
Il governo continua a bluffare sulla revoca della concessione ad Autostrade, mentre la mina rischia di esplodere nei bilanci delle banche, non solo italiane.
Mercoledì sera il vertice a Palazzo Chigi si è concluso con uno stallo delle trattative tra Atlantia e Cdp. E l'ennesimo ultimatum, ormai poco credibile: 10 giorni per accettare l'accordo del 14 luglio, o scatta la revoca. «La questione ritorna al primo Consiglio dei ministri utile», si è limitato a commentare ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. I suoi ministri provano a fare di nuovo la voce grossa. «La revoca è più probabile», ha detto il ministro dei Trasporti, Paola De Micheli. Le ha fatto eco quello dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, in un'intervista a Bloomberg: «Le trattative nelle ultime ore mi portano a dire che non solo una revoca è possibile, ma se Atlantia non si rende conto di quello che sta succedendo, è anche l'esito più probabile». Il governo ha inoltre inviato una lettera ai vertici di Atlantia e Autostrade definendo le ultime proposte da loro avanzate «non coerenti» con gli impegni presi a luglio e ritenendo quindi «allo stato infruttuoso il tentativo, sin qui esperito, di definire transattivamente la vertenza». Ieri le azioni Atlantia hanno perso in Borsa il 2,16% e la holding ha presentato un nuovo esposto alla Consob (inviandolo anche ai servizi competenti della Commissione europea) chiedendo di valutare urgentemente i provvedimenti da adottare a seguito delle dichiarazioni rilasciate a mercati aperti dai ministri Patuanelli e De Micheli che hanno determinato la sospensione delle negoziazioni per eccesso di ribasso. In una nota ieri Atlantia ha anche aggiunto che le minacce di revoca «risultano in aperto contrasto con la clausola contenuta nell'atto transattivo inviato formalmente ad Aspi lo scorso 23 settembre».
Tra esposti, missive e dichiarazioni bellicose, a temere uno schianto al casello ora sono le banche, italiane e straniere, più esposte con la holding Atlantia. Un'eventuale revoca della concessione provocherebbe un default da 16,5 miliardi di euro, oltre al blocco degli investimenti e di circa 7.000 posti di lavoro. Il che, tradotto, vorrebbe dire rendere inesigibili circa 10 miliardi di debito in capo ad Aspi e altri 9 miliardi riferibili alla controllante Atlantia. Dei 19 miliardi di debito a rischio, circa 10 miliardi sono riconducibili a finanziamenti bancari. Unicredit vedrebbe messo a repentaglio oltre 1 miliardo di euro, altrettanto la banca francese Bnp Paribas, per Intesa Sanpaolo si parlerebbe di un'esposizione di circa 800 milioni mentre per la Bei, la Banca europea degli investimenti, la somma salirebbe attorno a 1,3 miliardi. Senza contare le obbligazioni: il bond retail da 750 milioni di Autostrade sottoscritto anche da migliaia di piccoli risparmiatori, un'emissione istituzionale di Atlantia da 1,75 miliardi e altri bond destinati agli istituzionali per 6,4 miliardi collocati da Autostrade. Tra i sottoscrittori ci sarebbero, almeno stando alla lista di chi ha acquistato fin da subito le obbligazioni, alcuni degli investitori istituzionali più rilevanti a livello globale come Amundi, Cardiff, Deka. Tutti i contratti di finanziamento bancari e i prestiti obbligazionari conterrebbero la clausola «Change of Control» che prevede a banche e investitori istituzionali sottoscrittori dei bond di chiedere il rimborso anticipato del finanziamento nel caso in cui Aspi o Atlantia perdano il controllo delle concessioni. Un default di Atlantia potrebbe ripercuotersi anche sulle altre controllate del gruppo, come le autostrade spagnole Abertis, su cui gravano altri 18 miliardi di debiti.
Di certo, l'incertezza è il peggior nemico del mercato e degli investitori. Come alcuni di quelli che hanno puntato danarose fiches su Atlantia e che ora starebbero prendendo in considerazione l'ipotesi di lanciare un'azione collettiva contro il governo italiano. Senza dimenticare che tra i soci di Aspi ci sono il gruppo tedesco Allianz e il fondo cinese Silk Road. Il rating junk delle società del gruppo, il rifinanziamento del debito di Autostrade per l'Italia e la necessità di ridurre il debito nella holding (5 miliardi di euro) portano gli analisti a credere ancora che verrà trovata una soluzione con il governo per il passaggio del controllo di Aspi. Ma la tensione resta alta. Non è un caso se nei giorni scorsi la Ue è scesa in campo, lanciando di fatto un assist ai Benetton. In ballo ci sono i conti di molte big del credito europee. E nel fare pressioni su Conte, l'Europa può sempre contare sul manico del coltello chiamato Recovery Fund.






