata. Lo dimostrano i continui bombardamenti su città e infrastrutture ucraini, nonché sulla popolazione inerme, e lo confermano le pretese irragionevoli che Mosca sta veicolando ai suoi interlocutori. La principale delle quali riguarda la porzione di Donbass non conquistata dai russi. A differenza di quanto narrato dalla propaganda», insiste ancora la Meloni, «il principale ostacolo a un accordo di pace è l’incapacità della Russia di conquistare le quattro regioni ucraine che ha unilateralmente dichiarato come annesse già alla fine del 2022, addirittura inserendole nella costituzione russa come parte integrante del proprio territorio. Da qui la richiesta russa che l’Ucraina si ritiri quantomeno dall’intero Donbass. È chiaramente questo, oggi, lo scoglio più difficile da superare nella trattativa, e penso che tutti dovremmo riconoscere la buona fede del presidente ucraino, che è arrivato a proporre un referendum per dirimere questa controversia, proposta, però, respinta dalla Russia. In ogni caso, sul tema dei territori, ogni decisione dovrà essere presa tra le parti e nessuno può imporre da fuori la sua volontà». Si arriva agli asset russi: «L’Italia», sottolinea la Meloni con estrema chiarezza, «ha deciso venerdì scorso di non far mancare il proprio appoggio al regolamento che ha fissato l’immobilizzazione dei beni russi senza, tuttavia ancora avallare, ancora, alcuna decisione sul loro utilizzo. Nell’approvare il regolamento», precisa, «abbiamo voluto ribadire un principio che consideriamo fondamentale: decisioni di tale portata giuridica, finanziaria e istituzionale, come anche quella dell’eventuale utilizzo degli asset congelati, non possono che essere prese al livello dei leader. Intendiamo chiedere chiarezza rispetto ai possibili rischi connessi alla proposta di utilizzo della liquidità generata dall’immobilizzazione degli asset, particolarmente quelli reputazionali, di ritorsione o legati a nuovi, pesanti, fardelli per i bilanci nazionali». L’ipotesi di una forza multinazionale resta in discussione «con partecipazione volontaria di ciascun Paese», sostiene ancora la Meloni, ma «l’Italia non intende inviare soldati in Ucraina». Nelle repliche la Meloni ha gioco facile a rispondere alle critiche delle opposizioni, divise ancora una volta. A chi le chiede di scegliere tra Europa e Stati Uniti, la Meloni risponde di «stare con l’Italia» e rivolgendosi al Pd ricorda che se l’Europa rischia l’irrilevanza è per le politiche portate avanti negli ultimi anni dalla sinistra.
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