2019-05-17
«Avvenire» difende don Contatore dai barbari sovranisti
Konrad Krajewski, per il direttore, ha fatto bene a ridare la luce al palazzo degli abusivi. Mentre «Civiltà Cattolica» plaude ai preti scassinatori.E alla fine sono arrivate le guardie svizzere dell'informazione vaticana, hanno assolto il cardinal Konrad Krajewski, El contador de Dios, e hanno puntato il dito contro «il clima ostile» dell'Italia. Un'Italia che anche solo vent'anni fa non avrebbe lasciato al buio 400 persone in difficoltà in un palazzo. Eh sì, mica c'erano quei barbari di Matteo Salvini e Virginia Raggi, insensibili all'umano soffrire. Visto che l'elemosiniere del Papa, pur sempre un cardinale, insomma un principe di Santa Romana Chiesa, nelle sue puntate notturne a regalare soldi e generi di conforto ai poveri gira con guardie svizzere in borghese, è bastato che qualche giornale osasse stupirsi del suo blitz da abusivista nelle cantine di quel palazzone nel centro di Roma perché subito arrivassero in suo soccorso le guardie svizzere con la tastiera. Il primo, se non per meriti, per contratto, è stato Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, «il giornale dei vescovi», come si suol dire, ma anche dei cardinali. Già mercoledì, Tarquinio, rispondendo alle lettere di alcuni lettori, ricordava che ogni notte preti e laici si danno da fare per le città affinché «la luce non venga staccata». E reinterpretando a suo modo l'evangelico «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel di Dio», continuava così: «Perché le regole giuste vanno rispettate e fatte rispettare, purché appunto siano giuste. E perché c'è un livello minimo di decenza morale al quale una comunità civile degna di questo nome non può rinunciare. Altrimenti senza luce rimarremmo tutti noi, poveri e no». Insomma, va bene Cesare, ma solo se è davvero Cesare, perché se invece si chiama Pippo ed è un abusivo, allora ci teniamo la moneta. Che nella vicenda del palazzo di Santa Croce in Gerusalemme l'«abusivo» sia lo Stato, dobbiamo dirlo, è un guizzo da vero anarchico. E invece Tarquinio dirige il giornale dei vescovi, dei cardinali e, da oggi, anche degli antagonisti di buona volontà. Ieri, però, si è dovuto travestire anche da apologeta di Sua Eminenza, e ha vergato di suo pugno un'articolessa a difesa di «don Corrado». Con destrezza, ha riscritto così anche un noto proverbio: «Quando il dito del cardinale riavvia il contatore della luce, lo stolto guarda il dito». Insomma, sbagliato criticare chi ha fatto un'opera di bene, concentriamoci semmai sulle responsabilità di chi ha lasciato al buio così tante persone, anziani e bimbi compresi. Il riallaccio con destrezza del porporato, sostiene il direttore dell'Avvenire, è stato necessario perché «nessun altro, proprio nessuno - per quanto cercato, interpellato e pregato - ha fatto sì che la luce a un intero stabile non venisse tolta e che - notte dopo notte - non fosse dato ingiusto spazio alla paura dei bimbi e all'angoscia dei vecchi». Dopo di che, ecco l'amarcord per un Paese più buono: «Quaranta, trenta o anche solo venti anni fa, in Italia, una cosa così non sarebbe accaduta e neppure sarebbe stata ipotizzata». In quell'epoca aurea che ci ha visto passare da Giulio Andreotti, a Silvio Berlusconi, all'Ulivo di Romano Prodi, i treni forse non arrivavano puntuali, ma la Caritas era portata in palmo di mano e il pagamento di affitti e bollette era come i salari di una volta, ovvero «una variabile indipendente».E invece, dopo il 4 marzo, siamo in balia non solo dei barbari sovranisti, ma anche dei duri di cuore, che si avvalgono di «rigorismi farisaici». Tipo? Come quelli che, continua Avvenire, «reclamano il diritto di fare debito a gogò coi soldi pubblici (lì la flessibilità diventa sovranità), ma non perdonano ai poveri di essere poveri e agli italiani poveri di non essere stranieri come altri disprezzatissimi poveri». Giusto un banale distinguo: quando lo Stato italiano «fa debito» emette titoli che danno una cedola e, fino a prova contraria, non vanno in default. Nel palazzone invece c'era proprio gente che non pagava. Non poteva comunque mancare l'alabarda social di padre Antonino Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, che su Twitter l'ha buttata in poesia: «Oggi abbiamo più bisogno di preti scassinatori di anime inquiete». La prima a rispondergli è stata certa Annarosa: «Appunto. Di anime, non di contatori». Diversamente, sullo stemma di San Pietro, dovremo sostituire le chiavi incrociate con due belle cesoie.
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