2021-05-16
L’autonomia vaccinale è a portata di mano
Il tema dell'autosufficienza produttiva e distributiva europea è cruciale per la stabilità occidentale. Ma per ottenerla non è necessario liberalizzare i brevetti, basta stipulare con le case farmaceutiche patti chiari sul trasferimento tecnologico. Il ruolo italiano è centrale.Il mondo in cui viviamo, guidato da principi di libertà e di democrazia, sarà in grado di vincere la grande sfida della pandemia? Ciò che è accaduto nell'ultimo anno ha messo a dura prova non solo il sistema della salute e della farmaceutica, ma anche il sistema delle libertà, valore inderogabile cui europei e statunitensi non sono disposti a rinunciare. Anche a patto di dover accettare, talvolta, il duro risvolto della medaglia che questo implica. Riteniamo infatti che un sistema libero e pluralista sia sempre e comunque preferibile ai sistemi totalitari, sebbene questi, grazie agli strumenti di cui dispongono e di cui invece noi non possiamo né vogliamo disporre, siano riusciti a raggiungere alcuni obiettivi più rapidamente ed efficacemente di noi, proprio perché disposti a derogare a libertà e diritti che sono invece cardine dell'agire dei Paesi democratici. Confrontando inoltre le misure adottate dal nostro governo - nazionale ed europeo - con quelle di altre realtà, in primis inglese e statunitense, appare evidente come queste ultime siano state più efficaci e tempestive, anticipando di qualche settimana le politiche europee. Dove però ha pesato, con particolare riferimento all'Europa, la necessità di coordinare più Paesi diversi sia nelle fasi di acquisto che in quelle di distribuzione dei vaccini o dei dispositivi medici, rendendo difficile - se non impossibile - una risposta nelle stesse tempistiche di altri Paesi o realtà. L'obiettivo, anche attraverso l'importante supporto del commissario Thierry Breton, è quello di colmare questo gap, puntando a un maggiore e migliore coordinamento delle catene di produzione e di distribuzione. A ciò si aggiunge, a livello nazionale ed europeo, l'esigenza di raggiungere l'autonomia e l'autosufficienza produttiva, anche attraverso i processi di riconversione che abbiamo già sollecitato e che intendiamo attivare e portare avanti. Riteniamo infatti che nel contesto europeo l'Italia debba fare tutti gli sforzi possibili per essere pronta qualora nel futuro dovessero presentarsi situazioni analoghe a quella che stiamo vivendo, al fine di poter dare una risposta più efficace e tempestiva di quella data oggi. Per farlo servirà la volontà nazionale ma anche il coordinamento europeo, così come un'importante collaborazione di tutte le parti coinvolte, comprese non da ultimo le case farmaceutiche. Si tratta infatti di uno sforzo di sistema e soprattutto di uno sforzo che mira alla difesa del sistema dei valori occidentali. Per questo chiediamo non una liberalizzazione delle licenze, come erroneamente si può aver pensato, ma il perseguimento di un trasferimento tecnologico che consenta, attraverso adeguate partnership, la produzione di vaccini anche in Italia e in Europa. È questa la strada che il nostro governo, a partire dal presidente del Consiglio Mario Draghi, intende perseguire, garantendo la propria disponibilità per accompagnare questo processo. Probabilmente non servirà per dare una risposta in termini di produzione vaccinale nel brevissimo termine, ma potrà sicuramente aiutarci ad arrivare preparati e attrezzati per le sfide del futuro. Ed è proprio guardando al lungo termine che si vuole creare un polo pubblico-privato farmacologico, biologico e vaccinale. La collaborazione fra imprese e istituzioni può infatti produrre risultati importanti, a partire dalla ricerca. Per questo il governo cerca partner privati che vogliano condividere questa sfida, al fine di poter dare loro il massimo supporto. Anche per quanto concerne gli anticorpi monoclonali le sfide sono molteplici e il governo vuole dare a chi ci sta lavorando il massimo supporto e incoraggiamento, non solo in termini di volontà ma anche da un punto di vista concreto, sia in ottica finanziaria che procedurale. A livello europeo è attivo un importante momento di incontro e confronto fra tutti coloro i quali hanno dato la propria disponibilità per la produzione vaccinale e per la riconversione industriale di vaccini. L'auspicio è che ne scaturiscano, nel tempo più breve possibile, importanti ed efficienti forme di partnership.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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