2019-06-26
Autonomia, Tav e flat tax: Salvini spinge al massimo sull’acceleratore
In vista del Consiglio dei ministri di stasera, il leader leghista ha cominciato a mettere sul tavolo i suoi provvedimenti bandiera. E se i grillini vorranno far saltare il banco, il Carroccio passerà all'incasso.Con il Consiglio dei ministri convocato stasera, per il governo comincia un'altra settimana di tensioni. Rinvigorito anche dall'ultima vittoria italiana sulle Olimpiadi del 2026 a Milano e a Cortina, adesso il leader leghista Matteo Salvini pare intenzionato a spingere ancora di più sull'acceleratore dell'autonomia regionale, e di certo non intende abbassare il tono nemmeno su flat tax e Tav. Sull'autonomia fiscale di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, le prime tre Regioni ad aver avviato nel 2018 la trattativa con il governo, ieri Salvini ha annunciato che al Consiglio dei ministri di oggi porterà già un testo-base, utile per accelerare la discussione: «È già pronto per la nostra riunione, e con grande vantaggio per tutte le Regioni italiane», ha spiegato il ministro dell'Interno, «altrimenti a Roma s'ingolfa tutto». Poi Salvini ha aggiunto: «Le Olimpiadi ci dicono che, dove corrono gli enti locali, l'Italia vince». Non del tutto casualmente, l'accenno è caduto su Lombardia e Veneto, due Regioni i cui governatori sono per l'appunto i leghisti Attilio Fontana e Luca Zaia, che sui giornali di ieri campeggiavano in foto, esultanti per il risultato al Comitato olimpico internazionale. Ieri Salvini ha parlato anche della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, e ha respinto senza mezzi termini l'ipotesi di una «Tav leggera», proposta dai grillini per uscire dall'impasse con la Francia: «Il treno passa sotto la montagna o no. Tertium non datur», ha detto il vicepremier leghista, mentre ieri il Cda di Telt, il promotore pubblico responsabile della realizzazione della Torino-Lione, ha dato il via alle procedure di gara per i lavori del tunnel di base in Italia (l'Europa porterà al 50% i finanziamenti per i progetti transfrontalieri, più un altro 5%). Ma oggi, a Palazzo Chigi, la Lega insisterà soprattutto per confermare e accelerare la sua flat tax, il rivoluzionario sistema fiscale con un'aliquota unica al 15%, che il Carroccio vuole «a tutti i costi». Di fronte a questa raffica di rivendicazioni, in un gioco di specchi più che trasparente, i 5 stelle cercano di tenere il punto almeno sul salario minimo orario di 9 euro lordi, l'ultima proposta lanciata dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Ieri, in un'intervista al Corriere della Sera, il leader grillino ha ribadito che «il costo del salario minimo sulle casse dello Stato sarà zero, mentre sul piano delle imprese la proposta sarà affiancata da un'altra sulla riduzione del cuneo fiscale, che introdurremo in manovra».Insomma: da una parte la Lega preme per introdurre l'autonomia fiscale delle Regioni, per lanciare la flat tax e per confermare la Tav; dall'altra parte il Movimento 5 stelle insiste con il salario minimo. Si tratta, indubbiamente, di proposte costose. Da sola, secondo l'annuncio fatto da Salvini a fine maggio, la «tassa piatta» leghista dovrebbe pesare circa 30 miliardi sul bilancio dello Stato. Mentre nei giorni scorsi l'Istat (contraddicendo le assicurazioni fatte ieri da Di Maio) stimava che il salario minimo produrrebbe un immediato aggravio di spesa di circa 700 milioni; senza costare che, se davvero il ministro del Lavoro intende ridurre il cuneo fiscale per compensare le imprese appesantite dai nuovi minimi salariali (l'Inps stima subiranno una spesa aggiuntiva sui 10 miliardi di euro), dovrà trovare un'altra bella cifra.Il problema è che oggi il Consiglio dei ministri dovrà occuparsi non solo di tutto questo, ma in realtà anche di ben altro: il governo, infatti, dovrebbe impegnarsi a dare il via all'assestamento di bilancio, l'operazione che metterà nero su bianco che il deficit nel 2019 sarà più basso del 2,4% indicato lo scorso aprile, e che si assesterà al 2,1% del Prodotto interno lordo. È il segnale che, in teoria, dovrebbe rassicurare la Commissione europea ed evitare che la riunione dell'Ecofin, prevista a Bruxelles per l'8 e 9 luglio, apra la procedura d'infrazione per disavanzo eccessivo a seguito del mancato rispetto della «regola del debito». Preceduto da un vertice di maggioranza che si è svolto ieri sera, oggi il governo gialloblù dovrà decidere anche la linea da seguire con l'Unione europea in vista del G20 che si svolgerà da venerdì a Osaka, in Giappone. Al di là dei rapporti con Bruxelles, comunque, l'accelerato scoppiettìo di proposte e controproposte sparate tra Lega e M5s offre la piena evidenza della cruciale partita a Risiko che si sta giocando tra Salvini e Di Maio. Forte del risultato ottenuto alle elezioni europee di maggio, con quel 34,3% di voti che gli ha clamorosamente permesso di «doppiare» il 17,1% dei 5 stelle, e spinto da sondaggi che lo accreditano addirittura del 37%, il leader leghista sa che mai come adesso gli conviene premere sull'acceleratore delle misure economiche. Può e deve permetterselo ora, Salvini, perché se davvero intende tirare allo spasimo la corda con l'alleato grillino sa che non avrà mai più un momento tanto propizio. Dalla sua, il ministro dell'Interno non ha soltanto rapporti di forza potenzialmente ribaltati: ha anche il calendario, che ha già cominciato a segnare il conto alla rovescia degli ultimi 30 giorni a sua disposizione per andare all'incasso e per votare entro il 2019. Perché si possano convocare regolari elezioni da tenere nel prossimo autunno, infatti, l'ultima data utile per fare cadere il governo è il 20 luglio. È una finestra che si riduce di giorno in giorno, di ora in ora. Forse è anche per questo se, nell'intervista di ieri al Corriere, Di Maio ha confermato che «il governo dura altri quattro anni». Ma poi, in coda, ha aggiunto una minaccia che sa di veleno: «In caso contrario, chi lo fa cadere si prende una bella responsabilità, perché significherebbe far tornare il Partito democratico, insieme ad altri Monti e ad altre Fornero».