2024-12-22
        «Avvenire» resta sulla linea Casarini e si affida al «compagno» Orlando
    
 
Il giornale della Cei rosica per l’assoluzione di Matteo Salvini sul caso Open Arms e dà voce all’eurodeputato amico di Ilaria Salis.Dopo i migrantes e gli asilantes, ecco che arrivano i rosicantes. Si intuiscono nel loro fastidio represso, si distinguono per le dissertazioni da giorno dopo fra «giustizia dell’uomo» e «giustizia divina», convinti che quest’ultima spetti a loro. Il tema è l’assoluzione di Matteo Salvini a Palermo, un colpo basso non solo per la sinistra di palazzo che sperava di scardinare con un colpo di mano giudiziario il governo in carica, ma anche per il variegato mondo catto-dem, per il quale l’accoglienza diffusa è un dogma irrinunciabile (anche dal punto di vista economico) e passa obbligatoriamente dalla demonizzazione di chi mette al primo posto la legalità. Una condanna esemplare avrebbe fatto dormire sonni più tranquilli qualche tonaca e qualche porpora.In questo esercizio gastrico si è distinto Avvenire, il quotidiano dei vescovi, che con una raffinata intuizione ieri ha titolato «L’ardua sentenza», lasciando intuire con la metaforica citazione manzoniana il suo disaccordo nei confronti di una decisione che potrebbe avere effetti più o meno perniciosi nel futuro. Quindi, ai posteri l’ardua sentenza. Con il timore che fra i posteri ci sia anche la Cei, editore del giornale, finanziatrice entusiasta del commodoro da centro sociale Luca Casarini e delle sue imprese salvifiche fra le onde del Mediterraneo, dove la legge degli scafisti confligge con la legge dello Stato italiano. Come sponsor pesante di Mediterranea Humans Saving, la Conferenza episcopale non era estranea al processo di Palermo, poiché l’associazione di Casarini e don Matteo Ferrari - sostenuta non solo dal presidente Cei cardinal Matteo Zuppi e da alcuni vescovi, ma anche da porporati come Konrad Krajewski (soprannominato cardinal Bolletta) e Michael Czerny - si era costituita parte civile contro l’ex ministro dell’Interno. Così quell’«assolto perché il fatto con sussiste» è uno schiaffo che parte da un’aula di tribunale e arriva nelle curie, nei consigli pastorali, nelle sacrestie dove il progressismo «à la carte» ha sostituito la parola di Dio e dove il vento della teologia della liberazione è tornato a soffiare con un certo impeto, soprattutto fra i giovani sacerdoti impegnati a diventare in fretta monsignori. L’eco di quello schiaffo rimbomba anche nel sinodo, dove Casarini è di casa e indica, da figliol prodigo, la via del Paradiso. In un contesto così schierato non stupisce che l’unico personaggio intervistato da Avvenire per commentare l’exploit giudiziario salviniano sia Leoluca Orlando, antipatizzante per antonomasia del leader leghista, europarlamentare dell’estrema sinistra (Avs), compagno di banco a Bruxelles di Ilaria Salis, quindi perfetto punto di sutura fra cattolicesimo militante, l’ex leonka Casarini e l’accoglienza dei clandestini purchessia. Detto questo, ciascuno può intervistare chi gli pare. E Orlando che tuona: «La responsabilità politica ed etica resta», non stupisce. Il politico che trasformò in slogan l’infelice frase del gesuita padre Ennio Pintacuda «Il sospetto è l’anticamera della verità», sembra preoccupato. Aggiunge: «L’assoluzione non può prestare il fianco a strumentalizzazioni». A proposito di strumentalizzazioni, è facile ricordare che, quando lui era sindaco di Palermo, si dimenticò di costituirsi parte civile nel procedimento Cupola 2.0 contro le cosche di ultima generazione ma si ricordò di farlo contro Salvini (lui quoque) per la vicenda Open Arms.Nella sconfitta giudiziaria, il mondo catto-dem sta dentro il perimetro progressista che non ha feeling con legge e ordine. Non è una bella giornata neppure per l’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, altra parte civile che qualche anno fa ricevette un finanziamento di 385.000 dollari da Open Society Foundation di George Soros e in passato ha pubblicato la rivista Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. Lo ha fatto in collaborazione con Magistratura Democratica. Con l’ultima statuina il presepe dei rosicantes è completo.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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