2025-07-20
Basta con i pm a caccia di condanne. Nordio: con assoluzioni, zero ricorsi
Carlo Nordio (Imagoeconomica)
Il Guardasigilli vuole ridare dignità al giudizio di primo grado, ormai considerato una «bozza» da rivedere in Appello: «Come può esserci una condanna oltre ogni ragionevole dubbio se una toga ha già dubitato?».La giustizia come altalena, un’anomalia tutta italiana. Che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha deciso di affrontare mettendo mano a uno dei nervi scoperti dell’ordinamento giudiziario: le impugnazioni del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione. «Rimedieremo», annuncia il Guardasigilli. L’idea è questa: «Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili». E aggiunge: «Al di là delle implicazioni politiche di questa scelta inusuale, si pone il problema tecnico».Non è un fulmine a ciel sereno. Già molto tempo prima del «ricorso per saltum» avanzato dalla Procura di Palermo contro la sentenza di assoluzione per l’ex ministro dell’Interno oggi vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, che porta il procedimento direttamente in Cassazione saltando l’Appello, il ministro della Giustizia era al lavoro sulle impugnazioni del pubblico ministero. Lo dice da tempo. Lo ha scritto, lo ha ribadito in alcune interviste e ora annuncia una proposta concreta (accompagnata da una relazione tecnica, si apprende da fonti di via Arenula), da sviluppare dopo l’estate. Stop al potere del pm di appellare le assoluzioni, come già avviene da un anno in caso di proscioglimento per i reati minori di competenza del giudice monocratico. In pratica, il pubblico ministero non potrà più chiedere la riforma di una sentenza assolutoria, cercando di trasformare un verdetto di non colpevolezza in una condanna.Ma stavolta il Guardasigilli va oltre: vuole estendere questa limitazione a tutti i procedimenti penali. Una riforma profonda, che punta a ricostruire equilibrio di garanzia e a fornire piena dignità al giudizio di primo grado, troppo spesso trattato come una bozza correttiva da riscrivere. Nel sistema attuale, infatti, l’assoluzione non ha un valore pieno, ma provvisorio. E viene percepita come una tappa intermedia. «Altrimenti», ammonisce il Guardasigilli, «finiamo a ciò che è avvenuto col caso Garlasco (in cui Alberto Stasi è stato assolto due volte e poi condannato a 16 anni con una sentenza definitiva, ndr)». Un procedimento penale che si è trasformato in una catena di verdetti, smentite e ribaltamenti, fino all’ultima sentenza buona per l’accusa. E che, nella narrazione del ministro, diventa emblema processuale e chiave di lettura della riforma: «Come può intervenire una condanna oltre ogni ragionevole dubbio quando un giudice ha già dubitato e ha assolto? (nel caso di Garlasco per due volte, ndr)». Una domanda retorica, ma che centra il cuore della questione: il secondo grado non è un nuovo processo, ma un’illusione di secondo giudizio.Il Guardasigilli lo aveva già spiegato a Porta a porta il 27 maggio scorso: «L’Appello oggi è un vino nuovo messo in una botte vecchia». Una metafora efficace, che smonta la narrazione secondo cui il secondo grado sarebbe una garanzia in più. Non lo è se non si formano di nuovo le prove, se non si risentono i testimoni, se non si ricostruisce il dibattimento. E, invece, spiegò Nordio, «l’Appello si costruisce su un processo che è già stato costruito». Inoltre, secondo il Guardasigilli, «se una persona viene condannata in secondo grado dopo essere stata assolta in primo grado, può solo ricorrere per Cassazione e, quindi, non può avere il secondo giudizio di merito che, invece, ci viene riconosciuto e imposto dalla stessa Europa». Il riferimento è alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che impone agli Stati membri di garantire un doppio grado reale di giudizio sul merito delle accuse. Ma nella pratica italiana, questo secondo grado, stando all’interpretazione del Guardasigilli, sarebbe solo apparente.La soluzione, in caso di errore, sarebbe quella di rifare il processo: «Se un processo è stato mal condotto, si rifà da capo», concluse il ministro, «come si fa negli ordinamenti anglosassoni». Negli ordinamenti del common law, infatti, i processi si rifanno con prove nuove, non con riletture burocratiche di quanto è stato già raccolto. E, soprattutto, il principio del «beyond a reasonable doubt», oltre ogni ragionevole dubbio, è sacro. Se c’è dubbio, si assolve. Punto. E l’assoluzione non si può impugnare. L’idea vede d’accordo Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale all’Università Roma Tre. «La Costituzione», ricorda il prof, «non garantisce il ricorso in Appello, ma soltanto quello per Cassazione e quindi, per paradosso, si potrebbe eliminare l’impugnazione in secondo grado per tutti, anche per quanto riguarda i procedimenti all’attenzione dei giudici civili». In presenza di condanna, invece, «ovviamente», afferma Celotto, «va lasciato, perché rappresenta una fondamentale forma di garanzia». E non è finita. Secondo Celotto, «l’eliminazione del ricorso in Appello per le sentenze di assoluzione, accompagnata da una concreta politica deflattiva, può, a mio modo di vedere, essere una delle ricette percorribili per cercare di rendere più umani i tempi della giustizia».Il prof lo dice a chiare lettere: «Non giriamoci intorno, la riforma Cartabia non ha prodotto risultati concreti sul numero dei processi che vengono incardinati nei nostri tribunali; i processi durano ancora troppo». Nordio, però, attribuisce delle responsabilità, oltre che agli aspetti tecnici, anche a quelli umani: «La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza». Quella di un’assoluzione non impugnabile.
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