Il gioco sporco dei servizi francesi. «Se vince Bardella rischio di violenze»

L’uomo smascherato. Il leader della sinistra francese Kylian Mbappé ha ribadito che «è urgente votare, l’altra domenica i risultati sono stati catastrofici. Uscite di casa e fate la scelta giusta, non possiamo lasciare il Paese in mano a certa gente». Costretto a giocare in maschera per via del naso rotto, il calciatore ha scambiato le conferenze stampa degli Europei per un talk show de La7 e ripete da un paio di settimane lo stesso mantra, sperando di essere più convincente di Jean Luc Mélenchon e della sua armata «Brancalèon».
L’arruolamento del miliardario operaista che colleziona Bugatti (nel Real Madrid guadagnerà 137.000 euro al giorno per cinque anni) ha un che di patetico, conferma lo sbandamento della gauche dopo le elezioni europee e in vista del ballottaggio di domani. Ieri il portavoce del Rassemblement national, Laurent Jacobelli, gli ha risposto con un certo fastidio: «Io non andrò certo su un terreno di gioco a dare consigli da allenatore, credo che ognuno debba rimanere al proprio posto. Il campo giusto per Mbappé è la nazionale francese. Indossa la maglia della Francia, la maglia di tutti i francesi, quale che sia il loro voto». Una piccola lezione di democrazia a chi - afflitto dalla sindrome di Fedez - fatica a percepirla come qualcosa di più ampio e rispettabile del proprio ombelico diamantato.
Accompagnata da psicodrammi finti e da qualche paura vera, la Francia si appresta ad andare alle urne per la resa dei conti. Appartiene a quest’ultima categoria l’uscita dei Servizi segreti transalpini, che paventano «rischi di violenze urbane con la vittoria del Rassemblement national». Un allarme generico che tiene conto di due fattori: la violenza non solo verbale soprattutto dell’estrema sinistra nelle banlieue e la volontà dei servizi dell’Eliseo di provare a intimidire gli elettori moderati. Emmanuel Macron con le spalle al muro finora non ha rinunciato a nulla, neppure a nominare all’ultimo minuto una raffica di prefetti e capi della polizia, in quello che Marine Le Pen ha definito «un golpe amministrativo». La polarizzazione è assoluta, di conseguenza il clima è mefitico anche per la consuetudine progressista di allestire «cordoni sanitari» fuori dal tempo. Ieri il ministro dell’Interno uscente, Gérald Darmanin, ha rivelato che «finora 51 fra candidati, attivisti e militanti sono stati aggrediti fisicamente. Abbiamo avuto più di una trentina di arresti dopo episodi talvolta gravissimi con ricoveri in ospedale. Tutto ciò senza contare le aggressioni verbali. Si tratta di profili estremamente variabili, la gente è molto tesa e i militanti politici più pericolosi sono quelli dell’ultrasinistra e dell’ultradestra». Il ministro, definito un «gollista sociale» (praticamente una stampella di centrodestra dentro l’ultimo esecutivo macroniano), è la conferma plastica del minestrone politico alla base della fibrillazione sociale in atto. Nel predisporre uno schieramento di forze dell’ordine inedito - 30.000 fra poliziotti e gendarmi (5.000 nella sola Parigi) - ha annunciato che la Gendarmeria non farà sconti e «saranno presi provvedimenti immediati dopo le denunce». Manca solo il coprifuoco.
La vigilia è tesa e i numeri si inseguono senza fine. Gli ultimi sondaggi danno in vantaggio il Rassemblement national con il 36% (dai 220 ai 240 seggi), comunque lontano dalla soglia di 289 necessaria per ottenere la maggioranza assoluta. Secondo un’indagine Ifop le desistenze inventate dalla sinistra funzionerebbero meno del previsto: il Nuovo Fronte Popolare sarebbe fra 180 e 200 seggi, Macron arranca sul Tourmalet fra 95 e 120. Eppure nel segno di un presidenzialismo simil monarchico (altro che premierato) dovrà essere lui a gestire il giorno dopo.
Ieri, con un effetto sorpresa di notevole impatto mediatico, il presidente onorario delle comunità ebraiche francesi (Crif) si è schierato con Marine Le Pen. «In caso di duello fra il Rn di Jordan Bardella e La France Insoumise di Mélenchon» ha sottolineato Richard Prasquier, «voterò i primi. È arrivato il momento di guardare con occhi differenti il Rassemblement national. Le parole dei suoi dirigenti dopo il 7 ottobre hanno mostrato un’empatia per Israele che avremmo voluto percepire anche altrove. Mettere sullo stesso piano i due schieramenti è un atteggiamento sorpassato. Il Fronte popolare si è più volte rifiutato di muovere la benché minima critica dell’operato di Hamas». Prasquier ha poi liquidato la coalizione di sinistra come «un’accozzaglia di persone che si insultano, con posizioni separate, impossibili da sintetizzare in un progetto comune».
Egualmente deciso a dare credito a Le Pen è il filosofo Alain Finkielkraut, tutt’altro che uno spirito reazionario. In un’intervista al Corriere della Sera si è detto «preoccupato e infelice per la catastrofica decisione di Macron di andare a elezioni anticipate. Adesso ci troviamo con due blocchi estremi. E a sinistra comanda quella radicale, ovvero antisemita. Perché l’antisemitismo de La France Insoumise non è marginale, è programmatico, una scelta di società. Dall’altra parte Rn non è più un partito pétainista, non è più la peste bruna. Non voterò mai un candidato dell’Nfp, non voglio pogromisti all’Assemblea Nazionale».
Con la mossa del cavallo, Bardella ha confermato che se dovesse diventare premier si occuperebbe subito di lavoro, sanità e agricoltura. E per trovare i fondi sarebbe pronto «a tagliare di 2-3 miliardi il contributo della Francia al bilancio dell’Ue. Siamo contribuenti netti, quindi meno diamo all’Ue, più possiamo trasferire all’economia francese». Fra le associazioni che lo ascoltavano è partito il boato. Più che a un gol di Mbappé.






