2023-12-13
Dopo anni di silenzio sotto i diktat Ue, per «Avvenire» è allarme democrazia
Il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Maria Zuppi (Ansa)
Il quotidiano dei vescovi: la Finanziaria snobba le Camere. In sostanza da tempo è così. Mentre le cronache giudiziarie da Ragusa, con tanto di chat allegate, raccontano per filo e per segno i rapporti del clan Casarini con la parte alta della piramide chiamata Cei, Avvenire, il quotidiano edito per l’appunto dai vescovi, dopo aver pubblicato un magro commentino e offerto il megafono all’ex no Global si guarda bene dall’avviare un esame di coscienza. Scelta nella quale non spetta certo noi entrare. Colpisce invece l’attenzione dedicata alle dinamiche della trasparenza quando si tratta di politica. Altrui. Il quotidiano dedica un impegnativo editoriale al pericolo democrazia in Italia. Il principale articolo di prima pagina ieri era titolato così: «Una manovra senza Camere». Occhiello: «Finanziaria, Parlamento e premierato». In poche parole «il varo della manovra 2024 rappresenta un unicum di cui occorre ben guardare i rischi a breve e a medio termine». Nel primo caso, secondo Avvenire si stanno comprimendo le attività di vaglio e revisione dell’Aula al testo della legge finanziaria. Di per sé vero. Come scrive lo stesso editorialista, però, non è la prima volta che i governi arrivano lunghi e impongono a una delle due Camera di fare semplicemente il passacarte. La prassi è iniziata nel 2011 quando subentrò a Berlusconi in corsa Mario Monti. È avanzata fino a toccare l’apice con Giuseppe Conte. La differenza rispetto a prima? Quest’anno il governo aveva chiesto ai tre partiti di maggioranza di non proporre emendamenti. Per un semplice motivo. Vista l’ostilità dell’Ue non voleva correre il rischio di farsi bocciare il testo. Già in ballo c’è il Patto di stabilità e il Mes. Poco elegante. Ma la democrazia non ci sembra essere a rischio. Tanto che ieri sera, il cosiddetto maxi emendamento è stato presentato. Oltre a 4 articoli scritti dal governo ve ne è una trentina a firma dei relatori. Tutto qui. La partita si chiuderà dopo Natale. Si poteva fare di più? Certo. Sarebbe cambiato qualcosa no? No perché la manovra vale 25 miliardi e il modello dell’Europa che piace tanto ai sindacati, agli amici di Casarini e a molti vescovi italiani non consente altro. Inutile chiedere meno austerità e al contempo il rispetto delle norme Ue per criticare il governo di non stanziare abbastanza fondi per sanità o accoglienza. O, addirittura, di sacrificare il Parlamento così come chiede l’Ue. Per carità, dalle chat di Ragusa si capisce quale tipo di accoglienza sia sottintesa. Ma il punto è un altro. In realtà, all’Avvenire evidentemente preme svolgere una lunga premessa sui rischi a breve, per arrivare a sparare il vero allarme sui rischi a lungo termine: il premierato. Il governo sarebbe colpevole di non risolvere l’impasse che contraddistingue le Camere a ogni Natale, avendo preferito dedicare le proprie energie «all’elezione diretta del presidente del Consiglio». Eppure, prosegue l’editoriale, «pur senza assumere toni preventivamente drammatici, c’è da chiedersi a cosa porterebbe questo combinato disposto». Il riferimento è alle pastoie parlamentari e al poter che avrebbe un premier (in caso di realizzazione della riforma) di far cadere assieme a sé anche la legislatura. Manca un piccolo dettaglio. Gli elettori sono stanchi di assistere a governi che restano in piedi grazie a maggioranza così stiracchiate che non starebbero mai assieme senza la moral suasion del presidente della Repubblica. Esattamente dove vuole andare a parare il quotidiano dei vescovi: giù le mani dal Colle. A forza di sostenere questo sistema che si autogenera, il Pd (che guarda caso con la Cei condivide molti punti di vista) ha perso per strada milioni di elettori. C’è da sperare che ai vescovi non succeda lo stesso con i fedeli.