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2023-07-07
Novant'anni fa la «Crociera aerea del Decennale» di Italo Balbo
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Gli S-55X italiani sorvolano Chicago il 15 luglio 1933 (Getty Images)
Un rombo sordo, sempre più forte, sempre più vicino. Questo si udì nel cielo di Chicago in festa alle 16:33 (23:33 ora italiana) del 15 luglio 1933. Alzarono lo sguardo i visitatori dell’esposizione mondiale Chicago World’s Fair – Century of Progress e videro le sagome nere, simili a rapaci con gli artigli protesi, di una formazione di idrovolanti.
Erano gli aerei della Squadriglia Atlantica italiana, a pochi minuti dal coronamento della più grande impresa aeronautica dalle origini del volo: la trasvolata dell’Atlantico da Orbetello a Chicago (e ritorno) guidata dal Generale Italo Balbo. Dall’alto delle loro cabine di pilotaggio anche gli aviatori videro qualcosa di spettacolare: una fiumana di spettatori brulicava sotto i loro occhi nei pressi del punto di atterraggio sulle rive del lago Michigan. Solo un’ultima manovra e poi, ad uno ad uno, i 24 Savoia S-55X toccarono il pelo dell’acqua increspando di onde le rive dell’idroscalo. La prima parte della «Crociera Atlantica del Decennale» si era conclusa.
Non era la prima volta che Italo Balbo, quadrumviro del fascismo e prima ancora alpino durante la Grande Guerra, attraversava l’Atlantico con un aeroplano. Pilota soltanto dal 1927, promosse due trasvolate del Mediterraneo e tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931 portò a termine la crociera Italia-Brasile (da Orbetello a Rio de Janeiro) ma solo andata, impresa che richiese il tributo di sangue pagato con la vita di cinque aviatori.
La personalità del futuro Maresciallo dell’Aria e Governatore della Libia lo spinse ad andare oltre. Appena terminata l’impresa brasiliana già preparava quella che lo avrebbe portato al record nelle trasvolate. Dalla sua base di Orbetello, vicino a quella Punta Ala che Balbo aveva eletto a suo buen retiro, lavorò incessantemente con gli allievi della scuola da lui fondata: la NADAM (Navigazione Aerea Di Alto Mare) formò una selezione di piloti integrando la loro perizia con le tecniche di pilotaggio e di radionavigazione necessarie ad un volo transatlantico. Gli apparecchi scelti da Balbo per questo secondo balzo al di là dell’Atlantico erano sempre i vecchi (il progetto era del 1923) ma affidabili Savoia Marchetti S-55 idrovolanti, opportunamente aggiornati e forniti di una coppia di più potenti e affidabili motori Isotta Fraschini 750 Asso in grado di fornire una potenza di 1.500Cv e dotati di nuove eliche tripala metalliche a passo variabile, mentre l’aerodinamica di diversi elementi come la imponente cappottatura del motore era stata migliorata. All’impresa avrebbe partecipato la Regia Marina con l’appoggio della motonave Alice, due vedette, due sommergibili oltre a imbarcazioni messe a disposizione dalla Marina danese. Il carburante avio del tipo Stanavo fu fornito dalla Società Italo Americana Pel Petrolio (SIAP), di fatto la Exxon in Italia. I nuovi idrovolanti furono ribattezzati S-55X dove la X stava per il numero romano 10, a simboleggiare il decennale della nascita della Regia Aeronautica. Inizialmente la crociera avrebbe dovuto celebrare i primi dieci anni dell’Italia fascista, ma i tempi di preparazione non resero possibile l’impresa nel 1932.
La partenza da Orbetello fu fissata per il 1°luglio 1933, lungo una rotta che avrebbe portato più di cento uomini divisi in otto squadriglie alla prima tappa di Amsterdam, raggiunta dopo la traversata delle Alpi sopra il passio Spluga. All’ammaraggio, la prima vittima. Per il ribaltamento dell’S55X I-BALD, rimaneva ucciso il sergente motorista Ugo Quintavalle e ferito il resto dell’equipaggio. Senza festeggiamenti a causa del grave incidente, la squadra ripartì alla volta di Londonderry attraverso un canale della Manica coperto da nubi basse e pioggia, questa volta senza incidenti. La terza tappa, Reykjavik, fu raggiunta non senza difficoltà a causa della persistente nebbia lungo buona parte del volo compiuto alla velocità media di 240 km/h (un buon risultato per il tipo di apparecchio). Il balzo verso il continente americano sarebbe stata la tappa seguente, da Reykjavik a Cartwright nella provincia canadese del Labrador. Il «nuovo continente» fu raggiunto dopo una trasvolata rallentata da venti contrari ma conclusasi felicemente dopo 12 ore alle ore 19:55 locali. In Canada gli idrovolanti di Balbo toccheranno ancora Shediac (New Brunswick) e Montreal nel Québec prima del bagno di folla in una Chicago in festa per l’esposizione mondiale. Erano passati 15 giorni dal decollo dal mar Tirreno. Sferzate dal vento, gelate dalle temperature della rotta subpolare, le ali degli S-55X avevano tagliato l’aria per oltre 10mila chilometri. La permanenza a Chicago degli Atlantici previde la visita al padiglione italiano dell’esposizione, un edificio dalle forme futuristiche che ricordavano quelle di un aeroplano. Fu inaugurato, all’occasione, un cippo commemorativo dell’impresa ancora oggi visibile lungo il Lakefront Trail e durante le cerimonie Italo Balbo fu omaggiato delle chiavi della città dal sindaco Richard J.Daley e del nome nativo di «Grande capo Aquila Volante» dalla comunità Sioux presente all’evento. Il secondo grande bagno di folla, alimentato dai molti italo-americani presenti, fu a New York dove la Squadriglia atlantica giunse per l’ultima tappa statunitense il 19 luglio. Qui Balbo e i suoi aviatori furono protagonisti di una delle più importanti «tape-parade» (le sfilate tra le strisce di carta e i coriandoli) dai tempi della Grande Guerra. Ricevettero l’abbraccio della folla al Madison Square Garden e furono successivamente invitati a Washington dal presidente Franklin D. Roosevelt. L’Italia del progresso fascista toccò qui il suo punto massimo di gloria. Ma già il comandante pensava alle difficoltà della rotta di ritorno, completamente diversa da quella inizialmente studiata. Il Nord dell’Atlantico presentava ancora troppi pericoli per aerei come l’S-55. Balbo risolse allora per una rotta meridionale che avrebbe fatto tappa alle isole Azzorre per rientrare infine su Roma. La partenza dalla Grande Mela avvenne il 25 luglio con destinazione nuovamente Shediac per poi toccare Shoal Harbor (Terranova) prima del grande balzo di 2.700 chilometri sopra l’Oceano per raggiungere Horta e Ponta Delgada. Il viaggio, lungo oltre 10 ore, fu durissimo. Scariche elettrostatiche temporalesche e nebbia misero a dura prova gli aviatori che avevano l’ulteriore peso di dover mantenere con grande rischio il volo in formazione. Tuttavia il vento a favore permise di mantenere a 240 Km/h la velocità media e le squadriglie ammararono. La morte chiese il suo ultimo tributo nel volo dalle Azzorre a Lisbona quando l’S-55X marche I-RANI capottava in decollo per un’onda mal tagliata. A perdere la vita il co-pilota dell’idrovolante, tenente Enrico Squaglia. A causa dell’incidente appena subìto, i festeggiamenti previsti a Lisbona furono cancellati e rimandati alla tappa conclusiva di 2.200 chilometri. Salutato l’Atlantico per sempre, i piloti ebbero un assaggio dell’eccitazione a terra quando sorvolarono Porto Torres in Sardegna e videro le strade assolate gremite di uomini e donne che salutavano i trasvolatori. Alle 18:45 l’S-55X marche I-BALB (quello del comandante) rompeva le acque placide dell’idroscalo di Roma – Carlo del Prete, seguito da tutti gli altri idrovolanti superstiti. Era il 12 agosto 1933. Il giorno seguente Benito Mussolini ricevette gli aviatori del record nella cornice dello Stadio di Domiziano e abbracciò il comandante Balbo, da quel momento Maresciallo dell’Aria.
In breve tempo l’atmosfera, proprio come sull’Atlantico, cambiò radicalmente. Le sorti progressive raccolte da fascismo-regime nella fase di normalizzazione e appeasement internazionale lasciarono spazio alle tensioni diplomatiche e alle armi. Nel 1935 fu la volta della guerra in Etiopia e delle sanzioni. Poi la Spagna, dove l’aeronautica militare italiana fece le prove generali per la Seconda guerra mondiale. Italo Balbo la combattè soltanto per alcuni giorni perché la morte lo colse nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940 abbattuto dal fuoco amico. Non vedrà mai il progresso fulmineo dell’aviazione civile, che sulle rotte tracciate novant’anni fa dalla Squadra Atlantica, contribuì ad avvicinare l’America al Vecchio continente.
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Nel luglio 1933 l'impresa dell'aviazione italiana. Gli idrovolanti di Italo Balbo volarono da Orbetello a Chicago e tornarono a Roma dopo aver percorso ventimila chilometri. Fu il punto più alto della fama dell'Italia fascista prima della crisi internazionale e della guerra.Un rombo sordo, sempre più forte, sempre più vicino. Questo si udì nel cielo di Chicago in festa alle 16:33 (23:33 ora italiana) del 15 luglio 1933. Alzarono lo sguardo i visitatori dell’esposizione mondiale Chicago World’s Fair – Century of Progress e videro le sagome nere, simili a rapaci con gli artigli protesi, di una formazione di idrovolanti. Erano gli aerei della Squadriglia Atlantica italiana, a pochi minuti dal coronamento della più grande impresa aeronautica dalle origini del volo: la trasvolata dell’Atlantico da Orbetello a Chicago (e ritorno) guidata dal Generale Italo Balbo. Dall’alto delle loro cabine di pilotaggio anche gli aviatori videro qualcosa di spettacolare: una fiumana di spettatori brulicava sotto i loro occhi nei pressi del punto di atterraggio sulle rive del lago Michigan. Solo un’ultima manovra e poi, ad uno ad uno, i 24 Savoia S-55X toccarono il pelo dell’acqua increspando di onde le rive dell’idroscalo. La prima parte della «Crociera Atlantica del Decennale» si era conclusa. Non era la prima volta che Italo Balbo, quadrumviro del fascismo e prima ancora alpino durante la Grande Guerra, attraversava l’Atlantico con un aeroplano. Pilota soltanto dal 1927, promosse due trasvolate del Mediterraneo e tra il dicembre 1930 e il gennaio 1931 portò a termine la crociera Italia-Brasile (da Orbetello a Rio de Janeiro) ma solo andata, impresa che richiese il tributo di sangue pagato con la vita di cinque aviatori. La personalità del futuro Maresciallo dell’Aria e Governatore della Libia lo spinse ad andare oltre. Appena terminata l’impresa brasiliana già preparava quella che lo avrebbe portato al record nelle trasvolate. Dalla sua base di Orbetello, vicino a quella Punta Ala che Balbo aveva eletto a suo buen retiro, lavorò incessantemente con gli allievi della scuola da lui fondata: la NADAM (Navigazione Aerea Di Alto Mare) formò una selezione di piloti integrando la loro perizia con le tecniche di pilotaggio e di radionavigazione necessarie ad un volo transatlantico. Gli apparecchi scelti da Balbo per questo secondo balzo al di là dell’Atlantico erano sempre i vecchi (il progetto era del 1923) ma affidabili Savoia Marchetti S-55 idrovolanti, opportunamente aggiornati e forniti di una coppia di più potenti e affidabili motori Isotta Fraschini 750 Asso in grado di fornire una potenza di 1.500Cv e dotati di nuove eliche tripala metalliche a passo variabile, mentre l’aerodinamica di diversi elementi come la imponente cappottatura del motore era stata migliorata. All’impresa avrebbe partecipato la Regia Marina con l’appoggio della motonave Alice, due vedette, due sommergibili oltre a imbarcazioni messe a disposizione dalla Marina danese. Il carburante avio del tipo Stanavo fu fornito dalla Società Italo Americana Pel Petrolio (SIAP), di fatto la Exxon in Italia. I nuovi idrovolanti furono ribattezzati S-55X dove la X stava per il numero romano 10, a simboleggiare il decennale della nascita della Regia Aeronautica. Inizialmente la crociera avrebbe dovuto celebrare i primi dieci anni dell’Italia fascista, ma i tempi di preparazione non resero possibile l’impresa nel 1932. La partenza da Orbetello fu fissata per il 1°luglio 1933, lungo una rotta che avrebbe portato più di cento uomini divisi in otto squadriglie alla prima tappa di Amsterdam, raggiunta dopo la traversata delle Alpi sopra il passio Spluga. All’ammaraggio, la prima vittima. Per il ribaltamento dell’S55X I-BALD, rimaneva ucciso il sergente motorista Ugo Quintavalle e ferito il resto dell’equipaggio. Senza festeggiamenti a causa del grave incidente, la squadra ripartì alla volta di Londonderry attraverso un canale della Manica coperto da nubi basse e pioggia, questa volta senza incidenti. La terza tappa, Reykjavik, fu raggiunta non senza difficoltà a causa della persistente nebbia lungo buona parte del volo compiuto alla velocità media di 240 km/h (un buon risultato per il tipo di apparecchio). Il balzo verso il continente americano sarebbe stata la tappa seguente, da Reykjavik a Cartwright nella provincia canadese del Labrador. Il «nuovo continente» fu raggiunto dopo una trasvolata rallentata da venti contrari ma conclusasi felicemente dopo 12 ore alle ore 19:55 locali. In Canada gli idrovolanti di Balbo toccheranno ancora Shediac (New Brunswick) e Montreal nel Québec prima del bagno di folla in una Chicago in festa per l’esposizione mondiale. Erano passati 15 giorni dal decollo dal mar Tirreno. Sferzate dal vento, gelate dalle temperature della rotta subpolare, le ali degli S-55X avevano tagliato l’aria per oltre 10mila chilometri. La permanenza a Chicago degli Atlantici previde la visita al padiglione italiano dell’esposizione, un edificio dalle forme futuristiche che ricordavano quelle di un aeroplano. Fu inaugurato, all’occasione, un cippo commemorativo dell’impresa ancora oggi visibile lungo il Lakefront Trail e durante le cerimonie Italo Balbo fu omaggiato delle chiavi della città dal sindaco Richard J.Daley e del nome nativo di «Grande capo Aquila Volante» dalla comunità Sioux presente all’evento. Il secondo grande bagno di folla, alimentato dai molti italo-americani presenti, fu a New York dove la Squadriglia atlantica giunse per l’ultima tappa statunitense il 19 luglio. Qui Balbo e i suoi aviatori furono protagonisti di una delle più importanti «tape-parade» (le sfilate tra le strisce di carta e i coriandoli) dai tempi della Grande Guerra. Ricevettero l’abbraccio della folla al Madison Square Garden e furono successivamente invitati a Washington dal presidente Franklin D. Roosevelt. L’Italia del progresso fascista toccò qui il suo punto massimo di gloria. Ma già il comandante pensava alle difficoltà della rotta di ritorno, completamente diversa da quella inizialmente studiata. Il Nord dell’Atlantico presentava ancora troppi pericoli per aerei come l’S-55. Balbo risolse allora per una rotta meridionale che avrebbe fatto tappa alle isole Azzorre per rientrare infine su Roma. La partenza dalla Grande Mela avvenne il 25 luglio con destinazione nuovamente Shediac per poi toccare Shoal Harbor (Terranova) prima del grande balzo di 2.700 chilometri sopra l’Oceano per raggiungere Horta e Ponta Delgada. Il viaggio, lungo oltre 10 ore, fu durissimo. Scariche elettrostatiche temporalesche e nebbia misero a dura prova gli aviatori che avevano l’ulteriore peso di dover mantenere con grande rischio il volo in formazione. Tuttavia il vento a favore permise di mantenere a 240 Km/h la velocità media e le squadriglie ammararono. La morte chiese il suo ultimo tributo nel volo dalle Azzorre a Lisbona quando l’S-55X marche I-RANI capottava in decollo per un’onda mal tagliata. A perdere la vita il co-pilota dell’idrovolante, tenente Enrico Squaglia. A causa dell’incidente appena subìto, i festeggiamenti previsti a Lisbona furono cancellati e rimandati alla tappa conclusiva di 2.200 chilometri. Salutato l’Atlantico per sempre, i piloti ebbero un assaggio dell’eccitazione a terra quando sorvolarono Porto Torres in Sardegna e videro le strade assolate gremite di uomini e donne che salutavano i trasvolatori. Alle 18:45 l’S-55X marche I-BALB (quello del comandante) rompeva le acque placide dell’idroscalo di Roma – Carlo del Prete, seguito da tutti gli altri idrovolanti superstiti. Era il 12 agosto 1933. Il giorno seguente Benito Mussolini ricevette gli aviatori del record nella cornice dello Stadio di Domiziano e abbracciò il comandante Balbo, da quel momento Maresciallo dell’Aria. In breve tempo l’atmosfera, proprio come sull’Atlantico, cambiò radicalmente. Le sorti progressive raccolte da fascismo-regime nella fase di normalizzazione e appeasement internazionale lasciarono spazio alle tensioni diplomatiche e alle armi. Nel 1935 fu la volta della guerra in Etiopia e delle sanzioni. Poi la Spagna, dove l’aeronautica militare italiana fece le prove generali per la Seconda guerra mondiale. Italo Balbo la combattè soltanto per alcuni giorni perché la morte lo colse nel cielo di Tobruk il 28 giugno 1940 abbattuto dal fuoco amico. Non vedrà mai il progresso fulmineo dell’aviazione civile, che sulle rotte tracciate novant’anni fa dalla Squadra Atlantica, contribuì ad avvicinare l’America al Vecchio continente.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.
Muwaffaq Tarif, lo sceicco leader religioso della comunità drusa israeliana
Il gruppo numericamente più importante è in Siria, dove si stima che vivano circa 700.000 drusi, soprattutto nel Governatorato di Suwayda e nei sobborghi meridionali della capitale Damasco. In Libano rappresentano il 5% del totale degli abitanti e per una consolidata consuetudine del Paese dei Cedri uno dei comandanti delle forze dell’ordine è di etnia drusa. In Giordania sono soltanto 20.000 su una popolazione di 11 milioni, ma l’attuale vice-primo ministro e ministro degli Esteri Ayman Safadi è un druso. In Israele sono membri attivi della società e combattono nelle Forze di difesa israeliane (Idf) in una brigata drusa. Sono circa 150.000 distribuiti nel nNord di Israele fra la Galilea e le Alture del Golan, ma abitano anche in alcuni quartieri di Tel Aviv.
Lo sceicco Muwaffaq Tarif è il leader religioso della comunità drusa israeliana e la sua famiglia guida la comunità dal 1753, sotto il dominio ottomano. Muwaffaq Tarif ha ereditato il ruolo di guida spirituale alla morte del nonno Amin Tarif, una figura fondamentale per i drusi tanto che la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Sceicco quali sono i rapporti con le comunità druse sparpagliate in tutto il Medio Oriente?
«Siamo fratelli nella fede e nell’ideale, ci unisce qualcosa di profondo e radicato che nessuno potrà mai scalfire. Viviamo in nazioni diverse ed anche con modalità di vita differenti, ma restiamo drusi e questo influisce su ogni nostra scelta. Nella storia recente non sempre siamo stati tutti d’accordo, ma resta il rispetto. Per noi è fondamentale che passi il concetto che non abbiamo nessuna rivendicazione territoriale o secessionista, nessuno vuole creare una “nazione drusa”, non siamo come i curdi, noi siamo cittadini delle nazioni in cui viviamo, siamo israeliani, siriani, libanesi e giordani».
I drusi israeliani combattono nell’esercito di Tel Aviv, mentre importanti leader libanesi come Walid Jumblatt si sono sempre schierati dalla parte dei palestinesi.
«Walid Jumblatt è un politico che vuole soltanto accumulare ricchezze e potere e non fare il bene della sua gente. Durante la guerra civile libanese è stato fra quelli che appoggiavano Assad e la Siria che voleva annettere il Libano e quindi ogni sua mossa mira soltanto ad accrescere la sua posizione. Fu mio nonno ha decidere che il nostro rapporto con Israele doveva essere totale e noi siamo fedeli e rispettosi. La fratellanza con le altre comunità non ci impone un pensiero unico e quindi c’è molta libertà, anche politica nelle nostre scelte».
In Siria c’è un nuovo governo, un gruppo di ex qaedisti che hanno rovesciato Assad in 11 giorni e che adesso si stanno presentando al mondo come moderati. Nei mesi scorsi però i drusi siriani sono stati pesantemente attaccati dalle tribù beduine e Israele ha reagito militarmente per difendere la sua comunità.
«Israele è l’unica nazione che si è mossa per aiutare i drusi siriani massacrati. Oltre 2000 morti, stupri ed incendi hanno insanguinato la provincia di Suwayda, tutto nell’indifferenza della comunità internazionale. Il governo di Damasco è un regime islamista e violento che vuole distruggere tutte le minoranze, prima gli Alawiti ed adesso i drusi. Utilizzano le milizie beduine, ma sono loro ad armarle e permettergli di uccidere senza pietà gente pacifica. Siamo felici che l’aviazione di Tel Aviv sia intervenuta per fermare il genocidio dei drusi, volevamo intervenire personalmente in sostegno ai fratelli siriani, ma il governo israeliano ha chiuso la frontiera. Al Shara è un assassino sanguinario che ci considera degli infedeli da eliminare, non bisogna credere a ciò che racconta all’estero. La Siria è una nazione importante ed in tanti vogliono destabilizzarla per colpire tutto il Medio Oriente. Siamo gente semplice e povera, ma voglio comunque fare un appello al presidente statunitense Donald Trump di non credere alle bugie dei tagliagole di Damasco e di proteggere i drusi della Siria».
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Con Luciano Pignataro commentiamo l'iscrizione della nostra grande tradizione gastronomica nel patrimonio immateriale dell'umanità