
Nel documento molte contraddizioni tradiscono un intento intimidatorio. La più grave? Si dice che l'economia regge e che quindi non possiamo indebitarci. Ma, sotto Mario Monti, Bruxelles ci impose austerità proprio per la crisi.L'Europa boccia la manovra italiana. Dietro la scelta ci sono pochi numeri e tanta politica che tiene a far sapere che ci sarà una procedura d'infrazione. Quando? Ovviamente, l'annuncio è ammantato d'urgenza, ma i tempi della realtà sono altra cosa. Così come la lettera gioca molto sull'ambiguità tra procedura per deficit e per debito. La prima è molto meno grave della seconda, e quasi tutti gli Stati l'hanno affrontata. Eppure i media, che raccontano l'evento come rarissimo, omettono la lunga sfilza di incongruenze presenti nella lettera. Quasi tutte imputabili a Bruxelles, talune figlie di una malattia tipica dei governi: l'annuncite. L'intervento a gamba tesa dell'Unione europea si basa, infatti, su valutazioni ex post, ma soprattutto su previsioni ex ante che al momento non sono in realtà quantificabili, perché si tratta di promesse elettorali di Lega e 5 stelle. A cominciare dal reddito di cittadinanza.Il provvedimento simbolo dei grillini sarà costruito tramite un disegno di legge collegato, e quindi ben difficilmente raggiungerà le tasche dei cittadini prima di luglio 2019. Le somme stanziate saranno comunque inferiori a quanto indicato nel contratto di governo, e anche a quanto indicato nella prima parte della manovra. Tale risparmio (generato dalla minore spesa) entrerà nella voce clausola di salvaguardia. Il governo ha infatti previsto una serie di «salvagenti» in caso di previsioni errate. Ma soprattutto ha previsto un modo per spostare da una voce di bilancio all'altra somme inutilizzate. Risultato? Il deficit effettivo sarà certamente inferiore al 2,4%. Questo meccanismo smonta in pieno la parte della lettera che valuta per gli anni 2020 e 2021 uno sforamento del deficit del 3%. Certo, tale verità non può essere sbandierata dai 5 stelle e dal premier Giuseppe Conte, perché dovrebbero ammettere di non essere in grado di adempiere a tutte le promesse elettorali. Al tempo stesso, se l'Ue fosse in buona fede, nella lettera di ieri avrebbe dovuto fare esplicito cenno alle clausole di salvaguardia. Non lo ha fatto, perché ha un interesse politico opposto: stressare il rischio per mettere in difficoltà il governo. La premessa è lunga, ma d'obbligo per spiegare il cul de sac politico in cui ci si trova. D'altronde il documento di Bruxelles serve ad aprire tre settimane di intenso dibattito, con la speranza di far recedere il governo e quindi annichilirlo nei confronti dell'elettorato, o di imporre, in alternativa, uno scontro diretto ancor più pericoloso. La procedura d'infrazione, non potendosi appigliare alla soglia del 3% di deficit, si basa sul debito strutturale: sebbene non sia certo una novità che il rapporto tra debito e Pil del nostro Paese sia sopra il parametro del 60% imposto da Maastricht. Nella parte conclusiva della lettera, tuttavia, si evince che uno dei motivi per cui l'Italia non può fare altro debito è dovuto al fatto che l'economia sta marciando per il meglio. Dunque, neppure troppo implicitamente si ammette che negli anni di crisi l'Italia avrebbe dovuto fare politiche espansive? Ma all'epoca, e qui sta la grande contraddizione, la stessa Ue spingeva per più austerità. Da qui seguono a cascata gli altri elementi di contraddizione del testo. Innanzitutto, il nostro debito non è mai sceso: quindi l'austerità non è servita, anzi. Secondo, gli attuali trend economici annunciano per l'Italia (e pure per il resto d'Europa) una recessione, come peraltro specifica altrove la lettera. Quindi secondo il teorema di Bruxelles, il nostro Paese dovrebbe essere autorizzato a fare più debito (cosa che anche altri stanno reclamando, Francia in testa). Eppure non è così. Al contrario Bruxelles ha colto il punto politicamente debole di questo governo, e lo sta usando a proprio favore. I gialloblù (forse ingenuamente) sono stati i primi in assoluto a indicare nero su bianco in manovra un dato peggiorativo sul debito strutturale. Non possiamo però non notare che tutti gli altri governi italiani (e gran parte degli europei) hanno sempre sparato false previsioni.Hanno promesso di raggiungere gli obiettivi indicati dal fiscal compact e prima ancora da Maastricht. Ma nessun governo e nessun burocrate è mai stato davvero convinto della necessità né della possibilità per i più di rispettare i parametri. Ogni volta che serviva supportare un governo amico - magari proprio perché appartenente al clan del Nazareno europeo (Pse-Ppe) - si è sempre trovata la deroga giusta. Un po' come accadeva negli anni Ottanta a Mosca. Tutti convinti del socialismo reale e dei piani quinquennali, ma con la dacia sempre calda e il conto corrente in Svizzera. L'Ue di oggi assomiglia tanto all'Urss di quegli anni. Conveniva a questo governo mentire come i precedenti? Forse sì. Ma avrebbe significato entrare a far parte del partito delle dacie. Il voto dello scorso 4 marzo ha dato un'indicazione diversa. Quando ieri il commissario Pierre Moscovici alzava il dito ricordando che l'attuale governo non rispetta gli impegni presi da Roma e rischia di mettere a repentaglio i successi economici raggiunti dall'Italia, faceva sorridere. Nemmeno lui crede a ciò che afferma. Tanto più che ieri sera ha lanciato la solita minaccia occulta: «La procedura parte, ma vorrei non dover sanzionare l'Italia». Perché sa anche lui che la nostra economia non si è mai risollevata e gli interventi del governo Monti, Renzi e Gentiloni non possono essere definiti di successo. La procedura d'infrazione omette volutamente gli sbandamenti avvenuti nel 2016 e 2017, preferisce leggere nel futuro e sanzionare ciò che dovrebbe/potrebbe accadere. La confusione che parte da Roma non è scusabile, ma la malafede che scaturisce da Bruxelles è - questa sì - da sanzionare.
Nadia Battocletti (Ansa)
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