2023-12-15
Daniele Novara: «Togliete i bambini agli “esperti”. Servono genitori più responsabili»
Nel riquadro, il pedagogista Daniele Novara (IStock)
Per il pedagogista «c’è un eccesso di medicalizzazione: ormai anche litigare col fratellino è considerato un disturbo. Il papà che gioca troppo non va bene, ci vuole autorità. E occhio agli specialisti influencer».Daniele Novara è senz’altro uno dei più celebri e stimati pedagogisti italiani. Ho conversato con lui nel corso del programma Ztl su radio GiornaleRadio (sul sito è rintracciabile la versione integrale dell’intervista), prendendo le mosse da un libro che ha realizzato per il Comune di San Donato Milanese, rivolto ai genitori e intitolato Educati e felici.Su che cosa significhi educazione ci stiamo arrovellando da tempo, dunque le chiedo: come si devono educare secondo lei i bambini, specie i più piccoli diciamo fino ai sei anni?«Educazione è uno dei termini più inflazionati, viene usato come contenitore, con un significato metaforico più che reale. Un bambino educato è il bambino che si sintonizza con le sue risorse, che sviluppa tutte le sue autonomie, che impara quello che deve imparare in relazione alla sua età. In altre parole che fa il bambino. Potremmo dire che il bambino educato sia quello che fa le cose giuste in relazione alla sua età, ovviamente aiutato dai genitori».La sensazione però è che oggi i genitori non siano ritenuti in grado di svolgere il proprio compito. Per questo proliferano esperti di ogni genere pronti a consigliarli, tutorial eccetera. Sembra che ci voglia una laurea (o più di una) per crescere i bambini, cosa che un tempo si faceva senza porsi eccessivi problemi. Non stiamo esagerando? «Oggi i genitori sono particolarmente fragili. Sono la generazione dei bambini cresciuta davanti alla televisione commerciale, sono i bambini degli anni Ottanta, che venivano ritirati dai cortili e dalle strade per finire davanti allo schermo. Allo stesso tempo è nata una pletora di presunti esperti di ogni tipo che ti propina qualsiasi cosa. Il Web è saturo di questi pseudo specialisti che sulla base di un fai-da-te imbarazzante propina ai genitori le cose più truci. Ci sono influencer, non so come definirli altrimenti, che sfruttano l’ingenuità e la fragilità dei genitori i quali, avendo perso il baricentro la loro titolarità educativa, si arrabattano in qualche modo».Sembra che ci sia stata una sorta di medicalizzazione di ogni aspetto dell’esistenza. Senza un esperto o un manuale non si può fare nulla. Eppure non sembra che i bambini di oggi crescano poi molto meglio rispetto a quando giocavano in cortile da soli. «Non c’è dubbio. Tempo fa ho scritto un libro intitolato Non è colpa dei bambini, molto critico verso i processi di neuromedicalizzazione, che sono quasi tutti arbitrari. Le diagnosi che si fanno sono quasi tutte in eccesso, legate, diciamolo pure, anche a un business molto sostanzioso che non sembra avere molti scrupoli né nei riguardi dei bambini né dei genitori».Certo, in quel libro parlava delle certificazioni che oggi si fanno a tantissimi ragazzi per ogni tipo di disturbo. «Sì. Però prima di parlarne vorrei fare un passo indietro sul tema degli esperti. Siamo in una società estremamente complessa: se io compro una normalissima macchina, oggi come oggi, devo per forza avere qualcuno che mi dia qualche dritta perché il livello di tecnologia è enorme. Qualcosa di simile avviene anche nell’ambito della gestione dei figli, perché i bambini sono dentro a una società molto complessa e hanno sollecitazioni continue. Quindi il problema di fatto non è l’esperto, ma la qualità dell’esperto».Torniamo alla medicalizzazione. «È un vero disastro, contro cui continuo a battermi. Proprio quest’anno i bambini 104, cioè i bambini disabili - che sono quasi tutti disabili sul piano dei disturbi emotivi - sono arrivati al 4%. Cioè quattro bambini su 100 sono considerati disabili. Le loro famiglie prendono in genere un assegno per la loro disabilità, il papà o la mamma possono stare a casa tre giorni al mese eccetera. Ma non parliamo, attenzione, di bambini in carrozzina, no. Io sto parlando di quelli a cui vengono riconosciuti i cosiddetti disturbi dello sviluppo. Pensate che tra questi disturbi ci sarebbe anche il disturbo della avversità tra fratelli. Come se i fratelli non potessero litigare... Capisce di che assurdità parliamo?».Frank Furedi, anni fa, parlava di un «eccesso di psicologia», una deriva terapeutica che crea generazioni fragilissime. È così? «Questa può essere un’interpretazione ma io seguo altre strade. Penso che ci sia stato un passaggio antropologico, una mutazione antropologica: dalla società dell’appartenenza e in qualche modo anche dell’autorità siamo passati a una società estremamente orizzontale orientata totalmente al narcisismo dove fare gioco di squadra, e riuscire quindi ad aiutarsi in uno sforzo comune, è sempre più difficile. Perché tutto è gara, tutto è competizione... Ma senz’altro sono d’accordo con lei: c’è un eccesso di psicoterapia, specialmente di neuropsichiatria sui bambini». Abbiamo passato settimane a litigare sull’educazione all’affettività, l’educazione al rispetto... Forse più che la violenza maschile qui il problema è proprio l’assenza di autorità.«Io non sono un tipo nostalgico, quindi non mi pongo questi problemi. Però chiedo a tutti i genitori che mi seguono di fare appunto i genitori: i bambini fanno i bambini, i figli fanno i figli, e voi fate i genitori. Quindi per favore non diventate compagni di gioco dei vostri figli, perché questo è un compito che spetta ai compagni e alle compagne dei vostri figli e delle vostre figlie, che devono giocare tra di loro. Il papà che si mette a quattro zampe e fa il cavallo come se fosse la cosa più normale di questo mondo... non può funzionare. Se un bambino, specialmente fra gli 8 e i 10 anni, non acquisisce il senso dell’autorità questo si riverbera negativamente sui suoi comportamenti scolastici, sociali, sportivi. Il senso dell’autorità è un dato psicoevolutivo, non è un dato politico, deve essere chiaro». Non voglio buttarla in politica. Voglio dire che abbiamo distrutto un modello sociale e non siamo riusciti a sostituirlo con altro. E pensiamo di cavarcela con i corsi nelle scuole. Mi sembra, di nuovo, un’invasione di campo da parte di medici o scienziati che vengono a dirti come ti devi relazionare al prossimo. Ma il modo di relazionarsi dovresti averlo imparato dai tuoi genitori, dai tuoi amici. Anche dentro la scuola, ma a lezione.«Io sono dell’idea che bisogna rafforzare gli insegnanti e non portare a scuola i vigili urbani o i poliziotti a parlare di bullismo o altri a fare l’educazione sessuale… Sono gli insegnanti i titolari di tutto questo. Dobbiamo assolutamente restituire autorevolezza ai docenti, ma è un’autorevolezza pedagogica. Rafforziamo gli insegnanti dando loro una formazione pedagogica». Forse dovremmo rafforzare anche i genitori. I quali hanno perso responsabilità che poi vengono scaricate sulla scuola, da cui ci si aspetta che si occupi di tutto...«Sì, sono d’accordo. Il caso più drammatico è la medicalizzazione che citavo prima. Una volta c’era il bambino difficile, adesso c’è solo il bambino che ha un disturbo. A volte nelle mie serate per genitori chiedo, per alzata di mano, chi fra i presenti scriva in stampatello. C’è sempre un 20% che lo fa. E allora dico, papale papale: “Signori, siete disgrafici. Ma siete sopravvissuti, siete arrivati fino a qua”. Vuol dire che non dobbiamo ingigantire i problemi, ma restituire ad ogni bambino il suo spazio di crescita, il suo spazio di affermazione, il suo spazio di successo e questo vale anche per i genitori. È quello che faccio nel mio lavoro, dico ai genitori: prendetevi la responsabilità».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.